I miei vinili: #10 – L’ascolto

Ciao a tutti. Ripassando i contenuti della serie “I miei vinili” mi sono accorto di una mancanza: e cioè che, zigzagando fra dischi e vhs, acquisti agognati e armadi traboccanti cd, non ho ancora parlato di una componente essenziale della musica. E, cioè, il suo ascolto. Ovviamente non il “come si dovrebbe ascoltare la musica”: ma come la ascolto io, cosa significa per me ascoltare, e come negli anni ho cambiato, in modo e momenti.

All’inizio fu la radio. Mi ricordo, in particolare, di una radio locale che, alla sera, mandava in onda un nastro preinciso con un’ora abbondante di canzoni, senza interventi parlati. Non sempre era facile, senza suggerimenti, internet e app, riconoscere artisti e titoli!: ma sentivo, cantavo, ripetevo, memorizzavo. Ed è in quel momento, forse, che ho iniziato ad appassionarmi alla musica: immaginando i volti di quei cantanti a me ignoti, investendoli di un’importanza che magari non avevano, e immagazzinando parole, note, suoni.

E’ alle superiori che l’ascolto si trasforma in qualcosa di diverso: in quel periodo, fra ragazzi, ci si divideva non solo per la politica, ma anche per i gusti musicali… C’erano i dark, i paninari, i metallari, i rocker, tanto per dire: e ognuno, con gli altri, aveva (o, meglio, voleva avere) poco a che fare! Poi, si sa, spesso queste cose sono pura facciata: anche io, che all’epoca seguivo quasi solo hard-rock, mi trovavo a canticchiare “Who Can It Be Now?”, “Through the Barricades” o “You Spin Me Round”… Ma mai l’avrei ammesso davanti a un paninaro! Diverso quando si era fra simili: allora poteva anche scappare che sì, “Save a Prayer” era per niente male, o che “Live to Tell” aveva delle belle armonie!

Ma tornando a me, in quegli anni ero molto preso dall’ascolto tecnico, dal riconoscere gli strumenti (cosa, all’inizio, per nulla facile!), dal capire “chi suonava bene” e quanto era complesso quel tal assolo. E passavo ore, letteralmente, da solo o in compagnia, ad ascoltare la chitarra, la tastiera, il basso: e a discutere perché quel “manolenta” di Clapton fosse considerato tanto bravo, visto che virtuoso proprio non mi sembrava.

E poi inizio a suonicchiare, e parto dalla cosa apparentemente più semplice, il blues: tre accordi, che sarà mai! Eppure, in quelle poche note, c’è tutta l’anima del mondo: e capisco che la perizia tecnica fine a se stessa è poca roba, di fronte al cuore. Un nuovo orizzonte mi si è aperto.

Passano altri anni e, pian piano, inizio a interessarmi alla storia del rock. Come è stato che, da Elvis, si sia arrivati ai Nirvana? E, meglio ancora: come si è arrivati a Elvis? un’avventura incredibile, a pensarci bene… Allora vai di ricerche, di libri, e di ascolti :che si fanno complessi e impegnativi. Perché, con le orecchie di oggi, è difficile capire come mai quel pezzo, quel sound, quel modo di cantare siano stati allora tanto rivoluzionari:  purtroppo – e questo, per un fan, è il sogno proibito – mai riuscirò a provare le stesse emozioni di chi, nel ’55, ascoltò per la prima volta Chuck Berry, o di chi, una dozzina d’anni dopo, sentì la chitarra fuzz di “Satisfaction” in radio. Eppure, un po’ ci si può avvicinare.

Perché, a furia di ascoltare, si impara a farlo: capisci, riconosci, fai analogie, e tutto in modo automatico, istintivo. Strumenti, voci, sound, arrangiamenti: li cogli, li apprezzi, li vivi. E, con l’ascolto, lo studio, l’attenzione, cambiano anche i gusti: guardarmi indietro, accorgermi di quanto ho cambiato opinioni e preferenze negli anni, di come ora ascolto una canzone rispetto a 10 anni fa, è una delle cose più belle che mi ha regalato la musica. L’evidenza, cioè, di come siamo influenzati dalle abitudini ma di quanto è anche semplice svincolarsi, di quanto è bello tentare strade nuove e aprirsi all’ascolto: non solo di una canzone, ma anche di noi stessi.

Si può ascoltare con la testa, concentrati e attenti a ogni sfumatura; o occhi chiusi, con le cuffie; o mentre si fanno le pulizie, ballando con l’aspirapolvere in mano; e sì, da soli, o in compagnia di amici. Ma, sempre, si ascolta anche col cuore, con la pancia, con il sangue: la musica è, come tutte le arti,  emozione. Con una canzone si ride, si piange, si guida l’auto, si sogna, ci si addormenta e ci si risveglia: e, nell’ascolto di un brano, nella sua storia, nell’analisi e nel cuore che batte, ci siamo soprattutto noi. Come ascoltiamo – e cosa ascoltiamo – dice molto del nostro profondo: di come siamo in genere, e di come siamo in quell’attimo lì.

Cuore e testa, per come la vedo io, sono inscindibili: e ne ho la prova tutti i giorni, quando canticchio, o ascolto, una canzone. In una trasmissione tv, in cui si parlava di tutt’altro, ho sentito questa bella frase: “prima la passione, poi la comprensione“. Mi sembra una grande sintesi!

 

6 pensieri riguardo “I miei vinili: #10 – L’ascolto

  1. Sposo in pieno la frase finale. Anche io ho cominciato ad ascoltare e apprezzare la musica, senza far troppo caso ai cantanti e ai generi. E tuttora ascolto musica di generi diversissimi, anche a seconda dell’umore del giorno o del momento della mia vita.

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  2. …A proposito di quanto dici sugli strumenti, sulle melodie e su tutto quello che percepiamo dalla Musica, da sempre, negli anni, sono affascinato dall’accompagnamento di chitarra di questa bellissima incisione:
    (Jethro Tull – One White Duck / 010 = Nothing at All)

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    1. Davvero bello grazie non lo conoscevo. Pensa quanto può essere importante quello che sembra un dettaglio: pare che Alan Parsons non sopportasse Eye in The Sky ma cambiò completamente isea quando fu inserito quel piccolo semplice ma appropriato arrangiamento di chitarra

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