Essere se stessi
(…continua dalla prima parte…)
Ma i Beatles non si erano sciolti? Il 10 Gennaio ’69, Harrison non aveva mollato tutto e tutti, abbandonando gli altri 3 attoniti Fab Four durante le prove del progetto “Get Back”? E la prima parte del documentario di Peter Jackson non si era interrotta proprio sull’inutile tentativo di mediazione avvenuto due giorni dopo? Quindi, a dirla tutta: ma che ci sarà da dire nella seconda (e nella terza) parte?
Eppure, è lunedì 13, e i superstiti – con i cappotti lunghi… e i musi pure! – tornano ai Twickenham Studios: arriva un mazzo di fiori per George, mandato dagli Hare Krishna, e McCartney parla di John e Yoko… Quella “scimmia” (così la chiamava scherzosamente Lennon, eh!) può anche stare sul cazzo, appiccicata come una cozza al suo uomo, ma – parole di Paul – se John ci tiene tanto, e vogliono stare vicini, non sono proprio affari loro!
Qualcuno, nel mentre, ha pure un’idea iper-carina sul fantomatico show del 20 (che però, visti gli ultimi sviluppi, viene spostato al 27!), e cioè intervallare canzoni e breaking news; ma tutto, anche se sottotraccia, gira attorno alla defezione di Harrison. Un tecnico ha la genialata di nascondere un microfono in un vaso di fiori, e così possiamo spiare i boss John e Paul (Ringo no, mica lo chiamavano!), appartati, discutere sullo stato d’animo del gruppo e dei loro rapporti con George… Vorrebbero incontrarlo, ma per tre giorni non se ne parla, il ragazzo è a Liverpool: tutti a casa! Martedì va in onda il nulla: cazzeggio puro. Sul set, per qualche minuto, arriva anche Peter Sellers; un Peter per nulla istrionico e scoppiettante, però, ma stranamente controllato e british.
Mercoledì 15 avviene il famoso meeting, di cui ovviamente non ci sono filmati: ma questa volta i cocci tornano assieme. George rientrerà, e d’ora in poi le prove si faranno agli studi Apple di Savile Row. Fra problemi tecnici, traslochi ecc ecc passa quasi un’altra settimana, e arriviamo a lunedì 20. Finalmente i Fab Four sono di nuovo assieme, gli strumenti al collo, e i volti distesi… La musica torna a correre, e inizia il vero godimento.
Lennon, in questa puntata, sembra un altro: ironico, pungente, divertente e divertito (“Ed ora i vostri anfitrioni, i Rolling Stones!“, continua a ribadire). E Macca sta al gioco: i tabloid parlano di liti furibonde, di un gruppo alla frutta che non suscita più interesse, e Paul inizia allora a declamare velenosamente un articolo, mentre John e gli altri attaccano la vecchia “Good Rockin’ Tonight“; ne nasce una jam che mi ricorda tanto i blues degli anni Venti, in cui l’attualità precipitava nelle 12 battute improvvisate del songster di turno.
Le canzoni ci sono, gli arrangiamenti pure, e il clima è costruttivo: certo che, per migliorare il sound, ci vorrebbe un piano elettrico: una diavoleria non così ovvia, all’epoca, e che suona così cool… Ma, nonostante siano top star (e che se vogliono un piano elettrico, un minuto dopo ce l’hanno!), i Beatles sono ancora lì a correggere i testi a mano, con penna e carta, e a stipare un giornale dentro al piano, per simulare il sound honky tonk. Mai un momento di agitazione o ansia, figurati: nessune vanità o bizzarrie da fighette, ma la serena calma di chi sa chi è, e cosa deve fare.
“Dig a Pony“, intanto, prende forma. E, chiamato da Harrison, in studio arriva il tastierista e cantante di colore americano Billy Preston, che i Beatles hanno conosciuto nel ’62 ad Amburgo: e, da buon ex ragazzo prodigio, si siede alla tastiera ed entra in “Don’t Let me Down” come se finora non avesse fatto altro. Una roba da lucciconi agli occhi! E non parliamo del resto delle prove: “Oh! Darling“, “Polythene Pam“, “Maggie May“, “Get Back” e infinite cover (“Save the Last Dance for Me”, “Twenty Flight Rock”, “My Baby Left Me” e “You’re My World”, cover de “Il mio mondo” di Paoli e Bindi).
Paul, un giorno, ricorda il viaggio in India, alla corte del famoso Maharishi Yogi: un evento iconico, e che aveva lanciato la moda del misticismo induista in ambito rock. E Peter Jackson inserisce alcuni vecchi frammenti in Super8 della spedizione… “Volevamo essere noi stessi“, spiega il più mistico di tutti, George, “ma l’ironia è che se fossimo davvero noi stessi, non saremmo affatto come siamo ora“.
Ma finché la musica continua, tutto andrà bene! John e Paul, occhi negli occhi, come i ragazzini che sono stati, cantano mille volte “Two of Us“, “Due di noi”, cambiando ogni volta – per puro trastullo – la pronuncia, e se la spassano. Poi tocca a George e John bullizzare Paul per la sua nuova “Let It Be“: un pezzo che Lennon ha mai digerito, e si vede… Mentre lo provano “mangia” il microfono, ironizza sulla ripetitività del ritornello, si sbraccia, insomma fa il picio! E poi George incide la sua “For You Blue“: sentire Harrison cantare mi commuove, come vedere il suo sguardo tenero, calmo ma anche inquieto, di chi sta cercando qualcosa ma non sa ancora bene cosa. Eh sì: ridono, suonano e scherzano, ma uno spettro si aggira per lo studio.
Intanto si incide, si ascolta, si corregge: via, non ci pensiamo! Resta però aperta ancora una questione: ma il film si farà? E il disco? E, soprattutto: il concerto? Paul, più di tutti, vorrebbe una cosa esplosiva, ma dove, come, quando? Il producer Glyn Johns ha l’idea buona: usare il tetto della Apple Records. CHE CAZZO DI COLPO DI GENIO. E la data sarà 4 giorni dopo, mercoledì 24 Gennaio.
Se il cliffhanger che chiudeva la prima puntata era un po’ costruito – sembrava che i Fab si fossero sciolti per sempre, quando invece solo pochi giorni dopo tutto era (sembrava) rientrato – questo è pura e semplice storia: e ci siamo capiti, ne parleremo alla prossima (e ultima) puntata.
Abbiamo parlato di:
- “The Beatles – Get Back – Pt. 2” (2021, UK/Nuova Zelanda/USA, 173 min)
Regia: Peter Jackson
Interpreti principali: John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr