Visto al cinema – “A Complete Unknown”

Ciao a tutti. Che Bob Dylan sia – oltre che un meraviglioso artista – un personaggio che sfugge a ogni tentativo di narrazione è ormai, più che un dato di fatto, un luogo comune. D’altronde è lo stesso Bob a rifiutare categoricamente qualsiasi apparentamento, spesso in modo provocatorio: uomo che non conosce che una posizione – quella di radicale – e che, quando abbraccia una fede, una qualsiasi, lo fa per intero, senza risparmiarsi; ma che è a anche pronto, quando questa fede non lo convince più, a scrollarsela di dosso senza un rimpianto, come cenere da una sigaretta.

Il cinema ha cercato più volte di rendere conto di questa inafferrabilità: sia con documentari in stile cinéma vérité (“Dont Look Back” di D. A. Pennebaker, 1967) sia con film narrativi ma totalmente spiazzanti come “I’m Not There” di Todd Haynes (2007), in cui la figura di Dylan è riflessa come in un caleidoscopio dalle interpretazioni di ben 6 attori differenti, fra cui anche un’attrice femmina (la fuoriclasse Cate Blanchett).

A Complete Unknown“, sposa invece la tesi opposta: “è possibile”, si chiede il regista James Mangold, “fare un biopic su Dylan secondo le forme del mainstream statunitense?“. Se lo chiede, e lo fa: e, devo dire, ci riesce pienamente. Merito di molti aspetti: di un casting che non fa una grinza, di una regia silenziosa ma sempre a fuoco, di una scenografia che sposa la verosimiglianza senza cadere nel calligrafismo, di una sceneggiatura che – pur scontando qualche inevitabile caduta nel romanzesco – riesce a descrivere benissimo l’ambiente, gli amici, i rivali e gli anni più importanti del nostro caro Bob: quelli compresi fra il suo arrivo al Greenwich Village nel 1961 e il “tradimento elettrico” di Newport, 1965. Cinque anni che valgono una vita intera. Continua a leggere “Visto al cinema – “A Complete Unknown””

Io non so parlar di musica #27 – “La C.I.A.” di Eugenio Finardi

Ciao a tutti. La riflessione che, per la rubrica “Io non so parlar di musica”, mi ha spinto a proporvi la canzone di cui parlerò a brevissimo, riguarda le innumerevoli polemiche sul ruolo degli Stati Uniti nella politica estera del nostro paese: c’è chi ringrazia ancora adesso gli USA per l’ingresso nel secondo conflitto mondiale e per il Piano Marshall, e chi ritiene sia stato l’inizio della fine della nostra indipendenza.

Chi scrive è convinto che gli Stati Uniti, al pari dell’Unione Sovietica, siano stati fondamentali per la fine del Nazismo: ma anche che fra gli States del ’45 e quelli odierni ci sia un abisso; e che col suicidio politico e militare della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa (e l’Italia non fa certo eccezione) sia diventata una colonia statunitense, con poca – se non nessuna – speranza di politica estera autonoma… Siamo sotto padrone: che poi sia il minore dei mali, non so… Ma sempre di padrone si tratta. Per “colpa” degli statunitensi, certo, che fanno – e benone – i loro affari: ma anche per una  nostra innata predisposizione. Ma, sia chiaro, a me chi vuole “esportare la democrazia” a bombe e dollari non piace per nulla. Continua a leggere “Io non so parlar di musica #27 – “La C.I.A.” di Eugenio Finardi”

Le Stelle di Dio

Ciao a tutti. Fra Natale, Santo Stefano, Epifania e feste varie (più o meno desiderate, e più o meno tollerate…) inevitabile una piccola riflessione sul sacro: e per me, che ho sempre la musica in testa, dire “Dio” non significa solo evocare quella (ipotetica) entità suprema cui tutto concorre, ma (anche) il famoso  e omonimo cantante. E ricordarmi di quella volta – per la precisione, quasi 39 anni fa – in cui il medesimo pensò bene, emulando i ben più famosi “Band Aid” e “USA for Africa”, di riunire molti talenti e star dell’heavy metal di quegli anni e pubblicare un singolo, i cui proventi sarebbero stati devoluti ad aiuti umanitari.

Alt! Chi pensa che il cantante Dio sia (stato) un blasfemo, lo dica subito, legga e cambi opinione: eh no, il buon Ronald James Padavona (questo il vero nome… e di chiara origine italiana!) prese il suo pseudonimo non dal creatore, ma da un gangster statunitense di origini italiane, Giovanni Dioguardi, per tutti Johnny Dio. Ognuno ha i suoi ispiratori… 🙂 Ma detto ciò, continuiamo la nostra breve storia. Continua a leggere “Le Stelle di Dio”

Visto al cinema – “Talking Heads – Stop Making Sense”

Ciao a tutti. Ci sono gruppi di cui conosco bene, a volte benissimo, l’intera discografia; e ci sono band di cui ho ben presente parecchi brani, ma senza averne una visione d’insieme. Ecco, i Talking Heads rientrano in quest’ultima categoria: mi piacciono parecchio, sono affascinato dalla figura del leader, David Byrne, canticchio alcuni pezzi, ma non sono mai andato oltre a un ascolto episodico… Lacuna che da tempo volevo colmare.

E’ stato con questo spirito che lunedì sera, assieme all’amico Silvio (che invece conosce molto bene Byrne e soci), e le rispettive consorti, sono andato al cinema a vedere lo storico film-concertoStop Making Sense“: la ripresa di tre spettacoli tenuti a Los Angeles nel Dicembre 1983, pubblicata originariamente nel 1984 come film e relativa colonna sonora e – 39 anni dopo, al termine di un bel lavoro di ripulitura, integrazione e rimasterizzazione – uscita nuovamente in sala.

Sono subito costretto a correggermi: questo non è un film-concerto qualsiasi! Primo, perché i Talking Heads sono un gruppo tutt’altro che scontato o banale; secondo, perché alla regia siede Jonathan Demme, che i più ricorderanno per “Il silenzio degli innocenti”, “Philadelphia” e “The Manchurian Candidate”. Quindi, se film anomalo doveva essere, film anomalo è stato! E fin dai primi fotogrammi.

Continua a leggere “Visto al cinema – “Talking Heads – Stop Making Sense””

Io non so parlar di musica #26 – Wuthering Heights

Ciao a tutti. Per la rubrica “Io non so parlar di musica” oggi tiro fuori dal cappello un brano di Kate Bush del 1978: me lo ricordo bene, per radio, e mi ricordo anche che all’epoca non è che mi piacesse molto… Ma con gli anni è diventato uno dei miei preferiti.

Kate scrive la canzone a 18 anni, ispirata dalla visione dell’omonimo film, “Wuthering Heights” (“Cime Tempestose”), a sua volta tratto dal romanzo di Emily Brontë: incuriosita dalla storia e dal soggetto, scopre di avere in comune il nome della protagonista (Catherine – Kate) e la data di nascita della Brontë (30 luglio)… E affida a questo piccolo e grande segno del destino il titolo di quello che sarà il suo singolo di debutto assoluto.

Come spesso accade nei capolavori, il passaggio da idea a realizzazione è poco più che fulmineo, e infatti la Bush scrive il pezzo nell’arco di qualche ora. E se dico capolavoro non lo dico casualmente: so che Kate Bush può avere (e ha) un timbro vocale particolare di non immediata presa, una specie di voce sopranile che può piacere o dar fastidio… Ma forse l’unica adatta a cantare un pezzo che – per quanto mi riguarda – è una delle canzoni pop più complesse e difficili della storia, ricca com’è di tempi composti e di svolazzi su e giù dal pentagramma.

Il pezzo va a finire sul suo album d’esordio (“The Kick Inside“), ed è proprio Kate a imporre alla EMI questa canzone per il lancio commerciale del vinile: e ha ragione, tanto che “Wuthering Heights” raggiunge il primo posto nelle classifiche di diversi paesi, Italia compresa, e fa di Kate la prima artista femminile a piazzarsi al primo posto della hit parade inglese con una canzone a propria firma.

Un brano complesso e meraviglioso, una ballad ondeggiante e magica, quasi arcana, e che spesso – fra mille brividi – mi trovo ad accompagnare i miei pensieri: e che ora vi propongo, attraverso un videoclip un po’ datato, sì, ma figlio del suo tempo.

Come sempre, la parola alla musica. Buon ascolto!

Kate Bush  – “Wuthering Heights

Tratto da “The Kick Inside” (1978)

Io non so parlar di musica #25 – Canzone senza inganni

Ciao a tutti. Per la rubrica “Io non so parlar di musica” oggi mi tocca partire dall’ufficio, e in particolare da una mia collega, Lucia-con-l’accento-sulla-u… Una coetanea con cui spesso ci scambiamo, fra il serio e il faceto, ricordi musicali della nostra adolescenza, tirando fuori dai famosi cassetti della memoria nomi, titoli e brani cui magari non pensavamo da anni, se non da decenni. In una di queste sfide ho evocato una canzone che, all’epoca, mi piaceva parecchio, e anche alla collega: e che mi dà modo di parlare di una delle mie più antiche passioni musicali, e di una curiosità discografica. Continua a leggere “Io non so parlar di musica #25 – Canzone senza inganni”