Breve storia delle classifiche discografiche #1

Ciao a tutti. Oggi, ispirato dalla mia passione per la storia della musica pop, vi parlo delle classifiche discografiche: in questa prima puntata affronterò quelle di matrice americana (piaccia o meno, il mercato più influente a livello mondiale), mentre nella prossima mi concentrerò su quelle italiane.

Le classifiche – o charts, o hit parade che dir si voglia – sono sempre state, e soprattutto negli States, simbolo per eccellenza del business e dello spettacolo, uno strumento indispensabile per capire dove tira il vento, e su quale cantante, o genere, porre maggiormente l’accento.

Le chart, oltre a testimoniare quali siano i gusti di massa, sono anche molto interessanti perché sono legate a doppio filo sia al progresso tecnologico, evidenziandone svolte e momenti storici, che all’autoconsapevolezza sociale e razziale di quell’enorme polpettone etnico che sono gli Stati Uniti.

La Bibbia di tutti gli appassionati di musica e di vendite è, cent’anni fa come oggi, Billboard. Questa rivista nasce a Cincinnati nel 1894 col nome di “Billboard Advertising”: da generico giornale di annunci, dopo pochi anni inizia a specializzarsi in spettacoli, cinema e radio. Su Billboard, con cadenza settimanale, si può trovare risposta a qualunque esigenza del settore: recensioni di dischi e di spettacoli, annunci di lavoro, e notizie varie… Fra cui, appunto, le prime forme di hit parade.

Il 19 Luglio 1913 Billboard pubblica la più antica classifica della storia, dedicata alla vendita di spartiti… Si, spartiti! In quell’epoca, infatti, la cosiddetta “sheet music” – e non il disco – rappresenta la fonte principale di incasso per gli editor. Per la cronaca: al numero uno, in quel giorno, è l’allegra “Malinda’s Wedding Day” di Byron Harlan e Arthur Collins.

Il 4 Gennaio 1936 i dischi hanno, e ormai da tempo, sopravanzato gli spartiti, e Billboard si adegua, pubblicando la Ten Best Records for Week Ending: la graduatoria elenca i 10 dischi (ovviamente, tutti “singoli”) più venduti di tre importanti case discografiche, con dati forniti dalle società stesse. Qua a imporsi è il jazz ballabile “I Can’t Get Started” by Bunny Berigan… Ma è ancora un esperimento.

Il 20 Luglio 1940 arriva la più affidabile Music Popularity Chart, che esprime valutazioni di gradimento articolate e complesse, suddivise per tipo di mercato (radio, negozi e jukebox) e per macroregioni geografiche. Il primo vero “numero uno” della storia è assegnato a “I’ll Never Smile Again” della Tommy Dorsey Orchestra (con alla voce un certo Frank Sinatra).

Ma non di solo pop e jazz vive l’uomo… Esistono altri due mercati, chiaramente caratterizzati e individuabili: la musica “per neri” e il folk montanaro, ognuno riferito a  gruppi di consumatori (e di classi sociali) differenti, e ognuno dotato di grandi potenzialità economiche. E Billboard, fra il 1942 e il ’44, dà conto di questa situazione istituendo due nuove classifiche: la “Harlem Hit Parade” (che poi diventerà la “Hot rhythm’n’blues singles”) e la “Most played Folk Records”.

Questa ripartizione di mercato sintetizza bene – e certo non in modo onorevole – sia la struttura macroscopica della società statunitense, che il concetto fondamentalmente razzista e a caste che la guida: le barriere – razziali e culturali – sono al momento forti, e tali si pensa saranno per sempre… E se servono a far soldi, va benissimo! A patto, ovviamente, di evidenziare in tutti i modi possibili (classifiche comprese) le differenze.

Ma fra il 1954 e il ’56 arriva il rock’n’roll: e tutto cambia. Le barriere fra le pop, rhythm’n’blues e country cadono come birilli: il crossover, da eccezione, diventa la regola. Ogni musicista degno di questo nome – Ray Charles e gli Everly Brothers sono i casi più in vista – cessa di essere il paladino di una sola graduatoria per trasformarsi in un vero e proprio “asso pigliatutto”. E il mercato riflette lo sconvolgimento nel solo modo che sa fare: con i dati delle classifiche.

Ed è così che, il 4 Agosto 1958, debutta la “Billboard Hot 100“… Una classifica che, pesando i dati provenienti dalle vendite nei negozi e dei passaggi in radio dei singoli, esprime una sintesi dei gradimenti del pubblico: e che, soprattutto, esclude qualunque separazione razziale e di genere: basta che il pezzo sia il più venduto, e sarà il “numero 1”… Un segno che i tempi stanno davvero cambiando. Per la cronaca, in quel 4 Agosto troviamo al primo posto “Poor Little Fool” del teen idol Ricky Nelson.

E, da qui, la storia continua, con Billboard che – ancora oggi, attiva più che mai – si dimostra flessibile e capace di cogliere lo spirito dei tempi, con continui adattamenti e correzioni di rotta, a volte semplicemente nominali (ad esempio, abbandonando  il termine “rhythm’n’blues” a favore di “soul”), e altre ben più sostanziali. L’ultima, importante, rivoluzione avviene nel 2003 quando la rivista decide di integrare i passaggi in radio e le vendite di dischi “fisici” con le vendite di supporti digitali e delle fruizioni in streaming.

Billboard, viva e vegeta, stila e pubblica settimanalmente circa un’ottantina di classifiche differenti, divise per numeri di posizioni contemplate (i migliori 40, 100 o 200), per generi (dance, rap, R&B, country, ecc) e per paesi di rilevamento delle vendite (dalla Francia all’Ecuador, dalle Filippine al Lussemburgo): ma la regina resta sempre la storica e mitica Hot 100, desiderio e obiettivo di ogni popstar che si rispetti.

***

E ora, per alleggerire un po’ il tutto, vi propongo qualche primato della Hot 100, sempre e solo riferito ai singoli.

  1. “Old Town Road”, di Lil Nas X: maggior numero di settimane in vetta (19);
  2. “Heat Waves”, di Glass Animals: maggior numero di settimane totali in classifica (91);
  3. “Me”, di Taylor Swift: maggior “salto” in classifica nel giro di una settimana, con ben 98 posizioni (dalla 100 alla 2);
  4. “Purple Rain”, di Prince (riedizione del 2016): più grande uscita dalla Top100 nel giro di una settimana (dal 4° posto al “fuori”);
  5. “You Are Not Alone”, di Michael Jackson: debutto diretto al numero uno;
  6. “Nel blu dipinto di blu”, di Domenico Modugno: numero uno di maggior successo non in lingua inglese;
  7. Beatles: artista con più numeri uno (20);
  8. Mariah Carey: artista con maggior numero di settimane al numero uno (93):
  9. Beatles: artista con maggiori numeri uno in un anno (6):
  10. Stevie Wonder: l’artista più giovane ad avere una numero uno (11 anni e 155 giorni di età).

A presto con la seconda parte di questo post!

6 pensieri riguardo “Breve storia delle classifiche discografiche #1

Se ti va, rispondi, mi farà piacere leggere e rispondere ad un tuo commento, grazie! :-)