Beatles, “Now and Then”: la sindrome dell’arto fantasma

La cosa è nota: ne hanno parlato i tg, le fanzine, i siti, i canali, i blogger, gli appassionati, e forse anche mia mamma ne sa qualcosa. Sì, il 2 Novembre – giorno dei Morti – è uscito l’ultimo, definitivo, singolo dei Beatles: “Now and Then“. Ma i Beatles non si erano sciolti nel ’70? E non è forse vero che di vivi ne sono rimasti solo due? Certo, ma il singolo è uscito lo stesso, suonano tutti e quattro, e canta Lennon. Un bel casino… Vediamo di fare un po’ di chiarezza, procedendo per punti. E, questa volta, non sarò breve: ma tenete duro, provate a leggere, poi mi direte.

Una gestazione da elefanti…

  • 1977: John Lennon, residente al Dakota Hotel di New York, e discograficamente fermo da 2 anni, strimpella al pianoforte un nuovo pezzo, e lo incide sul registratore portatile, con la tv e il rumore del traffico in sottofondo; il brano, per sola voce e piano, dura circa 5 minuti. Su quel nastro, nei due anni successivi, andranno a finire almeno altri 3 pezzi.
  • 1980: John Lennon è ucciso dal folle Mark Chapman.
  • 1994: Paul McCartney, in vista dell’uscita di una nuova antologia dei Beatles (in 3 volumi, ricca di demo), chiede a Yoko Ono, vedova di Lennon, se ha qualche nastro inedito del marito. Yoko consegna a Paul la famosa musicassetta. I 3 Beatles superstiti mettono mano a due canzoni del nastro (“Real Love” e “Free as a Bird”), completandole con nuovi interventi strumentali, cori e arrangiamenti; il terzo pezzo, “Grow Old with Me”, è stato già sviluppato e pubblicato nel disco postumo di Lennon, “Milk and Honey”, e quindi non se ne occupano; il quarto, “Now and Then”, ha una qualità sonora molto scarsa, ma provano lo stesso a lavorarci…
  • 1995. A Febbraio, George Harrison incide una parte di chitarra per “Now and Then”, ma non è soddisfatto… Secondo lui, da quel nastro è impossibile tirar fuori qualcosa di decente: “Lasciamo perdere”. A Novembre esce “Anthology 1”, in cui si trova invece l’inedito “Free as a Bird”.
  • 1996. A Marzo, esce “Anthology 2”: il primo brano in scaletta è l’inedito “Real Love”.
  • Del terzo pezzo abbiamo già detto…ma quel maledetto quarto pezzo, “Now and Then”, continua a girare nella testa di McCartney! E girerà almeno fino al 2021.
  • 2021. Il regista Peter Jackson rielabora digitalmente le pellicole girate nel ’69 durante la lavorazione di “Get Back“, e ne trae un docu-film in tre parti, trasmesso su Disney+ (ne ho parlato qui, qui e qui).
  • 2022. Durante il suo tour, McCartney – per l’esecuzione di “I’ve Got a Feeling” – appronta una sorpresa: un “duetto virtuale” con Lennon, utilizzando frammenti video del famoso “Rooftop Concert”. Ma c’è ben altro che bolle in pentola…

With a little help from my pc

Sono intanto passati 27 anni da quel 1995 in cui i Fab Three provarono a rivitalizzare “Now and Then”: Harrison è morto nel 2001, Ringo e Paul sono due ottantenni, ma l’entusiasmo è ancora alto… E la tecnologia ora fa davvero miracoli. Con l’Intelligenza Artificiale (o roba simile) è possibile pulire quel nastro alla perfezione, ed estrarre la sola voce di Lennon, senza fruscii, rumori di fondo e pianoforte. Su questa scarna traccia, con un lavoro davvero impressionante (la produzione è affidata a Giles Martin, figlio dello storico producer George), nell’arco di qualche mese si depositano tracce sonore nuove e vecchie, fino a giungere al pezzo completo.

  • John Lennon: voce (traccia del 1977)
  • Paul McCartney: piano, basso, chitarra (tracce del 2022)
  • George Harrison: chitarra (traccia del 1995)
  • Ringo Starr: batteria (traccia del 2022)
  • George, Paul, John e Ringo: cori (tracce del 2022 ed estrapolazioni del 1966/69)

E’ nato, è nato!

Dopo mesi di sussurri, mezze voci e annunci ufficiali, la “nuova” canzone dei Beatles è a disposizione del pubblico, prima in streaming mondiale (il 2 Novembre 2023) e poi in formato fisico (il 3 Novembre), assieme a un video standard, e a un video-documentario di 12 minuti. La copertina del singolo è realizzata dal famoso artista pop Ed Ruscha.

E’ tutto suo padre!

Sentire la voce di Lennon su un pezzo e un’aria mai ascoltate prima, e a 43 anni dalla sua morte, è un’emozione fortissima. La melodia è triste e malinconica, semplice ma efficace, e resta subito in mente. La canzone è sua, non c’è dubbio: sua l’essenzialità del testo (essenzialità tipica della sua ultima produzione, beninteso), suo il lineare andamento melodico, sua la dolcezza del timbro vocale.

Ma no, è tutto sua madre!

In rete si trova facilmente il demo originale: confrontando il prima e il poi, si nota che il pezzo del 2023 è più corto di almeno 1 minuto, mancando di una parte del testo e di due bridge, probabilmente eliminati da Paul. Questo rende il brano forse più diretto e immediato, ma anche privo di quelle spigolosità che Lennon amava inserire nei suoi pezzi. Si sente forte, inoltre, la presenza di McCartney: per le esecuzioni strumentali, in gran parte sue, per la concezione dei cori di accompagnamento, e soprattutto per la genesi del progetto, fortemente voluta proprio da Sir Paul.

Omioddio, ma è un mostro!

Ma non è che, a forza di taglia e cuci, di copia e incolla, di voci dall’oltretomba evocate al computer e di vecchietti col basso a tracolla e capelli tinti, ‘a creatura – più che a un roseo bambino – somiglia a un piccolo mostro di Frankenstein, con tutte le suture in vista? L’impressione c’è: anche se è un’idea nata più dalla consapevolezza della vicenda, che dal puro ascolto. Per chi non sapesse nulla, potrebbe sembrare un pezzo nuovo di zecca: forse un po’ demodé, ma nulla di diverso.

Ma basta! E’ bello come il papà, e anche come la mamma!

Alla fine, nonostante i sospetti horror, la canzone è comunque – almeno musicalmente – un pezzo dei Beatles: tutti, anche se a distanza di anni e di chilometri, hanno messo, nell’idea e nell’esecuzione, del loro, e il marchio Beatles è evidente e riconoscibile. Anche molte canzoni del “White Album” furono composte così: con l’idea melodica di un Beatle bella chiara, e gli altri nel ruolo di band di supporto. E poi: sulla famosa musicassetta di John pare fosse scritto “For Paul“, “per Paul”… Se non è questo un indizio!

La sindrome dell’arto fantasma

Però, però… Anche nei momenti più tesi della loro storia, fra Paul e John c’era sempre una collaborazione, seppur implicita: ognuno “sentiva” la pressione silenziosa dell’altro, e questo lo forzava a impegnarsi di più. Per loro – come per altre coppie di autori – funzionava il detto che “la somma è maggiore delle due parti”. In “Now and Then” questo duello si è ovviamente perso: penso che, per quanto Paul (e Ringo) abbiano voluto rispettare lo spirito di John, la sua non-presenza fisica si sia fatta sentire, rendendo il risultato tanto apparentemente riuscito quanto creativamente monco. A proposito di monchi: conoscete quel fenomeno noto come la “sindrome dell’arto fantasma“? Quando cioè si ha una viva percezione di un arto che però, a causa di un’amputazione, non è più presente? Ecco!

Ma mi piace o no?

Alla fine, qual è la mia opinione? Per quanto riguarda il valore estetico del brano, gli darei un 7: è piacevole, struggente ma con sprazzi di ottimismo, semplice e orecchiabile, ben suonato e arrangiato… Il classico “brano minore” che non tutti conoscono, ma che merita considerazione. Ad collocarlo nella loro discografia classica avrei però difficoltà: con gli anni Sessanta non ci azzecca proprio! Alla domanda se mi dà fastidio l’uso della tecnologia rispondo con un secco NO: a parte che di ripuliture e duetti virtuali è ormai pieno il mondo, in questo caso la vituperata AI è stata usata solo per estrarre la voce di Lennon dal demo originale… Il resto è frutto di strumenti “fisici”. Infine, sul senso dell’operazione…

Voglio trovare un senso a questa storia

C’è da riflettere, su questa cosa. Innanzitutto, mi chiedo quale possa essere il senso per il principale artefice dell’operazione, Paul: la mia idea è che si tratti di un tentativo (magari inconscio) di riscrivere un evento mal digerito, la fine dei Beatles. Là dove ci furono divisione, litigi e lontananza, Paul vuole costruire amicizia, unità e comunione. E, anche, realizzare non tanto “una canzone dei Beatles”, ma una “canzone-tributo ai Beatles“: un tributo a una storia “bigger than life“, e che chiude un cerchio iniziato 60 anni prima… Non a caso, sulla B side del singolo c’è “Love Me Do”, il primo pezzo mai inciso dai Fab Four. E, infine, abbracciare per l’ultima volta l’amico John: che, nel loro ultimo incontro, lo salutò con queste parole: «Think about me every now and then, old friend»… “Di tanto in tanto pensa a me, vecchio amico mio“. E direi che Paul ha tenuto fede alla richiesta.

Pensiamo invece al senso “esterno”: beh, che questo sia un brano indispensabile, ovviamente no! Ma che la nuova uscita di una band sciolta da 50 anni possa ancora far parlare di sé la dice lunga su quanto – per una parte significativa del pubblico e della stampa – certi nomi e certa musica siano ancora importanti; e sappiano superare in entusiasmo le ultime star, sfornate incessantemente da social e talent show, e quasi puntualmente finite nel cestino dopo pochi mesi. Che poi, come dicevo all’inizio, la canzone sia uscita il giorno della Commemorazione dei Defunti, all’altra metà del pubblico non potrà che suscitare diabolici sogghigni! A ognuno il suo.

I figli… so’ pezzi ‘e core

Ma, dopo tutte le pensate e le analisi critiche, a rimanere nel cuore sono i lucciconi venuti a me – e, insospettabilmente, anche alla mia metà – alla visione del videoclip: un video che mescola e sovrappone filmati e immagini di ora, di ieri e di allora, attingendo a riprese ufficiali e amatoriali, edite o inedite… Anche tirando in ballo gli archivi personali di Pete Best, il batterista finanziariamente più sfigato della storia, silurato per far posto a Ringo, e che del successo dei Beatles non vide che poche briciole. Un video tecnicamente eccelso quanto narrativamente banale: ma che sì, mi ha emozionato. Perché le storie di amicizia, incomprensioni, liti e chiarimenti sempre cercati, ma mai arrivati; l’imperterrito srotolarsi del tempo, che tutto inghiotte e pareggia; e la musica, che è arte, sentimento e vita… Oh ragazzi, mi ci perdo: non sono mica di legno!

16 pensieri riguardo “Beatles, “Now and Then”: la sindrome dell’arto fantasma

  1. A me la canzone piace molto.
    Ho letto, anche in siti specializzati, la genesi di questo brano. Non ci trovo nulla di strano, ad essere sincero. Più volte in passato, specialmente da registrazioni “Live” o da “demo” si è cercato di estrarre un brano “pulito”. La differenza è che oggi abbiamo migliori strumenti digitali per equalizzare meglio i suoni e separarli tra loro sulla base delle frequenze.
    Il fatto che poi, in produzione, siano state aggiunte delle parti, anche qui non mi stupisco affatto. Quante volte – pensiamo ai remix – si mettono le mani ad un brano per arricchirlo nei suoni o nelle voci?
    In complesso a me sembra una ottima idea, premiata anche dal pubblico, dato che il disco – nei suoi formati fisici – è andato esaurito in un attimo (ed io sono arrivato tardi, mannaggia).

    La copertina non mi piace. I Beatles non c’entrano molto con la pop-art, sarebbe stato meglio – a mio parere – rifarsi alla “psichedelia” di quegli anni.

    Ciao CC

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      1. Capisco i punti di vista, ma io “sento” proprio il loro suono e le loro atmosfere, per questo mi piace.

        In confronto a “Real Love” e “Free As A Bird”, qui la qualità audio è 100 volte meglio.

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      2. Sarà che io ascolto anche roba di un secolo fa e quindi la qualità se c’è mi fa piacere soprattutto in certi generi ma non ne sono un fan a tutti i costi. Qui in effetti hanno fatto un lavorone in stile.

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      1. Non avendola ancora ascoltata non so che dire
        Un inedito non vuol dire niente visto che non è che hanno fatto solo belle canzoni.
        Battisti aveva un disco pronto che la moglie non ha mai voluto pubblicare.
        Se era come gli ultimi ha fatto bene.

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