I vitellini di Felloni #3

Federico Fellini: tutti i film

Dopo la prima e la seconda parte, eccoci arrivati alla terza e ultima della mia breve rassegna sul Federico nazionale, il Grande Incantatore… Quella, a detta di tutti, più autarchica, in cui FF “si guarda l’ombelico”, chiuso nei teatri di posa di Cinecittà e nel suo onirismo. Vediamo un po’…

17. “Amarcord” (1973): FF torna alla sua infanzia, alla famiglia scombiccherata e vociante, alla Rimini delle battone e dei professori di scuola, al passaggio del transatlantico Rex e alla visita del Duce, agli zii impazziti e alle suore nane, e alle seghe pensando alla Gradisca e alla tabaccaia. Ed è il quarto Oscar (il quinto sarà quello alla carriera). Poesia e trivialità, cronaca e fantasia, dolcezza e ferocia: un “mi ricordo” di ipnotica fascinazione, come la nebbia dei campi, e il grande mare d’inverno. Ottimo cast, con una menzione speciale per Ciccio Ingrassia e Nando Orfei, e musiche da sogno di Nino Rota. Voto: 9

18. Il Casanova di Federico Fellini (1976): lo spilungone Donald Sutherland, atletico il giusto, è il “seduttor dei seduttori”, il nostro Giacomo Casanova: anzi, il “suo”. Perché – già come nel Satyricon – FF griffa il titolo del film col suo cognome, ribadendo una visione e una paternità esclusiva: una rilettura personalissima, al chiuso dei teatri di posa di Cinecittà, funebre e livida, a ribadire come Eros e Thanatos siano due facce della stessa moneta. E meno male che Fellini non ha accettato la corte di Sordi, che voleva disperatamente la parte: Sutherland, disse giustamente il regista, ha “lineamenti che lo rendono simile a un feto, e quegli occhi celestini e acquosi che sembrano ancora annegati nel liquido amniotico“. Stretto fra il prologo con la Venusia di cartapesta emergente dalla laguna (ora a Cinecittà), e l’epilogo del ballo con la bambola meccanica, un film non facile, cui qualche sforbiciata avrebbe giovato, ma da vivere soffrire, fotogramma dopo fotogramma. Voto: 8

19. Prova d’orchestra (1979): un “filmetto”, lo definì FF… Eppure questo mediometraggio targato RAI è tutt’altro che uno scarto: un apologo, questo si, dove la critica sociale all’Italia degli Anni di Piombo, della contestazione, degli scioperi e dell’autoritarismo cerca una non facile rappresentazione. Federico non era un polemista, e non era a suo agio con i “messaggi”, si sa: e, infatti, le parti migliori della pellicola sono quelle più legate alla sua vena di caricaturista, con i ritratti dei musicisti, dei loro vezzi e delle loro piccole follie. Fra il cast, due membri del Banco del Mutuo Soccorso. Ultima collaborazione con Nino Rota. Voto: 6/7

20. La città delle donne” (1980): ecco, questo non mi è piaciuto granché: lo dico subito, e amen! Federico rimette mano a uno dei suoi leitmotiv preferiti – la donna, appunto – in tutte le sue declinazioni, e ne dà ampia raffigurazione… Ma è una pistola che fa molto fumo, e pochi danni: Mastroianni-Snàporaz allupato e infoiato non mi convince, il teatrino dello scopatore dr. Katzone è (come il suo nome) greve, la riunione delle femministe è banalmente ironica, e così via. Qualche guizzo scenografico (lo “scivolo” dei ricordi, e la mongolfiera) c’è: ma non (mi) basta. Maschilismo per maschilismo, cento volte meglio quello di “8½”. Voto: 5+

21. “E la nave va (1983): forse l’ultimo “grande” Fellini. Il film ci racconta del viaggio del piroscafo “Gloria N.” diretto nell’Egeo per spargere le ceneri della “divina” soprano Edmea Tetua: a bordo il giornalista Orlando, e una colorita truppa di nobili, artisti, amici e sodali della divina: e nella finzione irrompe la Storia, con una scialuppa di profughi (tema attualissimo) e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. La caratterizzazione dei personaggi è da maestro, e molto interessante è il prologo, che inizia come un film muto in bianco e nero, per sciogliersi nel colore e nel sonoro. Ironica e commovente la scena dei cantanti che portano nel ventre nella nave, in sala macchine, la loro arte, in dono ai lerci macchinisti: e felliniani oltre ogni dire il rinoceronte ammalato di tristezza che dorme nella stiva, il mare di plexiglass, e la messa in mostra della troupe nel finale. Nel cast, anche Pina Bausch. Voto: 7 1/2

22. Ginger e Fred (1986): Il film mette in scena lo scontro fra la volgarità della televisione commerciale (FF ce l’aveva a morte con l’arrembante tv berlusconiana) e la grazia di un’attempata coppia di ballerini, inseriti a forza in un rumoroso “programma contenitore”. Ma la satira lascia il tempo che trova, e non coglie nel segno: colpa di una scrittura filmica piatta, e di una programmaticità tanto esplicita da diventare fastidiosa. La cosa più divertente? I finti cartelloni pubblicitari e gli spot televisivi, così assurdi da sembrar veri. Un film che metto nella nutrita serie dei “l’ho visto, ma non l’ho sentito”. Voto: 5 1/2

23. “Intervista (1987): la visita di una (finta) troupe giapponese a Cinecittà è lo spunto per imbastire un classico felliniano, e cioè il balletto fra presente e passato, fra documento e ricordo, fra reale (ma, sia ben chiaro, tutto ormai costruito dentro gli studi di Roma) e immaginato. Il giovane FF qui ha le spoglie di un impacciato Sergio Rubini, alla prese con una stellina dei Telefoni Bianchi, e testimone di una clamorosa lite fra regista e produttore, con tanto di elefanti di cartapesta presi a calci. E un guizzo di lacerante poesia: i due manovali che, in un teatro di posa, dipingono un fondale azzurro cielo e che si coglionano trivialmente, mentre dai loro pennelli magicamente sbuffano fuori le nuvole. E poi: Mastroianni che, 25 anni dopo, ritrova Anitona Ekberg… Nostalgia canaglia. Voto: 7

24. “La voce della Luna” (1990): tratto da un romanzo che sembra fatto apposta per FF (“Il poema dei lunatici” di Cavazzoni), e che però non riesce mai a quagliare in una forma cinematografica decente. Benigni se la cava, nella parte dell’anima bella che non capisce il rumore della vita; e Villaggio è ancor meglio, nei panni del prefetto a riposo Gonella, sprezzante e paranoico… Ma loro due, un villaggio costruito per intero in studio, e la rumorosa “gnoccata” di paese non sollevano il film da un’impressione di posticcio mal riuscito e di compito distratto. Chiuso nella sua comfort zone, Federico non si (e non ci) stupisce più. E quello che vorrebbe esser poetico (la luna di cartapesta, il ballo in discoteca), è solo poeticistico. Voto: 5-

 

Bene, l’avventura dei (miei) Fellinis finisce qui: spero che questa piccola rassegna sia stata interessante, fatemi sapere.

Per chi volesse, su Rai Play si trovano inoltre alcuni interessanti docs a tema, fra cui “Fellini fine mai”, “Che strano chiamarsi Federico”, “Ciao Federico!”, “Diario segreto di Amarcord” e “Federico degli spiriti”. Ora tocca a voi. Salut!

2 pensieri riguardo “I vitellini di Felloni #3

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