Frank Zappa: un anarchico perfezionista

C’è un video facilmente reperibile sul web: un breve estratto dello Steve Allen Show, datato 4 Marzo 1963. Le immagini sgranate dell’epoca ci mostrano l’ospite speciale della trasmissione: un allampanato ragazzo in giacca e cravatta, con un naso “importante”, entra in campo e si avvicina a una bicicletta, già posata sul pavimento… La ribalta, smonta le manopole dei manubri e soffia dentro al telaio; poi, con le dita, pizzica i raggi delle ruote e vi striscia un archetto da violoncello; infine, con l’aiuto del compiacente conduttore, usa la bici come “strumento” per accompagnare una band Swing. È la prima apparizione documentata di Frank Zappa (1940-’93): e, a ben vedere, una sorta di Bignami del suo pensiero e della sua originalissima idea di “musica”.

Frank Vincent Zappa, oriundo greco-siciliano del Maryland, a 10 anni si trasferisce con la famiglia in California, ai margini del deserto del Mojave. Prima la batteria, poi la chitarra, qualche nozione teorica di base, e a 16 anni è già a capo di un gruppo scolastico. Il suo impegno musicale si caratterizza subito per un’estrema eterogeneità: suona nei bar, scrive jingle pubblicitari, compone colonne sonore per alcuni B-movie, e apre un piccolo studio di registrazione. I suoi interessi musicali sono un mix sconcertante di rhythm’n’blues, Edgard Varèse, doo-wop, Spike Jones e Igor Stravinksy.

Nel 1965 Zappa, che ora sfoggia un paio di folti baffoni neri, entra in contatto con i Soul Giants di Ray Collins, Roy Estrada e Jimmy Carl Black: diventato il leader, li convince della necessità di cambiare repertorio e li trascina nel suo progetto estremista. Il complesso è notato da Tom Wilson, produttore di Dylan e Simon & Garfunkel: la Verve Records, sussidiaria jazz della MGM, sta cercando di farsi un nome nel mercato pop… Forse questo gruppo può essere la soluzione giusta. I neonati The Mothers of Invention [1] sono assunti al club Whiskey A Go-go, e allestiscono il primo spettacolo freak di Los Angeles, il “Great Underground Arts Masked Ball and Orgy”: completa l’esibizione delle Mothers di Zappa uno stralunato balletto, “The Mother’s Auxiliaries”.

A Giugno 1966, sotto l’egida Verve e la protezione di Wilson, le Mothers debuttano con “Freak Out!”: non solo uno dei primi doppi-album della storia [2] (e sicuramente il primo doppio di un esordiente), ma la folgorante epifania di uno dei massimi geni musicali del Secolo.

Il disco, come si arguisce dal titolo, è dedicato allo “sballo”: concetto sui generis, “zappianamente” inteso in modo eclettico e non letterale. Frank non è un capopopolo, non è un tossico perso nei suoi deliri e non condivide sogni, viaggi o morbide illusioni “peace and love”… È, piuttosto, un sociologo che osserva il Flower Power, lo spoglia delle sue fatue velleità, e lo denuncia come moda ambigua, qualunquista e – alla fin fine – conformista e massificata come tutte le altre. Questo è, per Zappa, “essere un freak”: dietro i vestiti eccentrici, i capelli sporchi e arruffati, gli sguardi attoniti e i bizzarri copricapi – da cui il termine (auto)-dispregiativo di “freak”, “mostri” – scintilla un pensiero lucido, aggressivamente anti-sociale, anarchico e sprezzante [3].

Occorre mettere alla berlina il perbenismo, la società consumistica, il martellamento dei media e i loro simboli: simboli fra cui si trovano, ovviamente, la musica di consumo e le sue assurde categorie… Generi che Zappa si diverte, con funambolica inventiva dadaista, a smontare, mischiare, irridere, esasperare e allineare uno dopo l’altro, come giocattoli nella camera di un bambino. “Fare seriamente le cose allegre, e allegramente le cose serie”: questo, in sintesi, il motto di Zappa.

Nel metodo di Zappa emergono tre anime: il compositore, che predispone i motivi da utilizzare; il direttore d’orchestra, che seleziona gli strumentisti necessari e assume la regia dell’esecuzione; il produttore, che usa la sala di registrazione come congegno che tutto lega e coordina. L’esperienza nei commercial televisivi, la pratica dilettantistica rhythm’n’blues, l’amore per Varèse e il sinfonismo caotico di Charles Ives forniscono a Zappa le particelle sonore con cui cementare la sua materia… Sostanza che sporca con testi satirico-surreali e gag sonore al vetriolo, e che organizza in modi imprevedibili.

“Freak Out!”, mette in fila parodie di spot radiofonici (“I Ain’t Got No Heart, Motherly Love”), orchestrine da crooner (“How Could I Be Such a Fool”), ironie doo-wop (“Go Cry on Somebody’s Else`s Shoulders”), talkin’ blues (“Trouble Every Day”), motivetti da vaudeville (“Wowie Zowie”) e canzoni demenziali (“You Are Probably Wandering Why I’m Here”)… E, in mezzo, una continua punteggiatura sonora di assolo affilati, stacchi improvvisi, rumori misteriosi, vocalizzi dementi e risatine isteriche.

Il secondo vinile del progetto rincara la dose. “Help I’m a Rock” è una suite in tre movimenti che si apre con una nenia caotica, seguita da versi di animali, un orgasmo femminile, un intermezzo di jazz pianistico e un pezzo vocale da camera. “The Return of the Son of Monster Magnet” – un delirio di 12 minuti – comprende un selvaggio frammento percussivo, con tanto di disturbi radio e borbottii, e un grottesco coro a cappella che si scioglie in una vocina petulante, mentre pianoforte e percussioni sembrano impazzire.

Districarsi fra la discografia sterminata di Zappa (62 album pubblicati in vita, oltre a 37 postumi) e un numero pressoché infinito di composizioni, canzoni, frammenti e progetti, sparsi fra film, performance e dischi pirata (rigorosamente catalogati), distribuiti su cinque etichette private, è un’impresa titanica. Ma, nonostante episodi meno brillanti, e altri pervasi da evidente vanagloria, il suo catalogo è un unicum di straordinaria coerenza e valore. Ogni brano è una costruzione ragionata, ogni collaboratore un maestro dello strumento, ogni spettacolo un’opera d’arte in se stessa: un viaggio coerentemente allucinato che si snoda fra cabaret, spot televisivi, bambole gonfiabili, scalette variate di sera in sera e cover stranianti di classici.

Zappa è il primo artista pop a formulare in modo organico l’idea di una musica “totale”, senza confini: un macro-genere in cui confluiscono rock, jazz, jingle, filastrocche e classica, capace di dialogare a pieno titolo con le arti performative, le provocazioni intellettuali e la musica colta. Nessun artista pop aveva compiuto prima d’ora un’operazione così estrema: non è una sorpresa che, a 25 anni dalla morte, la considerazione di Zappa continui a crescere, soprattutto in seno ai critici jazz e agli autori di musica contemporanea (il fu-Pierre Boulez in primis, suo dichiarato tifoso).

 

[1] Questo nome non ha un’origine sicura: secondo alcuni deriva dal fatto che il gruppo si formò a ridosso della Festa della Mamma!
[2] Il primo album doppio della storia di pop music è “Ella Fitzgerald sings the Cole Porter song book” (1956), ma è un’eccezione: fino al ‘66, infatti, i pochi doppi album messi in commercio erano compilation, o registrazioni di concerti.
[3] I “padri spirituali” dei Freak californiani sono senza dubbio il pittore, scultore ed ex campione di ballo Vito Paulekas e sua moglie Szou. Nel 1961, a Hollywood, aprono una boutique di abbigliamento all’angolo di Laurel Avenue e Beverly Boulevard: assieme al socio Carl Franzoni (conosciuto come “Captain Fuck”) diventano noti per le stravaganze sessuali e i comportamenti non convenzionali, che culminano nelle esasperate e orgiastiche serate di ballo nei locali notturni di Sunset Strip. Folgorante la descrizione della comitiva da parte di un testimone dell’epoca: “Una famiglia allargata intrisa di acido, con conviventi cerebrolesi”.

Articolo tratto da “Il Grande Viaggio” – Vol. 2 – Parte Decima

…Coming soon!

Un pensiero riguardo “Frank Zappa: un anarchico perfezionista

  1. Fare un commento su Zappa mi sembra inutile ma, esprimere meraviglia ad ogni nuovo ascolto della sua opera monumentale, penso sia doveroso.
    Ogni volta che ascolto The Grand Wazoo, rimango incantato dalla meraviglia e nel contempo nella raffinata complessità dell’opera !
    Non so se ci sarà un prossimo Zappa, ma ci ha lasciato un’eredità enorme paragonabile alle Piramidi Egizie !

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