Il sacro fuoco dell’arte

Ciao a tutti. Il 12 Agosto 2025 è mancato Ronnie Rondell, all’età di 88 anni… “Ok”, direte, “mi spiace per lui, ma chi minchia è Ronnie Rondell?” Ve lo spiego subito: e, conoscendo il mio blog, non farete fatica a immaginare che è persona in qualche modo connessa al mondo della musica 🙂

Ronnie Rondell nasce in California nel 1937: suo padre, Ronald senior, è originario di Napoli, e da giovane ha recitato in alcuni film muti, prima di entrare come assistente nel mondo del cinema e della tv. Naturale che il giovane Ronnie si avvicini a tutto ciò che profuma di set e celluloide: e che, forte della sua esperienza di sommozzatore militare e di ginnasta, nel 1955 entri nell’industria cinematografica come stuntman e controfigura. Le sue specialità sono le acrobazie aeree e gli incidenti stradali, con tanto di esplosioni e fiamme… Ed è qui che entra in gioco il rock!

Già, perché – e siamo nel 1975 – i Pink Floyd stanno per pubblicare “Wish You Were Here“, uno dei loro capolavori , e devono ancora inventarsi una copertina. Lo studio Hipgnosis, fin dal 1968, ha firmato un binomio inossidabile coi Floyd, firmando tutte le copertine dei loro album: grazie a uno stile capace di coniugare sperimentazione, spunti surreali, arte concettuale ed elaborazione fotografica, sono nate cover art iconiche come quelle di “The Dark Side of the Moon” o “Atom Heart Mother”… Opere strettamente correlate al disco ma allo stesso tempo dotate di autonomia e dignità artistica: anche chi non ha mai ascoltato questi dischi ha sicuramente visto, da qualche parte, le loro copertine.

Bene: per “Wish You Were Here”, come sempre, la Hipgnosis lavorerà ispirandosi ai temi conduttori del disco: in questo caso, l’assenza e l’isolamento, e la disumanità del business musicale. Innanzitutto lo studio propone di racchiudere il vinile in una busta di plastica nera, per rendere letteralmente «assente» anche la copertina stessa: la EMI ovviamente storce il naso, ma alla fine deve abbozzare. E poi, il design interno: l’etichetta rotonda del vinile rappresenterà una stretta di mano fra due mani meccaniche (allusione alla freddezza dei rapporti umani), mentre in copertina ci sarà una fotografia altamente simbolica… Due uomini d’affari che (di nuovo) si stringono le mani, mentre uno di loro inizia a prendere fuoco. L’idea è, nuovamente, di raffigurare la paura del businessman di “bruciare i propri profitti”, e di mostrarsi a nudo.

Il set fotografico è individuato fra i capannoni dei Burbank Studios di Hollywood. Per impersonare i due uomini d’affari, in rigorosa giacca e cravatta, sono stati scelti due stuntman: Danny Rogers e, appunto, il nostro Ronnie Rondell… E sarà proprio lui a dover essere incendiato! Inizialmente Ronnie rifiuta: “Mi sento più in pericolo qui, fermo fra le fiamme, che in una scena d’azione“; ma poi accetta. Sulla pelle indossa una tuta ignifuga, mentre il capo è cosparso di gel: sopra, un completo da businessman, e una parrucca. Le prime 14 riprese vanno bene: ma, alla quindicesima, il vento fa uno dei suoi scherzi e cambia improvvisamente direzione, bruciando i baffi e un sopracciglio a Ronnie, che si getta in terra, mentre gli uomini della sicurezza si precipitano, estintori alla mano, al suo “spegnimento”.

Per fortuna i danni sono pochi, Ronnie è avvezzo a ben altro, e riprende il lavoro. Visto che il lato in vista del suo viso ora è spelacchiato, Ronnie deve voltarsi dall’altra parte, e porgere la mano sinistra al partner: con un rovesciamento dell’immagine, si arriva poi alla fotografia finale, in cui correttamente i due dirigenti si stringono la mano destra, e le fiamme iniziano a divampare.

Chiunque sia un minimo appassionato dei Pink Floyd conosce a memoria la copertina del disco: ma, negli anni, sono state pubblicate anche altre foto di scena, che mostrano chiaramente alcuni momenti dell’incidente: ed eccole qui, solo per voi!

Storia curiosa, quella della copertina di “Wish You Were Here”: e anche emblematica della cura certosina con cui i Floyd confezionavano i loro lavori, dedicando una fortissima attenzione all’aspetto visivo…  Attenzione evidente già nei primissimi tempi (i loro leggendari Light Show, fatti di proiezioni colorate, bolle di sapone e diapositive) e che tale è rimasta per tutta la carriera. Un gruppo sempre animato da un vivissimo “sacro fuoco dell’arte“, insomma: e cui lo stuntman Ronnie Rondell ha voluto, inconsapevolmente, dare letterale concretezza!

Un pensiero riguardo “Il sacro fuoco dell’arte

Se ti va, rispondi, mi farà piacere leggere e rispondere ad un tuo commento, grazie! :-)