Scacchi e musica – Prima parte

Di scacchi, tarocchi e Difese Francesi

 

La Chess Records è una delle realtà discografiche più importanti e storiche degli States, soprattutto per chi pensa che il blues di Chicago sia “il blues”: nei suoi studi hanno inciso leggende come Ike Turner, Howlin’ Wolf, Chuck Berry, Big Billy Broonzy, Bo Diddley, Willie Dixon, John Lee Hooker, Etta James, Sonny Boy Williamson II e altri ancora… Ma cacchio, proprio questo nome dovevano inventarsi i fratelli di origine ebreo-polacca Lejzor (Leonard) e Fiszel (Phil) Czyż, quando hanno dato avvio alla loro impresa? Già, perché “Chess”, in inglese, significa “Scacchi”: e, pur amando visceralmente il Chicago blues, il loro nom de plume mi ha creato un sacco di grane, mentre cercavo materiale per questo articolo. E soprattutto quando mi sono incaponito a trovare copertine a tema scacchistico: googleando robe come “chess-themed disc covers” o simili mi sono più volte schiantato contro una vera e propria muraglia di dischi Chess, e solo per sfinimento sono riuscito a trovare la soluzione desiderata.

Ma perché questa ostinazione? Semplicemente perché, se la musica e il cinema sono le mie passioni più grandi, gli scacchi vengono subito dopo, al pari delle bistecche in carpione, dei fumetti di Sandman e della pennica del pomeriggio.

Non è difficile immaginare un musicista d’orchestra, soprattutto se di cultura russa, accanto a una scacchiera: forse perché scacchi e musica classica appartengono allo stesso immaginario collettivo, fatto di rigore, impegno, concentrazione e seriosità. E, come a confermare questo stereotipo, Beethoven, Borodin, Brahms, Shumann, Chopin, Dvorak, Horowitz, Mendelssohn, Musorgskij , Rimskij-Korsakov, Bernstein e Šostakovič furono tutti, a vario titolo, appassionati di scacchi. Sergej Prokof’ev, nel 1914, arrivò addirittura a battere il campionissimo cubano Raul Capablanca durante un’esibizione in simultanea, e così sintetizzò la fatale attrazione fra musicisti e scacchisti: «Entrambi sono attratti da strutture intellettuali simili, per le quali adoperano le stesse parole: armonia di movimenti, composizione e studi, il tempo, l’annotazione, l’attacco. Il buon giocatore “sente” una posizione di scacchi come una melodia ed è attratto egualmente dal piacere estetico di una partitura musicale e di una partita di un grande Maestro (altro termine in comune fra musica e scacchi)».

Stride invece con il senso comune immaginare Lemmy dei Motorhead immobile, davanti a una scacchiera, mentre si arrovella per mettere in difficoltà Iggy Pop… E infatti i due (per quanto si sappia) non sono mai stati adepti della dea Caissa. Ma la pattuglia di scacchisti, anche nel campo di rock e jazz, non è certo secondaria: fra i più noti, troviamo l’insopportabile vocalist degli Yes, Jon Anderson (e la canzone “Your Move” è più di un’allusione al gioco), Bono degli U2, David Bowie, Kurt Cobain, un po’ tutti i Jefferson Airplane, Dizzy Gillespie, Willie Nelson, Madonna, Gene Krupa, Ray Charles (sì, era cieco… ma esistono scacchiere anche per i non vedenti), la famiglia Lennon al gran completo, Joni Mitchell, Moby, Charlie Parker, Ringo Starr e Wu-Tang Clan. Qualcuno ha fatto di più che giochicchiare a tempo perso: il poliedrico Anthony Braxton ha scritto alcuni studi sui legami fra scacchi, musica e matematica, mentre il trombettista Chris Botti ha disputato una gara contro nientepopodimeno che Garry Kasparov.

La difficoltà del gioco, i continui ribaltamenti, l’inevitabile – e anche un po’ retorico – parallelo fra la lotta per la sopravvivenza e la “psicologia da killer” del campione, e fra la schermaglia scacchistica e quella amorosa (canta De Gregori: “È troppo tempo amore che noi giochiamo a scacchi / mi dicono che stai vincendo e ridono da matti / ma io non lo sapevo che era una partita / posso dartela vinta e tenermi la mia vita”), hanno fatto capolino in molte canzoni. Il collettivo hip hop Wu-Tang Clan ha intitolato un suo pezzo “Da Mystery Of Chessboxin’”, e nella sua “Weak Spot” ha fatto una corposa allusione alla disputa sulle 64 caselle. La citazione più famosa appartiene però a Bob Dylan: che, negli anni del Greenwich Village, passava ore e ore a giocare al Cafe Figaro, e che – per affermare come l’assassino dell’attivista Medgar Evers non fosse il “solo colpevole” – usò la metafora del pedone in un gioco più grande (“Only a Pawn in Their Game”)… Inutile dirlo, una presa di posizione poco gradita alle ali più radicali del movimento, e che il buon Bob ebbe l’ardire di cantare alla famosa Marcia del ’63: quella, tanto per capirci, di “I have a dream”.

E gli italiani? Ci sono, ci sono… A iniziare dal maestro (musicale) Ennio Morricone, grande appassionato e assiduo giocatore, e che agli scacchi ha dedicato riflessioni non banali: “Gli scacchi hanno a che fare più con la musica che con la pittura, perché in essi c’è scansione temporale, tempo ed energia, contemporaneamente in movimento: ci si può specchiare in essi e capire aspetti del proprio carattere. Possono essere un mezzo per entrare dentro noi stessi. Sono una filosofia”.

Il professor Vecchioni, nel suo libro “Scacco a Dio” (2009), ha riservato un racconto a Raul Capablanca, facendone un modello di vita: «Talento pazzesco, donnaiolo, che non si allenava mai e si godeva le cose. Il suo motto era “L’importante non è vincere, ma decidere di farlo”».

Per dedizione e competenza Enrico Ruggeri è sicuramente il più credibile del mucchio: ha giocato una simultanea contro il campione del mondo Anatolij Karpov, nelle tournée si porta sempre dietro una scacchiera e ha intitolato il suo mini-album del 1986 “Difesa Francese”, col nome cioè di una storica e solida strategia difensiva. Sulla copertina vediamo l’autore (con una faccia un po’ da pirla, occorre dirlo) impegnato in una partita francese contro un bambino, e la busta interna riporta una vera e propria dichiarazione d’amore: “Questo album è dedicato ad Adolf Anderssen, Paul Morphy, Alexandr Alekhin, Bobby Fischer e a tutti coloro che hanno svelato la grande umanità, sostenuta dal pensiero scientifico, del più nobile dei giochi”.

Meno didascalico e più allusivo, De Gregori piega gli scacchi alle sue metafore ermetiche: la canzone “Scacchi e Tarocchi” (1985) parla dei brigatisti (“Erano bocca e occhi, scacchi e tarocchi, erano occhi e brace, giovani vite, dentro una fornace”), mentre in “Le storie di ieri” sbeffeggia la nuova destra (quella degli anni Settanta) con un acuto ammonimento: “A giocare col nero perdi sempre”. Il pungente Frankie Hi-NRG MC ribalta completamente la prospettiva: a Sanremo del 2008, mentre presenta il brano “La rivoluzione”, allestisce una partita surreale con Simone Cristicchi e apre la gara muovendo un pezzo nero, affermando così la necessità di violare le regole.

Anche se ne farei volentieri a meno mi tocca, per completezza, citare Giuseppe Povia e il suo album “Scacco Matto” (2010): ma mi disinfetto subito da piccioni, bimbi che fanno ohh e gay da convertire evocando le interminabili partite notturne fra il cantautore livornese maudit Piero Ciampi e il sovversivo attore Carmelo Bene, degne di un romanzo d’appendice. E chiudiamo in bellezza con Giorgio Gaber che – a quattro mani col paroliere Giorgio Luporini – dedica agli scacchi l’omonimo monologo e – in “Strategie familiari” – inscena una partita fra un figlio, venuto a bussar cassa, e il padre, impenitente perdigiorno: tenzone in cui gli svarioni del genitore sono un tranello per impietosire il giovane, e sottrarsi alla richiesta (“Cosa fa? Cavallo in h3? Non c’è più con la testa. Mi dispiace… Forse la sua memoria non è più quella di una volta”).

Dopo i musicisti-scacchisti, e i testi a tema, ora toccherebbe alle copertine: ma il materiale è parecchio, e il tempo è poco. Come durante una partita, l’orologio impone la sospensione del gioco: metto in busta la mia mossa, la sigillo e consegno il tutto al giudice. Riprenderemo la gara domani (o, fuori di metafora, fra qualche settimana!).

7 pensieri riguardo “Scacchi e musica – Prima parte

  1. Pezzo splendido: non sapevo che così tanti musicisti, di ogni epoca, nazionalità e stile musicale, non solo amassero ma addirittura eccellessero negli scacchi. Grazie per le tante chicche ^_^
    Segnalo che i Wu-Tang Clan erano principalmente appassionati di cinema marziale, tanto da arrivare a mixare nelle loro canzoni temi musicali presi da storici film di Hong Kong. La canzone che citi è un omaggio a “The Mystery of Chess Boxing” (1979), delizioso filmetto marziale nato sull’onda dello stile lanciato da Jackie all’epoca: ora che me l’hai ricordato dovrei rispolverarlo e recensirlo 😉

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