Quarant’anni fa: il Live Aid

Ciao a tutti. Quarant’anni fa (fra due giorni, in realtà) ebbe luogo uno degli eventi musicali più leggendari di tutti i tempi: il Live Aid. Ma, visto che di carne al fuoco ce n’è parecchia, e non voglio nemmeno scrivere un poema, procederò per punti: così potrete saltare e leggere qui e là, a vostra scelta!

  • Che cosa? Il Live Aid è stato un concerto a scopo benefico, cui hanno partecipato decine di artisti inglesi e statunitensi: la mente e l’anima del progetto sono stati Bob Geldof e Midge Ure – cui si deve anche la canzone “Do They Know It’s Christmas?“, cui ho dedicato questo post , e che del Live Aid è stata una sorta di anticipazione – mentre le braccia, i promoter Harvey Goldsmith e Bill Graham. IL Live Aid è stato uno degli eventi musicali più famosi di tutti i tempi: grazie al collegamento satellitare, e alla cassa di risonanza mediatica, si stima che quasi due miliardi di telespettatori in centocinquanta nazioni diverse abbiano assistito in diretta al concerto… Oltre alle 160.000 persone stipate nei due stadi. Un record difficilmente battibile.
  • Dove e Quando? Il Live Aid si è svolto sabato 13 Luglio 1985 in due location diverse: il Wembley Stadium di Londra e il John Fitzgerald Kennedy Stadium di Philadelphia. Lo start è stato dato alle 12 a Londra, mentre gli americani hanno iniziato alle 13:50 (le 17:50 europee), per un totale di 16 ore complessive: in Europa la copertura televisiva è stata assicurata dalla BBC, e negli States dalla ABC.
  • Perché? Il motivo era dei più nobili: raccogliere fondi per la gravissima carestia che stava colpendo l’Etiopia, e causò circa un milione di morti. Ma, come vedremo, le cose non sono così semplici…
  • Chi? Settantacinque artisti in tutto: la crema di quegli anni, con un occhio particolare alle band e ai frontmen che avrebbero potuto attirare più attenzione e donazioni. L’elenco dei partecipanti si trova facilmente in rete: ma alcune esibizioni meritano più di altre la citazione. Gli Status Quo, che aprono il concerto; Elvis Costello, che presenta “All You Need Is Love” dei Beatles come “una canzone folk inglese“; Elton John, scoppiettante e dinamico, che duetta con George Michael; il Duca Bianco, David Bowie, col suo carisma e la sua eleganza disumana, e la potentissima “Heroes”; gli U2, con Bono che improvvisa un ballo con una ragazza, appena scampata a uno schiacciamento contro le transenne; le reunion provvisorie di Crosby, Stills & Nash, Black Sabbath e Led Zeppelin. E poi, soprattutto, i Queen, che, con un ginnico Mercury in baffi e canotta, e con un’esibizione di 20 minuti scarsi, firmano la miglior performance del concerto: un momento di classe assoluta, coinvolgente e energico, tanto da essere esplicitamente citato, fotogramma per fotogramma, nel film “Bohemian Rhapsody”.
  • Ma chi manca? Beh, innanzitutto Michael Jackson: nessuna motivazione ufficiale, ma probabilmente non sarebbe stato a suo agio in un evento corale di cui non avrebbe avuto il controllo creativo… Poi Bruce Springsteen: in tour da mesi, si era sposato da poco e non era ancora riuscito a fare il viaggio di nozze! Altri illustri assenti: i Tears for Fears (molto critici sull’evento), Cat Stevens (peccato… sarebbe stato il primo live dopo la conversione all’Islam), Peter Gabriel, i Depeche Mode e Stevie Wonder.
  • Curiosità. In testa a tutti è l’iperattivo Phil Collins che, dopo aver suonato a Londra, salta su un Concorde per andare a far la sua parte a Philadelphia… E che, non contento, sull’aereo incontra Cher, e la trascina allo stadio! Poi Bob Dylan: durante “Blowin’ in the Wind”, una corda pensa bene di spezzarsi: il chitarrista Ron Wood gli passa lo strumento, e in attesa del rimpiazzo, si esibisce in una surreale esibizione di “air guitar“: in parole povere, suona una chitarra immaginaria!
  • Soldi, soldi! I biglietti rappresentano la fonte meno importante, anche perché sono davvero a buon prezzo: 25 sterline a Londra, e 30-50 dollari a Philly. Il grosso arriva dalle donazioni telefoniche: dopo un inizio timido, grazie alla grinta dei Queen, e all’irruenza verbale di Geldof, le offerte si impennano: alla fine, si arriva a ben 150 milioni di sterline (di cui un milione intero dai reali del Dubai). In termini economici, l’investimento ha espresso un indice di ritorno reddituale (ROI) di tutto rispetto: 1250%!!!
  • Le critiche. Qualcuno fa subito notare come la pelle degli artisti sia un po’ troppo  bianca: ben 66 su 75… E, soprattutto, nessun artista africano: strano, per un concerto che voleva aiutare proprio un paese del Continente Nero! Ma è la gestione dell’evento a essere nell’occhio del ciclone. Per quanto lo scopo sia nobile, molti accusano il Live Aid (e i promoter) di esibizionismo e ipocrisia. Morrisey, degli Smiths: “Persone come la Thatcher e la famiglia reale potrebbero risolvere il problema etiope in dieci secondi. Ma la Band Aid ha evitato di dire questo, chiedendo invece soldi ai disoccupati e alla gente normale“. Andy Kershaw, della BBC: “L’ennesima parata della solita vecchia aristocrazia rock… Un gruppo di sgualdrine pop in gran parte deplorevoli, convinte di poter fare la differenza evitando di affrontare i problemi di fondo“. E poi, la cosa più importante di tutti: l’aver operato con una spaventosa leggerezza, destinando i soldi al governo etiope, e non alle associazioni straniere operanti in loco. Una frivolezza enorme, che fece sì che molti di quegli incassi fossero intascati dal dittatore etiope Menghistu Hailé Mariàm per finanziare la guerra e il suo regime corrotto.
  • E io? Di quell’evento ho una memoria abbastanza vaga… Era estate, avevo 17 anni, ed ero con gli amici, al riparo dagli obblighi scolastici: va beh la musica, ma chi aveva voglia di stare tutto il giorno davanti alla tv? Sicuramente vidi dei frammenti, ma nulla di più (totalmente all’opposto di quanto farò col Mercury Tribute, 7 anni dopo). Dal punto di vista artistico, che dire? Una bella compilation degli anni Ottanta, coi suoi alti (li abbiamo nominati, i Queen in testa) e bassi, ma nel complesso nulla di eclatante. Sicuramente è stato un evento storico, di cui si parla ancora oggi, e con numeri da record: più complicato però dare un giudizio morale.
  • Tu sei buono e ti tirano le pietre. Trovo giuste alcune critiche, in primis quelle sulla sorveglianza dei fondi raccolti. Non penso a un atto doloso, ovviamente, ma all’ennesima dimostrazione di come a volte molti artisti, tolti da una sala d’incisione, e messi a confronto col mondo reale, si mostrino supponenti, vanesi o semplicemente sciocchi. Se invece qualcuno afferma “Se hanno soldi li diano direttamente, invece di cavarsela con un concerto” non sono d’accordo: anche perché nessuno di noi sa se, in privato, qualcuna di queste star abbia o meno agito così, in questa o altre occasioni. Così come l’accusa di non aver “affrontato i problemi di fondo” mi pare fuori contesto: Live Aid fu una raccolta fondi, non un progetto politico. Probabilmente sbrigativa, mal gestita, ideologica e con gravi carenze di gestione: ma pur sempre nata da una buona intenzione. Che poi le buone intenzioni lastrichino la strada per l’inferno, è altrettanto vero! Comunque sia, sono passati 40 anni: il dittatore etiope Menghistu – nonostante una condanna a morte in contumacia – è serenamente “esule” in Zimbabwe, e ha 88 anni; l’Etiopia si dibatte ancora fra carestie, guerre e corruzione; Freddie Mercury non c’è più da tempo; e il mondo continua nella sua corsa, alla faccia di tutti.

10 pensieri riguardo “Quarant’anni fa: il Live Aid

  1. INCREDIBILE MESSAGGIO , QUELLI ERANO ARTISTI IMPEGNATI, NON QUELLI DI ADESSO CHE SI ROTOLANO NELLE CANZONI INNEGGIANTI ALLO SBANDO OPPURE SEMPLICEMENTE COMMERCIALI, SCUSATE LO SFOGO, MA IO AVEVO 11 ANNI E SENTO ANCORA LA FORZA DI QUELL’EVENTO, BRAVO CHICCO !

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