La musica pop in Unione Sovietica #4 – Quella maialona di Donna Summer

Buongiorno a tutti. Siamo giunti al quarto e ultimo capitolo della mia breve escursione nei territori della musica pop in Unione Sovietica: se volete dare un’occhiata ai precedenti post, li potete trovare QUA, QUA e QUA.

In questa occasione, vi racconterò di divieti e permessi, di liste di artisti rock proibiti e di nomi graditi. E di chi, nonostante l’avversione del regime per il rock occidentale, riuscì “addirittura” a percorrere l’Unione Sovietica in tour! Seguitemi, si parte!

  • Compagno Rock

Abbiamo detto di come – attraverso la censura, e il monopolio esercitato dall’etichetta di stato Melodija – il rock occidentale fosse praticamente proibito, in Unione Sovietica. Questo non ha impedito il traffico di materiale clandestino, o di incisioni casalinghe, effettuate con le più bizzarre tecnologie (i famosi “dischi delle ossa”): così come non si contano i gruppi amatoriali che, ispirati dalle band occidentali, trovano nelle Case di Cultura statali il posto per esibirsi… Anche se “messi in castigo” in un corridoio o nell’ingresso: la sala principale è per altri!

Negli anni 70 non mancano, ovviamente, rock band native che, prima in modo sotterraneo, e poi attraverso canali ufficiali, riescono a superare i visti della censura e a ottenere un certo successo a livello nazionale: si pensi, ad esempio, ai Nautilus Pompilius (new wave e post punk), gli Akvarium (folk rock), i DDT (hard rock) e gli Al’jans (ska e reggae)… Ce n’è davvero per tutti! Purché, ovviamente, non esagerino negli atteggiamenti, e mantengano una chiara identità ideologica.

Tutto bello, per carità: ma che ne è dei grandi del rock inglese e americano?

  • Il libretto rosso del rock

Siamo all’ l’inizio del 1985: Konstantin Černenko è il Segretario Generale del Partito. Il Komsomol, la sezione giovanile del Partito, emette una lista di 32 gruppi occidentali da mettere all’indice, circostanziata e precisa: a sinistra, il nome del gruppo; a destra, il “motivo” per cui si trova in elenco. Ecco qui l’elenco (ho trovato solamente la sua trascrizione in inglese, non esente da qualche errore di grafia).

La cosa, come sempre parlando di quel mondo e di quegli anni, oscilla fra il sublime e il ridicolo. Black Sabbath, Scorpions, Iron Maiden sono troppo violenti, mentre per i Pink Floyd si parla di interferenze nella politica estera; Talking Heads e Van Halen sarebbero invece “diffusori del mito del pericolo militare sovietico“, AC/DC e Julio Iglesias sono nientemeno che fascisti, mentre Donna Summer e Tina Turner scontano l’accusa di eccessivo erotismo… E così via.

Alcune motivazioni, per quanto forzate, le posso anche capire: che l’heavy metal, ad esempio, possa evocare violenza o maschilismo, è uno stereotipo diffuso anche da noi. Per i Pink Floyd ho dovuto faticare, invece, ma penso che le “interferenze nella politica estera” siano da attribuire al verso “Brezhnev took Afghanistan“, contenuto nell’album “The Final Cut“: tre parole, e si passa dalla parte del nemico! Che i gemiti orgasmici di Donna Summer in “Love to Love You Baby” possano suscitare riprovazione, è più che comprensibile: ma che il “professionista nell’amore” Julio Iglesias posso essere uno sponsor del fascismo mi pare un po’ forzato… Forse di teso aveva altro, Julio, ma non certo il braccio!

Il generale ostracismo rivolto ai gruppi punk ha invece un’altra probabile radice. In Inghilterra e Stati Uniti, il Punk è nato come rifiuto verso la canzone rock complicata e commercializzata: ma in Russia non c’era un mercato contro cui opporsi! Del Punk resta quindi solo il suo aspetto esteriore, e il modo in cui è vissuto in Unione Sovietica: la musica di gente sporca, ai margini e alcolizzata.

  • Back in the USSR

Se è vietato produrre e ascoltare musica occidentale, figurarsi avere qualche rockstar in tour! Non ci sono organizzatori e manager privati: se lo Stato dice no, è no. E invece qualcosa, anche negli anni del lungo “inverno brezneviano”, si muove: e qualcosa arriva.

Il primo rocker occidentale a fare qualche data in URSS è l’inglese Cliff Richard, nel 1976, per sole due serate: per tutto il tempo, ricorda, è strettamente sorvegliato e l’attrezzatura messa sotto chiave… Ma ha anche ben chiara l’immagine di centinaia di ragazzi fuori dalle sale, in cerca vana e disperata di biglietti: regalati invece a piene mani ai bolsi papaveri del Partito!

Nel 1978 tocca ai Boney M. fare un giro in Unione Sovietica: e, anche qui, pochissima libertà di movimento, e una stretta censura su brani marcatamente erotici o “controversi” (uno su tutti l’ironico “Rasputin”). Ma è un successo travolgente, e che lascia intravedere crepe sempre più marcate nel muro di isolamento eretto da Mosca: sgretolamento che si fa evidente negli otto concerti tenuti nel paese, durante Maggio 1979, da Elton John. Una stella di prima grandezza, e per di più decadente e omosessuale: un’era sta davvero per finire.

  • Compagno Piero

Nel Marzo 1989, grazie a una specie di scambio culturale, gli italiani Litfiba e CCCP partono per l’Unione Sovietica: complice l’assenso del nuovo leader Gorbaciov, possono tenere un paio di concerti a Mosca e Leningrado. Piero Pelù ha ricordi molto vividi di quei pochi giorni: la signorina Svetlana, guida e agente speciale, che non li molla per un secondo; la folla alla Casa della Cultura, fra creste colorate e jeans stracciati; il Palazzetto di Mosca, con diecimila militari impettiti a fare da claque, un gruppetto heavy metal in playback e «una specie di Sabrina Salerno russa, formosa, molto provocante, che cantò due pezzi»; i CCCP che intonano “A ja ljublju SSSR” davanti ai soldati sull’attenti, e Giovanni Lindo Ferretti disteso meditabondo davanti al Mausoleo di Lenin… A Leningrado la cosa assume toni più normali: un concerto “vero”, con tanto di richieste del pubblico, e un dopo-concerto commovente nella sala prove delle squattrinate band di supporto, cui Litfiba e CCCP lasciano in dono strumenti, plettri, cavi e microfoni.

L’aria sta cambiando: per i sovietici, che nel giro di pochi mesi vedranno – nel bene e nel male – crollare il loro impero e la loro ideologia; ma anche per le due band italiane, che usciranno da questo viaggio profondamente mutate. Sull’aereo, Ferretti e Zamboni reclutano Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli, Ringo De Palma e Giorgio Canali – tutti ex Litfiba – gettando le basi per la nuova incarnazione dei CCCP, i CSI; mentre Pelù e Renzulli abbandonano la militanza underground e spiccano il volo: dopo un anno uscirà “El Diablo”, strutturato su un robusto rock classico, e che farà dei Litfiba la band italiana più tosta e seguita degli anni Novanta.

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Termina così la mia serie sulla musica pop in Unione Sovietica. Spero che il tutto sia risultato interessante: per me lo è stato, ma non faccio testo… Sono un po’ di parte.

E per chi non fosse d’accordo, c’è la Siberia!

3 pensieri riguardo “La musica pop in Unione Sovietica #4 – Quella maialona di Donna Summer

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