I miei vinili: #9 – Le copertine, l’immagine e la memoria

Riprendo il filo, interrotto da alcuni mesi, della rubrica “I miei vinili“: e questa volta parliamo di copertine. E’ pur vero che, come dice un adagio popolare – e un vecchio rock’n’roll dal medesimo titolo – “non si deve giudicare un libro dalla copertina“: ma è anche innegabile che, purtroppo, l’abito fa il monaco; e che, per molti di noi, l’immagine cattura l’attenzione, si imprime e resta per sempre, spesso condizionando aspettative e memoria. In campo musicale, questo compito è svolto in primissima battuta dalla copertina del disco: un testo chiamato – al pari del sound e degli altri paratesti – a dare a ogni band (e allo specifico album) un’immagine chiara e riconoscibile.

Di copertine memorabili se ne possono citare a decine: da quelle parodistiche di Frank Zappa a quelle traboccanti (secondo i sostenitori delle teorie complottiste PID) di indizi sulla presunta morte di McCartney; da quelle floreali, arabescate e colorate del periodo psichedelico, a quelle illustrate in stile fumettistico; da quelle truculente e mefistofeliche del metal estremo, a quelle simpaticamente illustrative; da quelle concepite da grafici di fama, come Andy Warhol, a quelle semi-artigianali ma ugualmente geniali… E via dicendo.

Lo so, mi ripeto: ma anche per le copertine, le prime a colpirmi furono quelle dei gruppi che ancora adesso restano nel mio cuore… Iron Maiden e Pink Floyd. Le prime, per il carattere horror – ma anche ironico e metatestuale – dell’icona Eddie, e per la ricchezza di dettagli; le seconde, per la gran cura grafica e per le geniali idee dello studio Hipgnosis: tutti, anche i più indifferenti, hanno almeno una volta visto la “copertina della mucca” di “Atom Heart Mother”, o il prisma di “The Dark Side of the Moon”… Vere e proprie icone pop!

Ma a far elenchi non si finisce più (anche se ne parlerò in un altro post). Decisamente più intrigante è rilevare quanto nella mia testa l’immagine e la musica tendano a identificarsi, influenzando memoria e ascolto: e una copertina è il canale più ovvio attraverso cui questo avviene. Faccio subito un esempio: se penso, per dire, di ascoltare “Beggars Banquet” dei Rolling Stones, immediatamente la mente richiama quella copertina così provocatoria, con un cesso pubblico in primo piano; e se penso ai pezzi del disco, alle sensazioni, al loro andazzo, non riesco a immaginarli se non avvolti in quel senso di crudezza, di volgarità, di sguaiatezza suggerito dalla foto. Per me, i pezzi di “Animals” dei Pink Floyd saranno, e per sempre, inscindibili da quella copertina, così plumbea, urbana e surreale; e le canzoni di “Cheap Thrills” di Janis Joplin vivranno sempre di quel sentore da cartoon lisergico dei disegni di Robert Crumb.

Ed è per questo che, degli album di cui non ho per anni posseduto l’originale, ma solo una cassetta duplicata, o nemmeno quella, questa sinestesia si complica ma si afferma comunque: alla fine, un certo pezzo – che lo voglia o no – si legherà anche a un qualcosa di visivo… al volto dell’artista, a un video che ho visto, o a un ricordo personale di quella canzone cristallizzato in immagine.

Detto così, sembrerebbe che abbia una venerazione per la parte grafica dei dischi: in realtà no. Il mio rapporto con la grafica e l’immagine applicata alla musica è inconscio, sempre subìto e raramente agito. Mi piace guardare, osservare, a volte anche scrutare nei dettagli certe cover: ma quasi mai ho acquistato un disco per la copertina. Dico “quasi” perché ci sono due eccezioni: 1. I pochissimi casi di puro collezionismo, in cui è stata proprio la copertina “strana” – e non la musica – a guidarmi nell’acquisto; 2. “Sgt. Pepper’s” dei Beatles, storico capolavoro di pop art impossibile da “leggere” se non nella grande dimensione del disco, e che ho ri-comprato in vinile proprio per questo motivo.

Chiudo il post con un richiamo goliardico. I “diversamente giovani”, a proposito di copertine, ricorderanno sicuramente quelle di Fausto Papetti: un saxofonista impegnato in una serie quasi infinita di raccolte strumentali, acquistate quasi esclusivamente per le copertine, ricche di corpi femminili discinti, seni scoperti e velature maliziose. Simbolo di un’epoca in cui nudi e scene sexy – per i minorenni – erano roba da cercare col lanternino, fra cataloghi Postalmarket, filmetti con la Fenech e, appunto, anche qualche disco!

Ma ora veniamo a voi: che rapporto avete con l’aspetto visuale della musica? Anche per voi musica e immagine si parlano?Avete copertine cui siete affezionati, o che vi entusiasmano particolarmente? Attendo le vostre segnalazioni 🙂

22 pensieri riguardo “I miei vinili: #9 – Le copertine, l’immagine e la memoria

  1. Nelle copertine degli album c’è tanto di quel materiale da farne una collezione specifica, ah! La mia copertina preferita è l’album “Working With Fire And Steel” dei China Cris, simile per tema a quella dei Pink Floyd “Animals”
    Buona Epifania 🌹

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      1. Se ti piacciono le storie criminali anni 20, le sceneggiature che intrecciano passato e presente, le riflessioni su amicizia, occasioni perdute e tradimento… se ti piace Sergio Leone e morricone… se ami stare 4 ore a vedere un film (che con questa storia a me volano)… se ti piace De Niro… allora si assolutamente!

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  2. Beh io come sai ho un debole per i Pink Floyd, sono di parte… 😁
    Nel loro caso la copertina di volta in volta anticipava in qualche modo la musica del disco (A Saucerful of secreta), amplificava i temi della musica (hai fatto l’esempio di Animals), alludeva in modo surrealista ed enigmatico a significati che poi ti andavi a trovare con l’ascolto (Wish You Were Here), solo per fare alcuni esempi. La mia preferita è però Ummagumma, un trip mentale e concettuale irrisolto e irrisolvibile. Nel loro caso un uso decisamente creativo della copertina e del nome della band, che spesso era assente. Una forma d’arte nell’arte.
    Citerei anche Physical Graffiti degli Zeppelin, il palazzo con le finestrelle da muovere e sbirciare… Sfiziosa.
    Ciao.

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  3. La copertina di Powerslave nel periodo in cui il disco usci’ colpi’ l’immaginario collettivo. Gli Iron Maiden divennero un gruppo conosciuto anche ai non metallari per via di quella immagine (nonostante Eddie fosse già in giro sulle magliette). E’ un mio personalissimo ricordo, legato al profondo Sud Italia. La copertina di Papetti è molto “cool” anni 60. Nella società bacchettona di oggi sarebbe ipercensurata… ovviamente poi con un click si puo’ avere accesso a tutto quello che si vuole senza veli nella parte “nascosta” del web e della società. Copertine bizzarre, per i miei gusti: Atom Heart Mother dei Pink Floyd, ma un po’ tutte le loro copertine erano affascinanti e un pelo misteriose. Copertine belle: Quella degli Iron che hai evidenziato, le copertine dei Whitesnake: Come and get it (oggi sarebbe ultracensurata per la stessa cosa scritta di Papetti), Ready and Willing, Slide it in (e già i titoli erano abbastanza strappamutande, non solo le copertine), Deep Purple: In rock (geniale rifare il Rushmore con le loro facce di gesso), e Stormbringer, Litfiba: 17 Re, Black Sabbath (omonimo), Gli Yes avevano sempre copertine stupende e mi fermo qui, se vado nella mia disco-teca ne troverei altre. Ah ultima: Jethro tull: Aqualung e no un’altra: Tick as a brick… domanda addittiva la tua.

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