Io non so parlar di… Covid!

Buongiorno e buona domenica a tutti. E’ inusuale per me scrivere un post di domenica: di solito escono il lunedì e il mercoledì/giovedì… Ma se un tipo organizzato come me scrive di domenica è perché qualcosa da dire c’è.

Non è una notizia bomba, ma la mia signora ed io da un paio di giorni siamo in pieno contagio Covid! I primi sintomi sono toccati a lei, venerdì sera; e poi a me, questa notte. Nulla di grave, almeno per ora: sarà la protezione vaccinale, il culo, la variante, il segno zodiacale, ma (per entrambi) febbre moderata, colpi di tosse e ossa rotte.

Spero non si incattivisca, ma abbiamo fiducia: spiace solo che la mamma, come qualcuno saprà per averne letto precedentemente, sia in struttura riabilitativa, e ovviamente non potrò andare a trovarla. Mi affiderò a parenti e amici. Ma anche lei sta andando meglio, ora si fa una rampa di scale in salita e discesa: queste vecchie rocce sono degli highlander, per fortuna!

Tornando al mio piccolo contagio, potevo mai astenermi da un omaggio musicale a tema? No, certo che no!

E allora, a proposito di virus, infezioni, dolori muscolari e termometri, vi propongo il classico “Fever“: ma non nella versione canonica di Peggy Lee, e nemmeno in quella di Madonna, Elvis, Bublé o altri… Scelgo per voi la cover notturna e gotica di quei matti dei Cramps! Che a me piace, e piace parecchio. Che poi il testo di “Fever” parli di ben altra febbre siamo d’accordo: ma concedetemi la licenza poetica, che proprio lucidissimo non sono 🙂

Ci sentiamo poi per aggiornamenti!

Fever” (Davenport / Cooley) – Da The Cramps – “Songs the Lord Taught Us” (1980)

La musica E’ cultura… Sostieni i negozi di dischi

Che la pandemia abbia messo a soqquadro un po’ tutto, lo si sa… Che ci siano incongruenze, più o meno evidenti, nelle politiche messe in atto, pure.

Non posso che fare mio, quindi, l’appello riportato dal blog In Retrospettiva, e riproporvelo, perché si tratta di un argomento a me (e a noi tutti) particolarmente caro, e su cui alcune scelte politiche stanno incidendo in modo pesante. E ringrazio l’amico Enri, di Sull’amaca blog, per la segnalazione!

NEGOZI DI DISCHI CHIUSI… PER SEMPRE?
Incredibili “disparità di trattamento”… in piena pandemia, dopo più di un anno di restrizioni e di chiusure imposte, i dischi continuano a non essere considerati prodotti culturali, a differenza dei libri. Mentre i negozi di dischi in zona rossa sono insensatamente chiusi (piccoli negozi dove peraltro non ci sono mai stati assembramenti e si sono sempre rispettate tutte le regole di utilizzo delle mascherine, di distanziamento e di igienizzazione), le librerie e le edicole rimangono invece aperte, e addirittura importanti catene commerciali in ambito elettronico/tecnologico ma anche librario vendono liberamente dischi e cd, quando secondo il decreto sarebbero tenute a delimitare quei prodotti con il nastro e ad impedirne la vendita.
La domanda dunque è: “Forse lì ci si contagia di meno?” Si tratta insomma di un decreto fatto apposta per far chiudere definitivamente i negozi di dischi che, pur con grandi difficoltà, erano tornati ad aprire negli ultimi 10 anni? Ricordiamo che nelle “zone rosse”, tra il 2020 e il 2021, i negozi di dischi sono stati sottoposti a una chiusura forzata in alcune regioni fino a 200 giorni, oltretutto mitigata da bonus e ristori a dir poco irrisori o addirittura inesistenti, che non hanno consentito di coprire neppure una piccola parte delle numerose spese vive (affitti, utenze, spese condominiali, tasse sui rifiuti, tasse sulla pubblicità, spese bancarie etc.) che ogni attività commerciale ha costantemente a carico, indipendentemente dal fatto se sia aperta o chiusa. Va anche segnalato come praticamente quasi nessun negozio di dischi possa beneficiare del recente “decreto sostegni”, visto che raggiungere perdite di fatturato di almeno il 30% avrebbe significato non lavorare del tutto, mentre noi negozianti, nei mesi di apertura e grazie alle vendite on-line, abbiamo cercato di “tirare al massimo”, di limitare le perdite e di aumentare i fatturati giusto per cercare di pareggiare i conti. Ed ora, con le nuove restrizioni, il Governo ci impone di chiudere senza offrirci neppure un centesimo di ristoro per questa completa mancanza di attività.
Pur non essendo organizzati formalmente come associazione di categoria e pur non avendo un sindacato di riferimento, noi negozianti di dischi siamo tutti in stretto contatto e in questi mesi abbiamo portato avanti varie azioni di sensibilizzazione sul tema.
Le 3 richieste essenziali che vorremmo portare all’attenzione del Ministro della Cultura Franceschini e dei Presidenti delle Regioni (che dovrebbero essere particolarmente attenti alle piccole attività commerciali, che sono tessuto fondamentale dei Comuni, e delle Regioni) sono i seguenti:
1) chiediamo innanzitutto la possibilità di lavorare ed essere regolarmente aperti al pubblico, anche in zona rossa, così come i nostri concorrenti (librerie, edicole, catene di centri commerciali) che vendono lo stesso tipo di prodotti, ovviamente nel rispetto di tutte le norme di sicurezza.
2) richiediamo la possibilità di offrire il servizio di “asporto” per i clienti. Non riusciamo davvero a capire dove risiederebbe il pericolo nel far entrare un cliente alla volta per il tempo del ritiro di un disco, guando invece bar ed altre attività, che sono libere di offrire ai loro clienti caffè e bevande da asporto, sono costantemente affollati, nelle immediate vicinanze, di persone che si intrattengono per molto tempo a bere e a fumare ovviamente senza mascherina, senza distanziamento e nel più completo spregio delle norme in vigore.
3) i libri beneficiano della tassazione IVA agevolata al 4%, i dischi continuano ad essere sottoposti a una gravosa tassazione IVA al 22%. Chiediamo che anche i dischi vengano elevati, come in molti Paesi esteri, al rango di prodotti culturali, e tassati al 4%. Questo consentirebbe una ripresa per tutto il settore, particolarmente “dimenticato” dalle autorità e dall’opinione pubblica.
Aderiscono a questo comunicato questi negozi di Dischi (negozi di dischi fisici e indipendenti!):
AII the Best! – Imola BO – Baroncini Filippo
Alphaville Piacenza Antonio Curtoni Paolo Rebecchi
Alta Fedeltà Cagliari – Caterina Scano
Arpa – Torino – Alberto Fiabane
Berlin Vinile – Imola – Claudio Galamini
Cari & Rari – Catania Gaetano Gulisano
Casa Della Musica – Reggio Emilia – Marco Domeniconi Carillon Lissone MB
Compact Disc la dischetteria Montebelluna TV – Lisi Bresolin
Cuordivinile Record Shop – Bra CN Maurizio Marino
De Santi Dischi – Castelfranco TV  Paolo De Santi
Dischi e Dintorni – Torino – Andrea Benedetti
Disclan – Salerno Mario Maysse
Disco Story Darfo Boario Terme BS – Lina
Discorso – Sacile PN – Agnese Puiatti
Discostores Legnano MI
Discoteca Caporilli – Albano Laziale RM – Bruno Caporilli 
Elastik Rock – Roma – Simona Burini
Filmusica – Valdagno – VI Stefano Branco
Il Discomane Milano Valeria Baldan
Jommi – Velletri RM – Erminio Jommi
Jukebox all’idrogeno – Macerata – Francesco Zeffiretti 
Jungle Records Conegliano TV Luigi Buso
Melluso Dischi – Messina – Rizzo Carmela
Metrodora Tivoli RM – Giorgio Meloni
Mondo Musica – Novara – Rosilde Catania
Mr Musick. Nuoro Marco Ribaudo
Musica Parliamone Roma – Gianni Guarino
Muzak Cuneo – Enrico Bruna
NonSoloMusica Nuoro Alberto Flumini
Penny Lane – Novara Marco
Pagine&note – Caltanissetta – Germano Imprescia 
Pink Moon Roma – Alessandro Girlando
Ritmi Urbani Santa Maria Capua Avetere CE Anselmo Pezza De Chiara 
Rock paradise Nerviano MI Mauro Pesce
Rocker Record Store Pinerolo TO Manuel Lardaruccio
Sky Stone And More Lucca
Slow Record Shop Cecina LI Alessio Cruschelli
Sottodisco Agropoli SA Garofalo Oreste
Spazio Astra Foligno PG Ilaria
The Hole Records Montebelluna TV Carlo Lilliu
Too Much Music Grottaferrata RM Madrita Petrelli
Top dischi Benevento Luigi Minicozzi
Tune Dischi Novara Silvia Bassetti
Volume 33 Music Store Monterotondo RM Tarquini Pietro

Felice pranzo domenicale di lockdown!

Due unicorni  di gommapiuma bianca entrano in una cucina, sulle note del “Bolero” di Ravel, e iniziano la loro danza… Due giocattoli big size animati da un signore serissimo, in giacca e cravatta neri, e da una bionda di mezza età, in lamé amarena. Gli unicorni si sfiorano, si incrociano, dolcemente accostano le zampe: passati 90 secondi circa i due tipi si avvicinano alla webcam e, sorridenti, mandano il loro “Happy Sunday Lockdown Lunch” agli spettatori. Di filmati come questi se ne trovano in rete, al momento, 25, più o meno surreali, più o meno folli, più o meno divertenti: e tutti realizzati nell’abitazione della coppia, con qualche variazione (giardino, soffitta, cantina, tromba delle scale), e le musiche più disparate. Di solito Robert, impassibile, suona la chitarra, e Toyah, colorata e compresa nella parte, balla. Ma chi sono Robert e Toyah? Continua a leggere “Felice pranzo domenicale di lockdown!”

Canta che ti passa #13

Continuiamo nella “recensione” delle mie ultime attività ludico/culturali/perditempo, alcune svolte in compagnia della mia metà, altre in splendida solitudine:

  1. Dunque, qualche puntata in ordine sparso di “Law & Order – Special Victims Unit” non si nega mai. Tanto più o meno le ho viste tutte, e anche se mentre scorre un episodio sto cucinando qualcosa, lavando i piatti o sistemando la casa, più o meno so già dove andranno a parare le indagini di Olivia, Eliott e soci. L’unica curiosità è scoprire quale mischione fra stagioni appronterà il palinsesto, e se la puntata che vedo alle 13 me la ritroverò poi alla sera del giorno dopo o meno
  2. Visita quotidiana a due canali Youtube di scacchi, una delle mie tante passioni (ho pure dedicato due articoli ai rapporti fra scacchi e musica): si tratta di Mattoscacco e del Circolo Scacchistico Pistoiese. La politica di entrambi è la semplicità, la chiarezza, la varietà, e la mancanza di prosopopea: possiamo trovare analisi di partite storiche, elementi di teoria, nozioni base, curiosità o partite live, giocate dagli stessi youtubber. Una visione che a me appassiona molto, ma che ha un effetto brutalmente soporifero sui neuroni di Giusi… E dire che le clip raramente superano i 20 minuti!
  3. La saga “Scream” di Wes Craven. Una serie di 4 film profondamente intelligente, ironica e (perché no!) spaventevole. Ghostface – con la sua mise in tunica nera, maschera bianca (ispirata all’Urlo di Munch) e coltellaccio – è diventato quasi istantaneamente un media franchise: e il killer (anzi, i killer, perché in ogni capitolo sotto la stessa maschera ci sono personaggi diversi) è rapido, imprevedibile e crudele. Ma il colpo di genio di Wes è nella costruzione metanarrativa che permea ogni singolo episodio: i numerosi film-nei-film, le chiacchiere dei ragazzi sul cinema di genere, la scopofilia del pubblico degli slasher movie, la critica al giornalismo d’assalto, la questione razziale (negli horror non ci sono mai protagonisti di colore), i riferimenti intertestuali (il bidello che indossa il maglione a strisce di Freddy Krueger, l’ironia sui sequel di “Nightmare”, i film di “Wes Carpenter”), e la gerarchia impressa ai singoli film. Le “regole” sono chiare: il primo è uno slasher (muore chi si droga e fa sesso, e chi dice “torno subito”); il secondo è un sequel (aumentano i morti, gli omicidi sono più violenti, e il killer non è mai morto davvero); il terzo completa la trilogia (il killer è sovrumano, tutti possono morire e il passato torna sempre); il quarto è un reboot da anni Dieci (sopravvivono solo i gay, e l’assassino filma i suoi omicidi per pubblicarli online :-)). Il bello che non solo le cose, in ogni film, vanno effettivamente così, ma che queste “regole” sono enunciate dagli stessi protagonisti, provocando uno straordinario effetto di distanziamento critico e di sberleffo mediatico.
  4. Raclette casalinga. Con una mini-attrezzatura, tirata fuori dallo sgabuzzino, e in un giorno rigorosamente di pioggia, abbiamo allestito questa piacevolissima cena: speck, cetriolini, salame, patate lesse, wurstel e un formaggio vaccino “tipo Beaufort” (così recitava il cartello al mercato) a sostituire l’introvabile “raclette”. Un bicchiere di rosso, et voilà!

Canta che ti passa #12

Canta che ti passa, ok… Ma, anche, leggi, guarda, mangia…

Per questa volta cambio argomento, raccontandovi  alcune altre “attività ludico-culturali” che sto praticando, in compagnia della mia metà.

  1. Better Call Saul“: il celebrato spin-off della celebrata serie-capolavoro “Breaking Bad” è proprio bello. Una serie collaterale che è, contemporaneamente, il prequel e (per ora molto poco) sequel della saga di Walter White. Per chi non lo sapesse, “BB” narra di un timido professore di scienze, che, quasi per caso, diventa uno dei fabbricanti di anfetamina e dei trafficanti più feroci del New Mexico. Bene, “BCS” si occupa di Saul Goodman, avvocato di bassa lega che orbita attorno a personaggi border-line, e anche lui attirato nel vortice del malaffare: ma qui siamo prima, quando Saul è ancora Jim, un avvocatucolo pieno di energia e buone intenzioni. La scrittura, affidata al genio di Vince Gilligan e Peter Gould, è un vero e proprio master universitario di sceneggiatura. Rispetto a BB, BCS avanza a un passo più cadenzato, ma questo rende ancora più inesorabile l’incedere della narrazione: perché noi SAPPIAMO che l’energico e entusiasta Jim diventerà il corrotto e debosciato Saul, ma non COME e QUANDO. E siamo ipnotizzati dal progredire della storia, tifiamo per il buon Jim, speriamo che non faccia quella certa scelta, perché sarà quella a rovinargli la vita. E invece – ovviamente – la fa. Forse questo parla di noi: delle sliding-doors che abbiamo attraversato senza accorgercene, e di quelle che si, sapevamo portarci nella selva oscura, ma che abbiamo imboccato con un sadico sprezzo verso noi stessi. Inutile dirlo, la regia è splendida, la scelta del cast perfetta, il modo di calare nella narrazione i personaggi (soprattutto quelli di BB) è da BAFTA Award: e, soprattutto la gestione corale della storia è da applausi. Meglio, peggio, uguale a BB? Non lo so, e nemmeno mi interessa: ma ce lo stiamo godendo tutto, puntata dopo puntata. E siamo arrivati al secondo episodio della quarta serie: su Netflix è appena terminata la quinta (aspetteremo l’edizione in DVD…), e la produzione ha annunciato che la sesta sarà quella conclusiva… Quella, penso – ma chissà – in cui Saul incontrerà Walter White: e quella in cui – di nuovo, chissà – conosceremo il suo destino del dopo-BB. Sempre che le riprese non si interrompano, causa Covid…
  2. Storia romana“, di Marcel Le Glay (Il Mulino): le mie carenze in storia sono colossali, inutile negarlo: e così ho approfittato del lockdown per “farmi una cultura”. Ci sto riuscendo? In 500 pagine il manuale ripercorre la storia di Roma dalla mitica fondazione (753 a.C.) alla sua fine (476 d.C.). Il testo è serio, scrupoloso, davvero ben fatto: ma più adatto a studi universitari che a letture divulgative. Andrebbe affiancato a uno (o due…) manuali più leggeri, dove trovare (anche) pagine sull’aneddotica diffusa (e parlo, per capirci, di robe come Muzio Scevola, l'”ecco i miei gioielli” di Cornelia, il “guai ai vinti” di Brenno, le porcate di Eliogabalo, ecc), qualcosa sulla vita quotidiana dei nostri nonni de Roma, e naturalmente cenni al loro apparato culturale e artistico. Il grosso della trattazione si occupa, inoltre, del periodo fra Giulio Cesare e Costantino: mentre la “caduta dell’Impero” è liquidata in una ventina di pagine. In sintesi: un ottimo testo di studio, ma non esaustivo (d’altronde, l’argomento è immenso!)
  3. Number 23“, di Joel Schumacher (2007): film in cui Jim Carrey indossa i panni di Walter, un accalappiacani che, a causa di un libro scovato per caso in una libreria dell’usato, cade in un’ossessione… Quella del 23, all’intreccio di complesse simbologie numerologiche e alchemiche. E, man mano che la lettura avanza, il libro sembra proprio parlare di lui: ma di un “lui” altro, al confronto del quale l’impacciato Walter appare come una copia sbiadita e mal riuscita. Fra sequenze realistiche ed altre più fumettose, in stile “Sin CIty”, si arriva ad una spiegazione del mistero, anche se un po’ lambiccata: ma l’inquietudine non passa con la parola “fine”, e ci si appiccica addosso. Io, che di ossessioni auto-inflitte me ne intendo, capisco bene il povero Carrey…
  4. Zuppa di porri e patate: ricetta presa di peso dal canale Youtube del masterchef Bruno Barbieri, che ha aperto una sezione dedicata allo “iostoacasa e cucino”. Semplice, con una piccola correzione personale dovuta alla mancanza di un ingrediente (ho sostituito il prosciutto crudo con lo speck), un’oretta di lavoro… e un piccolo capolavoro! Non fosse che avevamo litigato per un clamoroso errore di taglio capelli faidatè, Giusi mi avrebbe fatto mille complimenti… E me li ha fatti più tardi, sbollita la rabbia e riparato l’errore: ora sembro un po’ un marines, ma pazienza!
  5. Erbazzone di Reggio Emilia: una splendida torta salata vegetariana “chiusa”, a base parmigiano, bietole, noce moscata e coriandolo, che questa volta ha fatto Giusi… E i complimenti le sono arrivati subito: mica litighiamo sempre!

Canta che ti passa #10

A fleeting glimpse: una visione fuggevole. Quella del protagonista di “Comfortably Numb“, Pink, provata quando era bambino, e che chissà, poteva svelargli un qualcosa: ma proprio mentre si voltò, per guardarla più direttamente, se ne andò.

Ma, oggi, questa visione è la mia.

Una visione che mi entrò nella pelle a inizio Febbraio: non sapevo perché, ma ho passato alcuni giorni gravato da un senso di tragedia incombente, di perdita imminente, di un mondo che finiva. Sembra una balla, una storiella da spacciare agli amici dopo la terza birra, ma giuro che è stato così: mi ha attanagliato il cuore per giorni e giorni, non capivo e cercavo spiegazioni più vicine al mio quotidiano, e invece… Fantasia o meno, quel pensiero insinuante come un rigagnolo di acqua nera, sporca, ha preso forma: e non se ne è più andato.

La visione di un passato così vicino che ne ricordo ogni dettaglio – e in fondo stiamo parlando di non più di 6 settimane fa – ma che mi sembra immensamente lontano: quello delle passeggiate del mattino, delle vacanze – o semplicemente del weekend lungo – da organizzare, del cinema, del “dove andiamo a mangiare domani con Roberto?”, delle carezze al barboncino dei suoceri, del casino del mio ufficio, del prendere l’ascensore in cinque (“ma sì, vieni, dai, ci stiamo”), del visitare un parente anziano e abbracciarlo. E questa immagine che è lì, a un passo, non riesco a guardarla, neanche volendo: perché mi fa male, spietatamente bella com’è, e perduta.

La visione di un domani di cui non si vede ancora la fine, che spostiamo avanti di decreto in decreto, di test sierologico in vaccino, di conferenza stampa in discussioni sul Mes… Ma che almeno è un domani di speranza, e che è sempre pur meglio del vero domani che, senza raccontarcela troppo, arriverà: di crisi economica, di altri mesi (ma anche anni, dice qualcuno) di “distanziamento sociale”, di test, di paratie di plexiglass, di stasi culturale, di rigurgiti sempre più violenti di becero sovranismo, di bar – si, quel bar dove andavo sempre – che non riaprirà. E, di nuovo, la mia volontà non regge che per pochi istanti: e poi, impaurito e incredulo, devo distogliere lo sguardo, sconfitto.

E, fintamente “comfortably numb”, torno a ordinare dvd, a pulire la casa, a cucinare, a scrivere post, a leggere un libro, a sentire un cd, a giocare a scacchi e a ridere di qualche stupido video WA: ma quella “fleeting glimpse” è sempre lì, mi assedia, mi spia, mi sussurra brutte cose. E non se ne va. Hai voglia di cantare: oggi non mi passa.