La canzone durante il Fascismo: fra xenofobia e ridicolo involontario

Oggi vi parlo della canzone durante il Fascismo: e chi pensa che questo post, in 3 parti, sia ispirato dalle ultime uscite governative in tema di parole italiane vs parole straniere, e del sibilante ostracismo culturale emerso durante la Guerra in Ucraina… ha ragione.

  • Fra PNF e EIAR

Il Fascismo prende il potere nel 1922: nel 1924 iniziano, a Torino, le trasmissioni radio, sotto l’egida dell’URI, che dopo 3 anni si trasforma nell’EIAR, l’antenata della più recente RAI, e che dipende direttamente dal Ministero per la Cultura Popolare (il famoso “minculpop”… che già iniziando con “mincul” qualcosa lascia a intendere…). Gli abbonati radio crescono lentamente, ma con  costanza: tanto che, dagli iniziali cinquantamila, alle soglie della Seconda Guerra Mondiale si arriva al milione.

Impossibile, per il Partito Nazionale Fascista, ignorare l’importanza – politica e “filosofica” – di un media tanto diffuso e permeabile: la musica e la canzone, durante il Fascismo, sono presto messe nel mirino del Ministero, che intende usarle per diffondere e rafforzare l’ideologia nera. Largo spazio, quindi, alla melodia italiana e a brani che promuovono valori tradizionali e piccolo-borghesi come la famiglia, la casetta per i futuri sposi, la patria, lo stipendio sicuro, la “sana” vita agreste, e l’immancabile mamma.

Nel 1929 l’Arma dei Carabinieri promulga una sorta di “libro nero” delle canzoni non gradite: inni libertari, come “La Marsigliese”, canti anarchici e socialisti, e ballate anti-patriottiche. E non è che l’inizio.

  • Il jazz: la musica negroide

Peccato che, subito oltre frontiera, si stia diffondendo una nuova passione: quella per il jazz, la cosiddetta “musica sincopata”. Qualche critico, come Alfredo Casella, la sostiene apertamente, in quanto “domina ogni altra per la sua originalità, per la sua forza di novità“… Ma figurati se il Fascio può lasciare che la “musica negroide” – e, per estensione, quella delle “democrazie plutocratiche” – entri nelle orecchie del pubblico.

I motivi sono molti: il Jazz è chiaramente di origine nera e, quindi, di un “popolo inferiore“; è musica anarchica, improvvisata, con ritmi irregolari e armonie eterodosse, e quindi per definizione “sovversiva”; ed è di provenienza estera, lontanissima dalla tradizione italica… Cosa che, in quegli anni, suona come una bestemmia: eccezion fatta, ovviamente, per le mode dei “paesi amici”, come Germania e Spagna!

Nel 1928, sul “Popolo d’Italia”, compare questa perentoria affermazione:È nefando e ingiurioso per la tradizione e per la stirpe riporre in soffitta violini e mandolini per dare fiato a sassofoni e percuotere timpani secondo barbare melodie che vivono soltanto per le effemeridi della moda. È stupido, ridicolo e antifascista andare in sollucchero per le danze ombelicali di una mulatta o accorrere come babbei ad ogni americanata che ci venga da oltreoceano“. Chiaro, no?

La canzone durante il Fascismo si trova quindi davanti a un bivio: da un lato, la tradizione italica, sana e tranquillizzante; dall’altro, le anglofone “minacce alla salute pubblica”.

  • L’autarchia linguistica e il ridicolo involontario

Dal 1935 prende intanto il via  la politica dell’autarchia economica, che effonde i suoi effetti anche nel campo culturale. “Basta con gli usi e costumi dell’Italia umbertina, con le ridicole scimmiottature delle usanze straniere. Dobbiamo ritornare alla nostra tradizione, dobbiamo rinnegare, respingere le varie mode di Parigi, o di Londra, o d’America. […] Basta con gli abiti da società, coi tubi di stufa, le code, i pantaloni cascanti, i colletti duri, le parole ostrogote“. Se nel campo amministrativo assistiamo alla criminale italianizzazione forzata del Sud Tirolo e degli sloveni del Nord Est, in quello strettamente linguistico assistiamo all’imposizione di neologismi bizzarri e grotteschi, come:

– “Fiorellare”: avere un flirt

– “Cotiglioni”: cotillons

– “Sciampagna”: champagne

– “Fin di pasto”: dessert

– “Giovanottiera”: garçonnière

– “Bevanda arlecchina”: cocktail

– “Ochei”: hockey

… E non è ancora finita!

  • Le tristezze di Luigi Braccioforte

Per quanto riguarda la canzone, durante il Fascismo una circolare del Partito del ’36 impone alla stampa di tradurre tutto in italiano, nomi degli artisti compresi. Gli italianissimi Renato Rascel e Wanda Osiris diventano Renato Rascelle e Vanda Osiri: e nei cataloghi discografici compaiono anche artisti d’oltre oceano, ovviamente tradotti con letterale ottusità… Del Duca è Duke Ellington e Beniamino Buonuomo è Benny Goodman! Sembra una presa per i fondelli: eppure l’immenso Louis Armstrong, nel suo primo tour (o forse dovrei dire “giro”?) italiano, scoprirà di chiamarsi “Luigi Braccioforte“! E così accade a titoli: “Jeepers Creepers” diventa “Ah! Giulietta”, “Lady be Good” si chiama “Signora siate buona”, “Sonny Boy” è “Dormi, bambino mio adorato” e “Nigth and Day” è tradotta nel didascalico “Notte e giorno”… E, colpo di genio, “St. Louis Blues” nel pazzesco “Le tristezze di San Luigi“!

Nel 1937 la morsa pare un attimo allentarsi: tanto che in aprile l’EIAR si dota di un proprio quartetto moderno, che tutte le sere presenta classici jazz in una finestra dedicata proprio alla “musica negroide”. Il grande Gorni Kramer, dal canto suo, propone il lessico dinoccolato e swing della classica “Crapa Pelada”, in cui molti peraltro leggono un neanche troppo velato riferimento alla “testa calva” più famosa d’Italia.

Ma arriva il 1938: e la stretta si fa di nuovo feroce. Fioccano da ogni dove le marcette del Regime, spinte dall’imperante retorica dell’Impero: ma, dato che ogni azione ne suscita una uguale e contraria, dall’esempio di “Crapa pelada” sorgono una serie di canzonette, apparentemente nonsense, ma che nascondono (o, forse, potrebbero solamente nascondere) una presa in giro del Fascio e dei suoi gerarchi.

***

Ma di questo parleremo nella prossima puntata, dedicata alla storia della canzone durante il Fascismo, con particolare riferimento ai motivetti di propaganda.

Ora mi riposo, e vado a vedermi un film dedicato al biliardo, con Tommaso Crociera e Paolo Nuov’uomo… E per chi indovina, appronterò una festa con ricchi premi e cotiglioni! 🙂

8 pensieri riguardo “La canzone durante il Fascismo: fra xenofobia e ridicolo involontario

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