I miei vinili #19- Suonare in gruppo pt 2 – I concerti

Ciao a tutti. Nello scorso post vi ho raccontato di quando, ormai un po’ di anni fa, mi ritrovai a far parte di un gruppo musicale: soprattutto, mi sono soffermato sulla sua formazione e sul primo concerto. Come promesso, continuo la storia: e la continuo raccontandovi di quelli che, senza dubbio, sono stati gli anni più belli, più ricchi di entusiasmo, concerti, prove e novità. Andiamo, si parte!

Una premessa: ho provato a chiedere a uno degli ex-componenti, Simone (ora stimato medico radiologo!), il permesso se rivelare o no il nome del gruppo… E la risposta è stata: “Meglio rimanere vaghi“: e quindi mi spiace, ma anche se vorrei, non posso: convenzionalmente, allora, ci nominerò – per motivi solo a noi noti – come “Gli Spaccaquindici”! (Ma, in barba ai divieti, metto in copertina una foto – sufficientemente sfocata! – di un nostro concerto!).

Dunque, ma che band erano gli Spaccaquindici? Innanzitutto un gruppo di amici, senza troppe pretese, e chiaramente amatoriale. Nessuno – tranne Elena “la Maglierista” – aveva studiato, e nessuno si allenava granché: e il fatto che io, che conoscevo qualche tecnica di basso livello, fossi il solista incaricato, dice parecchio sulla questione :-). Andava meglio col canto, dove ognuno (io no, ero senza ugola) se la cavava abbastanza bene, sia da solo che in coro: e ognuno nel suo genere.

Perché, altra curiosità, gli Spaccaquindici erano un bel mix di gusti e storie differenti: Franco amava il rock d’annata ma anche quello contemporaneo, Max il pop raffinato, Elena l’elettronica, io il rock-blues e Simone il Grunge. Una varietà che ha mai portato a discussioni, ma sempre a scoprire e provare cose nuove, e metterci alla prova. Ma con cosa? Per i primi anni, solo cover, cover e cover! Inventare qualcosa lo abbiamo fatto, ma sempre timidamente: ed è uno dei miei rimpianti.

Ma di concerti, in questi pochi anni di “vita attiva” (non più di cinque) ne abbiamo fatti un numero discreto: undici, per la precisione! Tre alla festa patronale del paesello, altrettanti alla festa della Michelin (dove Franco lavorava all’epoca), due al teatrino parrocchiale, due in un circolo dopolavoristico di Asti, e uno – il più strano – in un pub specializzato in heavy metal, dal nome vagamente allusivo di “La Clava“! Se non l’avete mai fatto, suonare in pubblico è una cosa parecchio strana ed eccitante: si cerca il posto (ovviamente aggratis, se va bene ti pagano la birra), la sera stabilita si arriva per tempo, si montano gli strumenti, si fa qualche prova, si compila il borderò e poi si sale… Le prime volta facendosela un po’ sotto, ma poi ci si abitua, come a tutto nel mondo. La gente? La vedi ma anche no, fra luci e concentrazione: guardi la scaletta appicciata in terra, e vai avanti… A volte anche per un’ora e mezza e oltre: ho delle scalette, nei miei archivi, di 15 pezzi, bis obligatori compresi!

Fra il pubblico (che, a occhio, oscillava fra le 50 e le 200 persone) c’erano amici, curiosi, habitué del locale e gente del posto: applausi sì, fischi devo dire sinceramente no… O forse il volume degli ampli ci impediva di sentirli! La scelta dei pezzi – la scaletta, insomma – era uno dei momenti più dibattuti degli Spaccaquindici: iniziare bene, e finire altrettanto bene, è sempre importante. Fra i brani meglio riusciti ricordo con affetto “Runaway Train” (Soul Asylum), “Paradise City” (Guns N’Roses), “Anarchy in the UK” (Sex Pistols), “Rock and Roll” (Led Zeppelin), “Rats” (Pearl Jam), “Long Way Back From Hell” (Danzig) e “Comfortably Numb” (Pink Floyd)… Ma devo spendere una parola per il grande rischio di “Shine on You Crazy Diamond”, parecchio complessa ma ben riuscita; per la mitica “Stairway to Heaven”, un vero azzardo; e per la marcia nuziale con chitarra distorta, con cui iniziammo un live pochi mesi prima del matrimonio di Max!

Il momento più bello era il dopo-concerto: smontare tutto, belli sudati e stanchi, ma orgogliosi come fossimo gli Stones al concerto di Copacabana! E, giorni dopo, ascoltare tutti assieme il nastro (o il video), per cercare i difetti ma – sono sincero – soprattutto le cose meglio riuscite… Nessuno di noi era un granché, tecnicamente, è vero: ma la grinta, la cazzimma e la faccia tosta non sono mai mancate!

E intanto passano gli anni…. Franco, per lavoro, è trasferito in Francia, ma ogni weekend torna a casa, e riusciamo lo stesso a fare le prove; Simone, invece, è molto preso dall’università, e si capisce che suonare inizia per lui a diventare un peso; Elena, per un periodo, fa uno stage all’estero, e facciamo un live senza di lei… E così via. Fino a quando Max si sposa (e, ovviamente, sono gli Spaccaquindici a suonare in chiesa!), e capiamo che le cose non sono più come prima. Che fare, allora?

Beh, semplice: prima di entrare in ibernazione, affittare uno studio di registrazione e incidere i sei pezzi nel frattempo composti. In una manciata di copie, solo per noi, e senza strane pretese: ma per avere un ricordo sonoro “professionale” e ben realizzato delle nostre idee. Ma di questo racconterò nella prossima, e ultima, puntata!

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