Canta che ti passa #10

A fleeting glimpse: una visione fuggevole. Quella del protagonista di “Comfortably Numb“, Pink, provata quando era bambino, e che chissà, poteva svelargli un qualcosa: ma proprio mentre si voltò, per guardarla più direttamente, se ne andò.

Ma, oggi, questa visione è la mia.

Una visione che mi entrò nella pelle a inizio Febbraio: non sapevo perché, ma ho passato alcuni giorni gravato da un senso di tragedia incombente, di perdita imminente, di un mondo che finiva. Sembra una balla, una storiella da spacciare agli amici dopo la terza birra, ma giuro che è stato così: mi ha attanagliato il cuore per giorni e giorni, non capivo e cercavo spiegazioni più vicine al mio quotidiano, e invece… Fantasia o meno, quel pensiero insinuante come un rigagnolo di acqua nera, sporca, ha preso forma: e non se ne è più andato.

La visione di un passato così vicino che ne ricordo ogni dettaglio – e in fondo stiamo parlando di non più di 6 settimane fa – ma che mi sembra immensamente lontano: quello delle passeggiate del mattino, delle vacanze – o semplicemente del weekend lungo – da organizzare, del cinema, del “dove andiamo a mangiare domani con Roberto?”, delle carezze al barboncino dei suoceri, del casino del mio ufficio, del prendere l’ascensore in cinque (“ma sì, vieni, dai, ci stiamo”), del visitare un parente anziano e abbracciarlo. E questa immagine che è lì, a un passo, non riesco a guardarla, neanche volendo: perché mi fa male, spietatamente bella com’è, e perduta.

La visione di un domani di cui non si vede ancora la fine, che spostiamo avanti di decreto in decreto, di test sierologico in vaccino, di conferenza stampa in discussioni sul Mes… Ma che almeno è un domani di speranza, e che è sempre pur meglio del vero domani che, senza raccontarcela troppo, arriverà: di crisi economica, di altri mesi (ma anche anni, dice qualcuno) di “distanziamento sociale”, di test, di paratie di plexiglass, di stasi culturale, di rigurgiti sempre più violenti di becero sovranismo, di bar – si, quel bar dove andavo sempre – che non riaprirà. E, di nuovo, la mia volontà non regge che per pochi istanti: e poi, impaurito e incredulo, devo distogliere lo sguardo, sconfitto.

E, fintamente “comfortably numb”, torno a ordinare dvd, a pulire la casa, a cucinare, a scrivere post, a leggere un libro, a sentire un cd, a giocare a scacchi e a ridere di qualche stupido video WA: ma quella “fleeting glimpse” è sempre lì, mi assedia, mi spia, mi sussurra brutte cose. E non se ne va. Hai voglia di cantare: oggi non mi passa.

7 pensieri riguardo “Canta che ti passa #10

  1. soprattutto il becero sovranismo…
    chissà cosa succederà tra qualche settimana/mese, quando i freni inibitori imposti dall’emergenza saranno abbandonati anche da chi ora, a stento, si sta mordendo la lingua.. :-O

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    1. Sono contento che tu riesca ad avere questa opinione. Io penso che si, il mondo va sempre avanti, dopo qualunque disastro: ma non posso non pensare alle macerie che i grandi sconvolgimenti lasciano, e a chi ne rimane scjiacciato. Perchè questo inevitabilmente, per quanti striscioni coloriamo e quante frasi fatte continuiamo a dire – e che sinceramente stanno diventano stucchevoli – capiterà. I messaggi consolatori a tutti i costi, soprattutto quelli televisivi, vanno bene per un pubblico di bambini: ma per gli adulti serve un’altra narrazione, che dica seriamente come vanno le cose, e cosa quasi sicuramente capiterà fra pochi mesi, quando il rapporto debito/Pil in Italia arriverà a sfondare il 150%… Ce la faremo: forse si. Ma a che prezzo? Questa è la domanda

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      1. Mah. Trovi stucchevole il mio “Tutto andrà bene”?
        🙂

        Occorre avere un po’di ottimismo perché il “tutto” può diventare uno stato mentale e che non può far altro che male. Dipende da cosa si legge o si vede in tivù, una narrazione seria arriverà.

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      2. TI dico, non mi ritengo nè un millenarista nè un ottimista a oltranza, trovo entrambe le posizioni ingannevoli, sono per un realismo crudo. Le favolette o, al contrario, gli anatemi non servono a nulla, se non a imbonire chi è spaventato o arrabbiato. Qua siamo davvero davanti a un momento epocale, lavoro nel settore del credito e vedo cosa sta capitando. Che l’atteggiamento mentale sia quello che fa la differenza sono ultra d’accordo: ma non può certo accompagnarsi al chiudere gli occhi e proiettare sulle palpebre un film (positivissimo o negativissimo) che non ci sarà mai. Saranno cazzi, questo è sicuro: e piango per chi non ce la farà, e saranno in tanti… sia psicologicamente che economicamente. Per non parlare di derive sovraniste, che ahimé vedo sempre più vicine: con la miseria, la gente raramente si avvicina, ma cerca di difendere il suo castello, spesso a tutti i costi

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