Riprendo il filo, interrotto da alcuni mesi, della rubrica “I miei vinili“: e questa volta parliamo di copertine. E’ pur vero che, come dice un adagio popolare – e un vecchio rock’n’roll dal medesimo titolo – “non si deve giudicare un libro dalla copertina“: ma è anche innegabile che, purtroppo, l’abito fa il monaco; e che, per molti di noi, l’immagine cattura l’attenzione, si imprime e resta per sempre, spesso condizionando aspettative e memoria. In campo musicale, questo compito è svolto in primissima battuta dalla copertina del disco: un testo chiamato – al pari del sound e degli altri paratesti – a dare a ogni band (e allo specifico album) un’immagine chiara e riconoscibile.
Di copertine memorabili se ne possono citare a decine: da quelle parodistiche di Frank Zappa a quelle traboccanti (secondo i sostenitori delle teorie complottiste PID) di indizi sulla presunta morte di McCartney; da quelle floreali, arabescate e colorate del periodo psichedelico, a quelle illustrate in stile fumettistico; da quelle truculente e mefistofeliche del metal estremo, a quelle simpaticamente illustrative; da quelle concepite da grafici di fama, come Andy Warhol, a quelle semi-artigianali ma ugualmente geniali… E via dicendo.
Lo so, mi ripeto: ma anche per le copertine, le prime a colpirmi furono quelle dei gruppi che ancora adesso restano nel mio cuore… Iron Maiden e Pink Floyd. Le prime, per il carattere horror – ma anche ironico e metatestuale – dell’icona Eddie, e per la ricchezza di dettagli; le seconde, per la gran cura grafica e per le geniali idee dello studio Hipgnosis: tutti, anche i più indifferenti, hanno almeno una volta visto la “copertina della mucca” di “Atom Heart Mother”, o il prisma di “The Dark Side of the Moon”… Vere e proprie icone pop!
Ma a far elenchi non si finisce più (anche se ne parlerò in un altro post). Decisamente più intrigante è rilevare quanto nella mia testa l’immagine e la musica tendano a identificarsi, influenzando memoria e ascolto: e una copertina è il canale più ovvio attraverso cui questo avviene. Faccio subito un esempio: se penso, per dire, di ascoltare “Beggars Banquet” dei Rolling Stones, immediatamente la mente richiama quella copertina così provocatoria, con un cesso pubblico in primo piano; e se penso ai pezzi del disco, alle sensazioni, al loro andazzo, non riesco a immaginarli se non avvolti in quel senso di crudezza, di volgarità, di sguaiatezza suggerito dalla foto. Per me, i pezzi di “Animals” dei Pink Floyd saranno, e per sempre, inscindibili da quella copertina, così plumbea, urbana e surreale; e le canzoni di “Cheap Thrills” di Janis Joplin vivranno sempre di quel sentore da cartoon lisergico dei disegni di Robert Crumb.
Ed è per questo che, degli album di cui non ho per anni posseduto l’originale, ma solo una cassetta duplicata, o nemmeno quella, questa sinestesia si complica ma si afferma comunque: alla fine, un certo pezzo – che lo voglia o no – si legherà anche a un qualcosa di visivo… al volto dell’artista, a un video che ho visto, o a un ricordo personale di quella canzone cristallizzato in immagine.
Detto così, sembrerebbe che abbia una venerazione per la parte grafica dei dischi: in realtà no. Il mio rapporto con la grafica e l’immagine applicata alla musica è inconscio, sempre subìto e raramente agito. Mi piace guardare, osservare, a volte anche scrutare nei dettagli certe cover: ma quasi mai ho acquistato un disco per la copertina. Dico “quasi” perché ci sono due eccezioni: 1. I pochissimi casi di puro collezionismo, in cui è stata proprio la copertina “strana” – e non la musica – a guidarmi nell’acquisto; 2. “Sgt. Pepper’s” dei Beatles, storico capolavoro di pop art impossibile da “leggere” se non nella grande dimensione del disco, e che ho ri-comprato in vinile proprio per questo motivo.
Chiudo il post con un richiamo goliardico. I “diversamente giovani”, a proposito di copertine, ricorderanno sicuramente quelle di Fausto Papetti: un saxofonista impegnato in una serie quasi infinita di raccolte strumentali, acquistate quasi esclusivamente per le copertine, ricche di corpi femminili discinti, seni scoperti e velature maliziose. Simbolo di un’epoca in cui nudi e scene sexy – per i minorenni – erano roba da cercare col lanternino, fra cataloghi Postalmarket, filmetti con la Fenech e, appunto, anche qualche disco!
Ma ora veniamo a voi: che rapporto avete con l’aspetto visuale della musica? Anche per voi musica e immagine si parlano?Avete copertine cui siete affezionati, o che vi entusiasmano particolarmente? Attendo le vostre segnalazioni 🙂