Tu sei pietra: e su te edificherò la mia musica

Ciao a tutti. Oggi parliamo di un argomento un po’ curioso: e cioè di come la storia del rock – e soprattutto in punti tutt’altro che secondari – sia punteggiata da una strana ricorrenza, almeno in alcuni snodi essenziali… La pietra, o il sasso, o il masso che dir si voglia! Un oggetto pieno di simboli, tanto da essere protagonista di un vecchio proverbio inglese, “A rolling stone gathers no moss” (“Una pietra che rotola non raccoglie muschio”), riferito a chi non si ferma, non mette radici… E che, come vedremo, farà da filo conduttore a questo breve excursus storico/musicale.

  1. Muddy Waters – “Rollin’ Stone” (1950). Il bluesman McKinley Morganfield, in arte Muddy Waters, nel ’43 emigra dal Mississippi a Chicago, in cerca di fortuna, e dopo pochi anni firma uno dei suoi pezzi storici: prende il classico pre-war “Catfish Blues“, e – come d’abitudine nel blues di quegli anni – ne varia qualche elemento, e lo pubblica col titolo di “Rollin’ Stone”… Il brano ispiratore si riferiva al pesce-gatto: animale sgraziato ma appetitoso, che sogna di abbandonare le melme del Mississippi per tuffarsi nel mare blu, ed esser preso all’amo da una bella donna. A questa metafora archetipica Muddy ne affianca un’altra, presa dal proverbio di cui sopra, e che solletica un tema molto sentito dagli afroamericani di quei tempi, sballottati su e giù per il paese in cerca di un’impossibile stabilità. Il pezzo diventa il lancio della carriera di Waters, e uno dei capisaldi assoluti del blues elettrico del secondo dopoguerra: tanto che, 12 anni dopo
  2. The Rolling Stones, 1962. Siamo a Londra: i Blue Boys di Brian Jones, Keith Richards e Mick Jagger sono agli inizi, e stanno cercando ingaggi. Durante una telefonata col titolare di un locale, alla domanda “Come vi chiamate?”, Jones cade nel panico: si volta e, gettato sul pavimento dell’appartamento, vede un lp, “The best of Muddy Waters”. La copertina riporta, sul lato A, al quinto posto, “Rollin’ Stone”: ecco l’idea! Il debutto dei Rollin’ Stones (con l’apostrofo) ha luogo al Marquee Club il 12 Luglio, con il solito amatissimo repertorio di Chicago: il primo di una serie ininterrotta di performance in costante crescendo, e l’inizio di una leggenda assoluta.
  3. Bob Dylan – “Like a Rolling Stone” (1965). Passano altri tre anni: è il 16 Giugno, New York, Dylan è in studio, e in una session ormai leggendaria incide uno dei capolavori definitivi della canzone rock. Un brano di oltre sei minuti, una “una lunga vomitata emotiva” che pare non fermarsi mai, un esplosivo intruglio di cinismo metropolitano, dolenza blues, immagini bizzarre, elettricità, allegorie, rabbia e sentimento, gravitante attorno all’urgenza di quel caustico “How does it feel?“, “come ti senti?“, e ispirato, ancora una volta, alla metafora della “pietra che rotola”. La ragazza del testo è ora gettata su una simbolica strada piena di polvere, presa a calci dal caso, e rotola “like a rolling stone”: ma da questo fallimento può ricavare una salvezza personale, profonda e insperata… Il sommo regalo del non possedere nulla, essere un sasso che rotola: e nulla più.
  4. E arriviamo a San Francisco: è il 1967, e l’editore Jann Simon Wenner e il critico musicale Ralph Gleason fondano un periodico dedicato alla musica giovanile, chiamato “Rolling Stone Magazine“. Non è un caso: sarà proprio Wenner, in un’intervista, a dichiarare che l’idea per il titolo gli venne dalla evidente ricorrenza delle “pietre” nell’allora recente storia rock, citando proprio Muddy Waters, Jagger e Dylan. Tutt’ora esistente, Rolling Stone Magazine è considerata la principale rivista di diffusione e promozione musicale e cinematografica del mondo, con decine di edizioni satelliti a carattere nazionale.
  5. Rolling Stone Blues” (2023), dei Rolling Stones! Sono passanti 60 anni dal debutto: e, finalmente, Jagger e Richards decidono di registrare un tributo al brano di Muddy Waters che aprì la loro incredibile carriera. Una bella cover, sentita e ruvida, e posta all’epilogo del loro ultimo albumHackney Diamonds“… Disco pregevole ma che, stante l’età dei protagonisti, potrebbe essere l’ultimo: se così fosse, “Rolling Stone Blues” sarebbe davvero una chiusura perfetta del cerchio.

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