(continua dalla prima parte)
Ma, oltre che un disco, un concerto e un film, TW è una narrazione: e una narrazione complessa, ardita, con ampi tratti di meta-qualcosa. Il flusso sonoro è punteggiato di “vocine” e “a parte” che giocano coi pensieri del protagonista, smentiscono le sue speranze o ne anticipano il destino, al pari di un narratore onnisciente. E gli incubi si materializzano, nel concerto, con i pupazzi che invadono la scena e minacciano Waters-Pink, mentre il gran demiurgo apre lo spettacolo con quattro musicisti che SEMBRANO i Pink, ma NON SONO i Pink: quattro figuri in nazi-uniforme che indossano maschere di gomma con le fattezze dei Floyd. Una “surrogate band” che, al secondo pezzo, cede il posto a David, Roger & co. per poi riemergere brutalmente nel pre-finale, la parte dedicata al delirio di potenza di Pink (“In the Flesh”, “Waiting for the Worms”). Una costruzione metanarrativa, quindi, che usa un concerto-massa per criticare proprio il concerto-massa e la divinizzazione fascista della star.
Il film tradisce parte di queste premesse: una pellicola con tantissimi momenti wow ma che ha il vizio di voler rendere tutto più chiaro, lineare e monolitico. I “mattoni narrativi” sono disposti con più ordine e razionalità, il profilmico è ripulito dagli elementi teatrali e di “concert situation” previsti invece dalla sceneggiatura, e il finale… Beh, chi lo sa. Perchè Alan Parker, bravissimo nel “raccontare nel breve” e nel clippare le canzoni, degli assilli di Waters ci ha capito ben poco.
Nel disco, nulla si sa del fato di Pink, dopo che “Suo Onore il Verme” lo ha condannato a “essere esposto davanti ai suoi pari”, e ha ordinato di abbattere il muro. Mi è sempre piaciuto pensare che il destino di Pink sia una “dolce follia”: una pazzia morbida, simile a quella descritta anni prima in “Brain Damage” (“The lunatic is on the grass, remembering games, daisy chains and laughs […]“). E mentre Pink giocherella con corone di fiori, “gli artisti e i cuori sanguinanti”, fuori dal muro, continuano a volergli bene, anche se non è facile. Il concerto mette in scena una narrazione differente, ma dal tono simile: sotto una diffusa luce giallognola da endgame, fra le macerie di un muro ormai crollato, i Floyd, in maglietta, chitarre acustiche e fisarmoniche, come tanti menestrelli, cantano una dolce nenia… Dopo il mastodontico dispiegamento di luci, decibel e watt, dalle rovine emerge una band pacificata, cosciente del suo ruolo e del cosa significhi davvero “fare musica”.
Nel film, nulla di questo: un “Tear down the wall” sbraitato da un grottesco giudice-ano, una tremenda esplosione, un Pink con gli occhi fuori dalle orbite (e che immaginiamo in viaggio per una follia tutt’altro che morbida), e alcuni bambini, per strada, che raccolgono mattoni.
Ma, nonostante un fraintendimento profondo fra Roger e Alan, TW riesce ugualmente a mantenere vivi alcuni punti di incandescenza ideologica, e a mostrare tutte le loro ambiguità… E anche a 40 anni di distanza.
TW ci mostra un divo rock, Pink (o, forse, Syd…), barricato nel suo albergo, in pieno delirio e come ipnotizzato dalla tv; i suoi rapporti col mondo e col pubblico sono mediati dal manager: l’unica via con cui Pink riesce ad avere un contatto con lo spettatore è tramite una relazione immaginaria, dispotica e violenta. La sua immaginazione riavvolge continuamente il nastro della sua vita, dove trova solo orrori e mostri: nessuno lo può capire… E, allora ,che sia lui a dettare le regole! Il glam rutilante e vitale di una pellicola come “Tommy”, o la positiva nostalgia di “Quadrophenia”, sono spazzate via da una storia cupa e sfiduciata, e senza sbocchi: e, con loro, la storiella della rock-star che guida e partecipa al cambiamento del mondo, e che qui è più un tossico autoindulgente che altro. Ed è stato questo, forse, ad aver decretato il successo dell’opera nella mia generazione: perché da ragazzi ci piace tanto dire che le colpe sono sempre del mondo; e perché stavamo anche rendendoci conto che, finiti gli anni Settanta, e con l’avvento di Mtv, le cose non sarebbero mai più state le stesse.
E anche per i Pink Floyd che, dopo TW, licenziano il tetro (e bellissimo) “The Final Cut” – di fatto, la prima opera solista di Waters – e nel 1985 si sciolgono. Ma ecco il “dopo” di cui dicevamo: è un dopo datato 21 luglio 1990 quando, per celebrare la caduta del Muro di Berlino, Roger allestisce – in Potsdamer Platz – una rappresentazione scenica di TW, assieme ad amici e star come Ute Lemper, The Band, Tim Curry, Joni Mitchell, Van Morrison e gli Scorpions. La via crucis di Pink esce così da una dimensione personale per trasformarsi in un allegorico allarme contro le dittature di ogni segno e colore.
TW, con i suoi frammenti più importanti, continua intanto a far capolino nelle scalette dei redivivi Floyd di Gilmour, e del Waters solista. Ma, fra il 2010 e il ’13, Roger si riappropria della sua creatura, e si imbarca in un gigantesco tour di 219 date, in cui ripropone per intero lo spettacolo del 1980: i toni, se possibile, sono ancora più aspri, e Waters è più volte accusato di usare immagini e riferimenti antisemiti, e di pretendere dal pubblico cifre proibitive (per un buon biglietto si parla di 250 euro): e meno male che, nel ’79, tutto era partito dal gigantismo dello show-biz…
Sembra proprio che, alla fine, il cane torni a mordersi la coda. Ma questo l’avevano detto, anche se sottovoce, gli stessi Floyd, e proprio in TW: le primissime parole del disco, sono infatti “… we came in?“, e le ultime “Isn’t this where…“. “Non è qui che siamo entrati?”: distrutto un muro, un altro sta già nascendo. Ah, le strutture circolari!
E così, seguendo il mio corto circuito personale, torno all’inizio anch’io, e a quello sputo nel buio del ’77 che ha dato via al tutto, e mi chiedo: ma che fine avrà fatto il tipo che si è beccato in faccia il sacro scaracchio watersiano? Saprà mai che, nel pieno di un momento di esasperazione cui hanno partecipato in pari misura lui e il gran musicista, è stato gettato il seme di una delle opere rock più iconiche del Novecento? Che paradosso, ragazzi…
Ma nemmeno tanto: perché, come (quasi) dice il poeta: “Dai cantanti non nasce niente, da uno sputo è nato The Wall“.
Pink Floyd – “The Wall” (studio album)
Pubblicazione: 30 Novembre 1979 – Harvest/Emi
Tracklist
(tutte le canzoni sono di Roger Waters, eccetto dove indicato diversamente)
- In the Flesh? – 3:19
- The Thin Ice – 2:28
- Another Brick in the Wall Part 1 – 3:10
- The Happiest Days of Our Lives – 1:50
- Another Brick in the Wall Part 2 – 3:59
- Mother – 5:32
- Goodbye Blue Sky – 2:48
- Empty Spaces – 2:07
- Young Lust – 3:31 (Roger Waters, David Gilmour)
- One of My Turns – 3:36
- Don’t Leave Me Now – 4:16
- Another Brick in the Wall Part 3 – 1:14
- Goodbye Cruel World – 1:14
- Hey You – 4:41
- Is There Anybody Out There? – 2:40
- Nobody Home – 3:25
- Vera – 1:33
- Bring the Boys Back Home – 0:50
- Comfortably Numb – 6:49 (David Gilmour, Roger Waters)
- The Show Must Go On – 1:36
- In the Flesh – 4:16
- Run Like Hell – 4:22 (David Gilmour, Roger Waters)
- Waiting for the Worms – 3:58
- Stop – 0:30
- The Trial – 5:19 (Roger Waters, Bob Ezrin)
- Outside the Wall – 1:42
Musicisti
Pink Floyd
- Roger Waters – vocals, bass guitar, synthesizer, acoustic guitar on “Mother” and “Vera”, electric guitar on “Another Brick in the Wall Part III”
- David Gilmour – vocals, electric and acoustic guitars, bass guitar, synthesizer, clavinet, percussion
- Nick Mason – drums, percussion
- Richard Wright – acoustic and electric pianos, Hammond organ, synthesizer, clavinet, bass pedals
Additional musicians
- Bruce Johnston, Toni Tennille, Joe Chemay, Jon Joyce, Stan Farber, Jim Haas – backing vocals
- Bob Ezrin – piano, Hammond organ, synthesizer, reed organ, backing vocals
- James Guthrie – percussion, synthesizer, sound effects
- Jeff Porcaro – drums on “Mother”, snare drums on “Bring the Boys Back Home”
- Children of Islington Green School – vocals on “Another Brick in the Wall Part II”
- Lee Ritenour – rhythm guitar on “One of My Turns”, additional acoustic guitar on “Comfortably Numb”
- Joe (Ron) di Blasi – classical guitar on “Is There Anybody Out There?”
- Fred Mandel – Hammond organ on “In The Flesh?” and “In the Flesh”
- New York Orchestra – orchestra
- New York Opera – choral vocals
- Vicki Brown and Clare Torry – backing vocals on “The Trial”
- Harry Waters – child’s voice on “Goodbye Blue Sky”
- Chris Fitzmorris – male telephone voice
- Trudy Young – voice of the groupie
The Wall (da intendersi come giustamente precisi tu come disco+concerti+sceneggiatura+film) è una miniera inesauribile di significati, rimandi e curiosità. Una cosa che non sono riuscito a capire con certezza ad esempio è se la surrogate band suona davvero “In the flesh?” (dai video sembrerebbe di si) oppure se sono solo sotto i riflettori ma a suonare sono i Floyd nell’ombra, magari tu hai avuto modo di appurarlo. 😊
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Sono altri musicisti… Mi sono fatto pippe infinite sul senso meta- della surrogate band!
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Si, certo… ma la canzone la suonano loro o i floyd?!
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Che sappia io, proprio la SB
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