Il pop italiano e la censura (parte prima)

Ciao a tutti. Oggi riprendo il filo di una narrazione che, prima per l’Italia Fascista, e poi per lUnione Sovietica, aveva affrontato, seppur indirettamente, il discorso su musica e censura: ma sarebbe troppo bello se la censura riguardasse solamente governi dichiaratamente dittatoriali! Anche il Bel Paese del Dopoguerra democristiano ha vissuto – e vive tutt’ora, con governi differentemente orientati – parecchi esempi di “scomunica” culturale: casi che riflettono, del nostro paese, un certo momento storico e l’humus culturale diffuso (o preteso tale), quali sono o meno le sue credenze, i suoi punti ciechi e le vie di fuga. E così ho pensato di proporvene un breve elenco.

No, nessuna discussione teorica: ma una piccola premessa, sì. La censura non è mai una bella cosa, come tutte le proibizioni etiche o politiche: a volte pare necessaria, a volte (poche) lo è, e moltissime volte invece non lo è per nulla. E, come vedremo, spesso è – più che una necessità reale – una preoccupazione preventiva, una marchetta, una pruderie di cui si vuole far bello il censore verso i veri detentori del potere. Una marchetta sovente ridicola, spesso inutile, e quasi sempre controproducente.

Detto questo, chiacchieriamo un po’. Ho diviso i casi più eclatanti di censura musicale a seconda del “tema” che ha scatenato le ire censorie… In questa puntata (sì, perché di carne al fuoco ce n’è molta) parliamo di sesso e religione (due materie che, anche nella cronaca, si trovano spesso abbinate…): nella prossima occasione, invece, di politica, guerra e morale pubblica!

Sesso

Sono passati pochi anni dalla fine della Guerra e del Fascismo, che già qualcuno si mette a rompere i maroni: tutto ciò che parla, seppur indirettamente, di sesso, di rapporti prematrimoniali, di nudità ed eros, deve essere proibito.

  • Il primo messo nel mirino è l’allegro e ammiccante Renato Carosone: la sua “La pansè” (1955) (dove, ricordiamo, la “pansè” è una violetta prativa) – con il doppio senso scandaloso di “Che bella pansé che hai, me la dai la tua pansé?” – fa incazzare i censori, che la bandiscono dalle trasmissioni radio e tv.  E molte balere espongono il cartello: “In questo locale non si eseguono brani come “La pansé” o simili trivialità“.
  • Di lì a poco tocca a Domenico Modugno: in “Resta cu’mme” (’57) il padre dei cantautori osa dire, alla donna, “Nun me ‘mporta ‘e chi t’avuto“. Orrore! Non sia mai che la femmina non sia illibata! Ma, non contento, Mimmo ci riprova, tre anni dopo: mette sul lato B di “Libero” la canzone “Nuda” (“Languida, morbida, purissima. Nuda! Mia!”), ritirata immediatamente dalla casa discografica.
  • Nel ’59 è Sanremo a scandalizzarsi per l’interpretazione, esplicita e impudica, di Jula de Palma, con la sua “Tua“… Hai voglia che arrivi quarta in classifica: la Rai non trasmetterà mai il video!

E ora arriviamo agli anni Settanta… Anche in piena controcultura, la censura continua a colpire

  • Il singolo di Serge Gainsbourg e Jane Birkin, “Je t’aime… moi non plus” (’69), per colpa dei gemiti orgasmici, è tagliato fuori da tutto: non solo il disco è sequestrato dai negozi italiani e dai magazzini, ma su radio RAI è vietato persino accennare al titolo.
  • Lucio Battisti, “Dio mio no” (’71). A fare scalpore è l’immagine di una donna vogliosa e aggressiva: “Si alza e chiede dove c’è il letto / poi scompare dietro la porta la sento mi chiama / la vedo in pigiama”. Ovvio: di solito le donne perbene dovrebbero essere dotate di “naturale continenza”! 🙂
  • Anche il pudico Claudio Baglioni deve cambiare, in alcune versioni di “Questo piccolo grande amore” (’72), la frase “La paura e la voglia di essere nudi”, in “la paura e la voglia di essere soli.”
  • E pure Cocciante ha i suoi guai: in “Bella senz’anima” (’74) deve sostituire “e quando a letto lui / ti chiederà di più”, con “e quando un giorno lui…”. Chissà che sarà mai quel “di più”…
  • Poi Francesco De Gregori: in “Niente da capire” (’74), “…però Giovanna io me la ricordo / faceva dei giochetti da impazzire” diventa “…ma è un ricordo che vale 10 lire“.
  • Ultimo arrivato, il grande Elio: il singolo “La visione” (’99) è censurato da tutte le radio, Radio Deejay esclusa. Ma perché? Perché ripetere “la visione della fica da vicino” a tempo funky non va proprio bene 🙂

Religione

E beh, “Col Vaticano in casa”, direte, “ovvio che la religione sia uno dei temi più soggetti a censura!”. Vero, spesso: ma non sempre.

  • Dio è morto” di Francesco Guccini (1965), ad esempio, è censurato dalla Rai, ma mandato in onda proprio da Radio Vaticana, che ne capisce il vero senso… che non è certo un significato volgarmente anti-religioso, anzi.
  • La famosa “4/3/1943” di Lucio Dalla (’70) è pensata come “Gesùbambino”… Ma le pressioni sanremesi fanno sì che, senza alcun nesso, il titolo assuma la data di nascita del musicista. E poi, il verso finale “E ancora adesso che bestemmio e bevo vino / per i ladri e le puttane mi chiamo Gesù Bambino” diventa “E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino / per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”.
  • Antonello Venditti passa i suoi guai per il brano “A Cristo” (’74): la frase “ammàzzete Gesù Cri’ quanto sei fico” gli procura una condanna di sei mesi per vilipendio alla religione di Stato.
  • Edoardo Bennato è invece censurato per la velenosa (ma mai volgare) invettiva anti-vaticana di “Affacciati affacciati” (’75) rivolta, ovviamente, al Papa.
  • E chiudiamo con l’allora punkettaro Enrico Ruggeri, leader dei Decibel, che se la prende col Papa in “Paparock” (’78): una frase come “Benedici con la mano / ma tu fai affari / è un’industria il Vaticano” non può proprio passare… Soprattutto se a produrre il disco sono i Dik Dik, che devono proprio a Paolo VI l’inizio della loro carriera! Ma i Decibel sapranno sfruttare la censura ricevuta come una medaglia da appuntarsi al petto: sempre furbo, Enrico.

Non finiscono certo qui, i casi degni di nota: anzi, se volete, ditemene pure altri!

Ci sentiamo nella prossima puntata, dove parleremo soprattutto di offese alla politica e alla morale.

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