Una canzone da orgasmo

“Son qui tra le tue braccia ancor, avvinta come l’edera…”: tanto bastava, nel 1958, per suscitare imbarazzo… Eppure, a pensarci appena, la metafora è chiara, come è chiara l’immagine che le poche parole del testo suscitano: quella di due amanti, stretti nella passione amorosa. E, fra un Festival appena finito, e la ricorrenza di San Valentino, che un po’ a tema è, imbastisco una chiacchierata a tema: la canzone e l’amplesso. I ben informati diranno che ci si potrebbe scrivere un libro, ed effettivamente è così: infatti non faccio un trattato, ma colgo qui e là qualche spunto, e ve lo propongo.

Jelly roll…
  1. Quando i titoli (e i testi) alludono all’atto sessuale. Ogni genere, ogni periodo e ogni gruppo sociale ha dato vita a situazioni più o meno esplicite, e più o meno (auto)censurate: ma è stata senza dubbio la canzone negra la prima ad esporsi con provocazioni chiare e dirette. Per la gente di colore, cantare di sesso e sensualità è (stato) un modo per sublimare le energie psichiche negative e le frustrazioni sociali. E, di qui, la grande messe di pseudonimi “a tema” (uno per tutti: “Jelly Roll” Morton, dove “jelly roll” è il nome di un dolce simile a uno strudel, dalla foggia inconfondibile), di titoli scollacciati (“Banana in Your Fruit Basket” di Bo Carter, “My Man Rocks Me (With a Steady Roll)” di Trixie Smith, “Shave ‘em dry blues” di Ma Rainey, la quasi didascalica “It’s Tight Like That” di Tampa Red e Georgia Tom), di allusioni sfacciate (serpenti sinuosi, cimici che pungono, gatti che entrano di soppiatto nelle camere da letto, giumente da cavalcare…). I riferimenti sono così numerosi da dar vita a un sottogenere specifico, l’Hokum: famiglia di canzoni con a-parte, versi parlati e sezioni dialogate, e dal contenuto salace. E siamo solo negli anni Venti!
  2. Quando è un intero genere a richiamare il sesso. E, dopo l’Hokum, arriviamo al Rock’n’roll… Letteralmente. Perché l’espressione “rocking and rolling“, dal significato marinaresco di “beccheggio e rollio”, passa presto a suggerire l’oscillazione e il ritmo della frenesia sessuale, ed entra nello slang nero. Negli anni Quaranta, “rock” e “rocking” iniziano a indicare il ritmo vivace e frizzante RNB: finché il dj bianco Alan Freed della WJW di Cleveland, una bella sera del 1951, battezza ufficialmente le nuove tendenze rhythm’n’blues come “rock’n’roll”… Genere che, portato in classifica dai bianchi, suscita le feroci ire della borghesia, preoccupata proprio dai sottintesi erotici della musica. E passiamo al punto 3.
  3. Quando a essere allusivo è il sound. Perché, in realtà, di sesso vero e proprio nel rock’n’roll mica se ne parla: ma se ne sottintende, e alla grande… Con qualche titolo birichino (“I Got a Rocket in My Pocket” di Jimmie Lloyd) ma soprattutto tramite la grana timbrica e il ritmo. Anche se la versione di “Hound Dog” di Elvis è ripulita dai versi più piccanti, la voce “a singhiozzo” e il ritmico incedere della batteria mostrano in modo inequivocabile il debito e il riferimento alla musica nera, genere sensuale e licenzioso per eccellenza. E quando le chitarre saranno pompate con distorsioni ed effetti, e il basso pomperà a dismisura, il richiamo erotico si farà ancora più fragoroso…
  4. Iggy Pop

    Quando a dare scandalo sono le mosse del cantante. E qui non possiamo che pensare, di nuovo, a Presley, alla sua pelvica censurata da Ed Sullivan, alle labbra a canotto di Jagger, alle pantomime masturbatorie di Hendrix, alla lascivia animalesca di Iggy Pop, a quella decadente di Morrison… E, perché no, alle bambole gonfiabili di Frank Zappa! Che poi con la “canzone”, intesa come brano prima da registrare e poi da diffondere, questo c’entra fino a un certo punto: in fondo le canzoni facevano scandalo anche negli anni Dieci, quando del performer si sapeva poco o nulla. Ma è inutile negare che, come si diceva al punto 3, è (anche) vedendo Elvis che migliaia di bambini decisero di darsi alla musica, e migliaia di ragazze si sentirono scosse da un’eccitazione non solo emotiva, ma soprattutto ormonale. E scusate se è poco.

  5. Quando è la struttura della canzone a richiamare il crescendo orgasmico. Pensiamo, ad esempio, al riff del blues elettrico, o del jazz di Kansas City: ripetuto in modo incessante, quasi ossessivo, crea uno stato di tensione che sale e – di assolo in assolo, di incitamento in incitamento – accresce, fino a sfociare in una sorta di orgasmo collettivo, sotto la guida sciamanica del cantante e dei musicisti. Cosa che, in forme più semplici, sarà sfruttata fino alla noia dai solisti rock, soprattutto di chitarra elettrica: non a caso, per i fanatici dell’assolo fine a se stesso si parla di “masturbazione musicale”.
  6. Quando la voce, e in genere la progressione canora, richiamano i gemiti dell’amore e l’esplosione orgasmica. Dai moan del blues ai singulti rockabilly, si arriva – in tempi moderni – al capolavoro dei Pink Floyd “The Great Gig in the Sky“: sulla dolente progressione di pianoforte si impone l’improvvisazione vocale della corista Clare Torry… Un vocalizzo disperato, imponente e delicato, epico e commovente, selvaggio e tenerissimo: come un climax orgasmico. Altro esempio, l’interludio di “Whole Lotta Love” dei Led Zeppelin, con il theremin che costruisce un allucinato stato di tensione emotiva, su cui si dispongono i gemiti da amplesso di Robert Plant, che culminano nel brutale stacco di batteria e chitarra. Ma ci sono casi ben più sfacciati e lampanti: ed eccoci al punto 7.
  7. Quando nella canzone vi sono esplicite “citazioni sonore”, con tanto di gemiti e ansimi di origine inequivocabile. La più famosa delle Orgasm song, se non la capostipite, è “Je t’aime… moi non plus“, con gli intimi sospiri coitali di Serge Gainsbourg e Jane Birkin… Cui fanno eco, con accenti e intensità differenti, i sussurri softcore-soul “Love to Love You Baby” di Donna Summer, le urla da amplesso di “Help, I’m a Rock” di Frank Zappa, le scurrilità degli Squallor, la nippo-copula di “Kiss Kiss Kiss” di Yoko Ono, quella tribale di “Jungle Fever” degli Chackachas, i gridolini hip hop “De La Orgee” dei De La Soul… Fino ad arrivare agli anni Dieci dove – appena prima che il metooismo si affermi – la fallocrazia di molti rapper americani sforna una serie di brani infarciti di ogni genere di ansimi, suppliche e gemiti femminili: il capobranco, si sa, quello si aspetta dalla sua donna.

Ci sarebbe un’altra, e ultima, categoria: quelle delle migliori “colonne sonore” per l’occasione… Ma in questo non è prevista una sistematizzazione: sono certo che c’è chi predilige Fausto Papetti, chi gli Slayer, chi Al Bano, chi i Massive Attack e chi, magari, pure Raul Casadei. A ognuno il suo!

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Eccoci alla fine: roba ne ho detta, ma moltissima ne manca. Ho scoperto che esiste addirittura un libro a tema, dell’italiano Fabio Casagrande Napolin, “Orgasmo Song: Sesso, Musica e Sospiri“, che fa un’interessante e approfondita disamina socio-cultural-musicale sul fenomeno. Vedrò di procurarmelo al più presto: e nel contempo ve lo segnalo.

Per conto mio, finisco citando quello che è stato il mio “primo amore”, Lucio Dalla: “Ho fatto le mie scale tre alla volta, mi son steso sul divano / Ho chiuso un poco gli occhi e con dolcezza… è partita la mia mano”. Uno dei ritratti più disincantati e ironici di sempre del “primo amore” privato, la masturbazione: in fondo, anche questo è un tema meritevole. Come dice Woody Allen, “non condannate la masturbazione. È fare del sesso con qualcuno che stimate veramente!“. 🙂

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