Canta che ti passa #14

Tempo di pulizie, tempo di riflessioni: tempo di memoria.

Sarà perché – si voglia o meno ammetterlo – questa non è una situazione che si possa attraversare senza qualche sconquasso, è facile cadere in una fuga all’interno di noi stessi: che, quasi per automatismo, comporta il ripiegarsi sul passato. Un passato recente, innanzitutto, verso cui è semplice avere un atteggiamento di benevolenza: perché l’ormai proverbiale “mondo prima di febbraio 2020” ci appare sempre più lontano, e chissà se e come sarà quello che ci aspetta. E poi c’è il “passato-passato”: quello della giovinezza… Che è roba vecchia, letteralmente, di decenni: ma pronta a balzare fuori all’improvviso, sollecitata da uno straccio per la polvere e da una (mal)sana voglia di riordinare le stanze, e a dare un nuovo gusto alla giornata.

Complice il tempo regalatoci da questa emergenza, riemergono allora cose dimenticate, messe in un cassetto (mentale, prima che fisico) e lasciate lì, a depositare ricordi e memorie. Fra i molti oggetti rinvenuti, ho trovato una buona trentina di musicassette: che proprio nascoste non erano, ma che la mia coscienza – a forza di vederle al solito posto, da tempo immemore – non notava manco più. Cassette casalinghe, beninteso, quasi tutte prive di confezione, impolverate e senza un titolo: qualche parola o sigla, che al tempo erano per me più chiare di un titolo stampato in grassetto, ma ora oscure come un codice segreto.

La voglia di ascoltarle mi ha subito preso, come una febbre. E c’è davvero di tutto.

Per prima cosa, tanta radio: canzoni fra l’80 e l’85, registrate in diretta da qualche trasmissione locale (preferibilmente una “superclassifica”), e messe su nastro una in culo all’altra, senza vera logica. Un pappone di spezzoni, brani interi e ritornelli, spesso intervallati dalla voce di qualche deejay, che ben rappresenta la bulimia di musica che già a 12 anni mi assillava, e l’evidente mancanza di qualsiasi coerenza: “Blue Jean” di David Bowie, “Whose Side Are You On?” di Matt Bianco, “Love of the Common People” di Paul Young, “Guardian Angel” di tal Masquerade, “La città senza donne” di Vecchioni, “Could You Be Loved” di Bob Marley. E, ancora: “Rockcoccodrillo” di Bennato, “All for Leyna” di Billy Joel, “Prendimi fratello” di Alberto Fortis, “Flash of the Blade” degli Iron Maiden. Ma, ahimè, anche cose di cui un po’ mi vergogno: “Innamorati” di Cutugno, “Stella stai” di Tozzi, “Laser vivente” dei Dik Dik, “Mama Dodori” della Ghezzi. Ops! Eppure, belle o brutte, ne ricordo ancora ogni passaggio: incredibile, come l’imprinting delle sette note possa essere potente.

Poi, un preziosissimo omaggio di un mio amico: Mauro, da Mondovì, con cui passai un bell’anno di servizio civile, e che scriveva, suonava e cantava: e pure bene. In quella “C90” (per la Z Generation, una cassetta da 90 minuti), ci sono alcune canzoni scritte e suonate con un suo amico, Marco; poi, tre perle acustiche eseguite in coppia con Cece, un altro suo compare di suonate (e che reputo dei piccoli capolavori); e infine quelle col gruppo, fra cui la mitica “Il barattolo“, che un altro compagno d’obiezione, Silvio, definiva “la miglior canzone italiana del Dopoguerra”. Il gruppo si chiamava “Thepandanbanca”, traslitterazione della domanda in monregalese “sei mica stato in banca?”: e pensa che oggi ci lavoro!

Ho trovato, ancora, prove e registrazioni live del mio gruppo (ebbene sì…): un complesso durato sette anni circa, con all’attivo una dozzina di concerti e sei pezzi di proprio pugno, e perlopiù dedito a una rozza miscela di cover rock di varia epoca. Qualcosa di buono c’è, dai!

Ultimi, ma non ultimi, alcuni nastri personali, zeppi di idee buttate giù negli anni: riff, acquerelli acustici, ritornelli senza strofe, strofe senza ritornelli, ingenue canzoni d’amore incise in solitudine, arpeggi, e robe così, fra l’originale e l’orribile! Tutti spezzoni che, col calma, selezionerò, e rigorosamente passerò in digitale: perché ho sì 52 anni, è sì altamente improbabile che ancora suonerò con qualche gruppo, e con ogni certezza quelle canzoni e quegli abbozzi incompiuti rimarranno tali, per sempre… Ma chi lo sa?

Di fronte alle idee mai precipitate nella realtà, si apre una voragine. Quella del tempo passato, delle possibilità rimaste in potenza, del “cosa avremmo potuto fare se solo”, del tempo che è tiranno e non torna più, delle emozioni che a 20 anni ci fanno bruciare, eccetera. Che poi lo sappiamo benissimo che doveva andare così, che non c’era altra scelta, che alla fine siamo quel che potevamo essere: e, allora, perché questo bisogno di rendere “immortali”, di conservare, le tracce di questo passato? Perché non lasciare che queste canzoni, scritte con buona volontà e sentimento, ma con modesti risultati, si smagnetizzino assieme ai nastri che le contengono, proprio come prima o poi capiterà alle nostre vite? Non sarebbe forse più naturale ed ecologico?

E invece no, almeno nel mio caso: io, che sostengo il non-attaccamento come pratica di vita, non sono capace di lasciar andare queste sinusoidi sonore. Forse perché sono la testimonianza che, in un momento della mia vita, un barlume di creatività mi ha toccato: per quanto imperfetto e intermittente, c’è stato. E se c’è stato allora, forse potrà esserci anche domani: è lì, da qualche parte. Ma non è facile trovarlo… Almeno per come sono io oggi.

Verrebbe da chiudere evocando il mesto (e bellissimo) brano dei Blind Faith, “Can’t Find My Way Home“: scelta giusta, giustissima. Ma solo a patto di fare il paio con l’evocazione cantata dagli Alphaville: “Forever young, I want to be forever young“.  Senza crederci troppo, ovviamente: ma è bello giocare con l’illusione che possa capitare… In fondo una seconda giovinezza c’è la meritiamo!


3 pensieri riguardo “Canta che ti passa #14

  1. Occhio che, da studi fatti nel passato, le registrazioni magnetiche su nastro, se ben conservato, (bobinare e sbobinare almeno una volta all’anno) durano un’eternità, mentre il digitale, se non seguito passo passo nel tempo, si perderà per sempre. Cambiano i sistemi operativi, gli strumenti di lettura, gli algoritmi di elaborazione dei dati, se si perde un bit, si fa fatica a recuperare il contenuto, i CD e i DVD registrabili, se non quelli con durata garantita 100 anni (i cosiddetti Secure Disc), dopo un pò diventano pezzi di plastica inutili. La sostanza organica che permette la loro incisione, si deteriora ben più velocemente di un buon nastro magnetico.

    Tieni bene le tue cassette e non perdere tempo a digitalizzare (a meno di una incomparabile comodità d’uso momentaneo)… In un futuro lontano, chi hai vicino nel tempo, potrebbe riscoprire delle perle !

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  2. è sempre così: quando nella giovinezza si vive nell’esuberanza e nella creatività interiore, del fare tutto perché si è vitali; in quel preciso momento non si pensa alla propria eternità. Poi, quando in età “avanzata” si riscoprono quei momenti giovanili, allora, e solo allora, si rivive la propria vita riuscendo a capire come la felicità era racchiusa in quelle piccole-grandi cose che hanno lasciato, anche inconsapevolmente, un segno indelebile che è giusto riscoprire.
    Anch’io ero sepolto da quel tipo di musicassette registrate, di cui facevo addirittura le copertine disegnate, e la mia vita roteava intorno a quei monili. Anch’io le ho ritrovate, riscoprendo quel periodo felice. Ed è sempre un piacere !

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