Tre film #6

Saluti a tutti!

In questa tornata parlerò di tre film visti in questi mesi e che hanno tutti in comune la parentela col genere “giallo“: e il ricorso a finali alternativi. Continua a leggere “Tre film #6”

Tre film #1

Carissimi, prima di andarmene in vacanze – ah, finalmente! – vi racconto brevemente di tre film visti in tv… Anche perché di sale aperte, a Torino, ce ne sono ancora pochissime: e meno male che il ventesimo anniversario dell’apertura del Museo Nazionale del Cinema, sarebbe dovuto esser celebrato con iniziative a tema (“Torino città del Cinema 2020”)… E chissà il TFF se ci sarà e come sarà.

Va beh, bando alle tristezze, che di rimpianti e malinconie ce ne sono già troppe, e veniamo ai film; tre titoli, dicevo, senza uno straccio di denominatore comune che non sia il mio salotto, la mia tv e l’indispensabile compagnia di Giusi.

Pronti? Si va!

  • “Hollywood Party”: un classico dell’umorismo cinematografico, da più parti e fonti considerato il miglior film comico di sempre. La trama si racconta, realmente, in due righe: Hrundi V. Bakshi, un attore indiano (dell’India), che per distrazione ha appena distrutto un set, è invitato per sbaglio al party dell’inconsapevole produttore, e di gaffe in gaffe gli smonta la casa. La sceneggiatura dà modo a Blake Edwards di satireggiare sul mondo del cinema e del jet set californiano, e a Peter Sellers di spendersi in una serie di gag visive e mimiche che richiamano la commedia slapstick e la lotta con gli oggetti di Jacques Tati: e, sì, è spassoso vedere come il proverbiale granello di sabbia possa prima inceppare e poi sbriciolare dall’interno gli ingranaggi dell’alta società, oliati di perbenismo e vacuità. Un gran film, ok: ma non lo definirei “il miglior film comico di sempre” (gli preferisco, ad esempio, “Some Like It Hot” e “Young Frankenstein”). Vi sono sequenze che avrebbero potuto essere un po’ asciugate (quella con l’attore dei western, ad esempio), e altre avrebbero meritato più approfondimento: trovo inoltre che il finale (da quando entra l’elefantino, per intenderci) sia fuori tono, e interrompa con la sua cacofonia carnevalesca il lento fluire umoristico del film. Una nota di merito, ovviamente, allo strepitoso Peter Sellers (indimenticabile la gag con la scarpa, e le smorfie del “bisognino urgente” che non trova sfogo), e a Steve Franken, interprete del cameriere via via più ubriaco, e che in più occasioni ruba la scena a Sellers. Insopportabilmente insipido il canticchiare di Danielle De Metz, che ha la stessa potenza vocale di Viola Valentino, ma stupendo l’autociclo del buffo Bakshi, una “Morgan Tre Ruote” degli anni Venti. Didascalico il finale, con Bakshi che, alla faccia degli arricchiti yankee, riesce a conquistare la bella Claudine Longet. La Prima Ministra Indira Gandhi si disse orgogliosa della battuta con cui Bakshi risponde a un ospite grezzo e lascivo: “«Who do you think you are?» «In India we don’t think who we are, WE KNOW WHO WE ARE!». E mi viene il sospetto che Paolo Villaggio, per la scena della cena aziendale del rag. Fantozzi, abbia rubato più di un’idea a Blake Edwards.

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