Le reunion: fra minestre riscaldate, curiosità e necrofilia

Ciao a tutti. Qualcuno mi dica che in questi giorni, girando sul web (ma non solo), non ha letto o sentito della trionfale e annunciata reunion degli Oasis… In questi ultimi giorni mi sarà capitato almeno 5 volte, più un paio di commenti captati nelle chiacchiere dei colleghi: e non è che io sia uno molto “social”. A me, personalmente, questa reunion interessa abbastanza poco, essendo gli Oasis una band che episodicamente ascolto, ma che nemmeno seguo passo-passo o di cui sono tifoso: immagino che dietro ci sia il solito intrico di interessi economici, orgoglio da prime donne e sfida artistica; e potrei anche scommettere per un litigio dei due fratelli a metà tour. Ma la notizia viene a proposito per affrontare il tema delle reunion in ambito musicale, che è un refrain sempre attuale.

Innanzitutto, c’è reunion e reunion. Me ne vengono in mente di due tipi1. Quella strutturale, che prelude (o segue) a un nuovo album, e a un nuovo progetto artistico 2. Quella episodica, legata a un evento, un concerto, una manifestazione.

La prima reunion che mi coinvolse nel profondo fu quella dei Deep Purple, 1984: quando, cioè, si riformò la mitica MarkII, quella di “Smoke on the Water” e “Child in Time”, con tanto di disco e tour. La Rai trasmise il concerto di debutto, a Parigi: concerto che registrai e che, con gli amici, vidi più volte: ma che iniziò ad aprirmi gli occhi verso il “fenomeno reunion”.

Il rock è sangue e sesso, energia e cazzimma, entusiasmo e coraggio, e dita e corde vocali in piena forma: virtù che, quasi inevitabilmente, l’età e la maturità trasformano in equilibrio e mestiere. L’ispirazione può ancora manifestarsi: ma ben raramente ha l’irruenza, la libertà e la tenuta dei vent’anni. Con quei Deep Purple mi parve così: bei concerti, un gran bel disco (“Perfect Strangers”), ma il confronto coi capolavori e con i live di solo una dozzina d’anni era davvero perdente.

Altre reunion vennero, negli anni: almeno, di quei gruppi che in piena adolescenza erano i miei miti. Una di quelle che, a mio parere, ha funzionato meglio si è concretizzata  fra gli ex Led Zeppelin Jimmy Page e Robert Plant: i due album sono prodotti artistici di livello, originali e che hanno tenuto bene anche la prova del tempo… E forse proprio perché non è stata una vera reunion, ma un progetto nuovo e autonomo.

Di molte, moltissime, mi disinteressai invece completamente: vuoi perché, nel frattempo, la musica era così cambiata da rendere poco attraente il loro esito (Emerson, Lake & Palmer sopra tutti); vuoi perché certe reunion si erano concretizzate in un tour autocelebrativo, e nulla più (Police, Cream); e vuoi perché certe altre, in cui il leader assente (morto; o vivo, ma che della cosa non ne vuole proprio sapere) è rimpiazzato da un altro musicista, gridano vendetta (i Doors con Ian Astbury, i Queen con Adam Lambert, i Sex Pistols con Frank Carter). Una minestra riscaldata, nel migliore dei casi; un oltraggio al pudore, negli altri.

Anche i miei amatissimi Pink Floyd hanno effettuato qualche rimpatriata: ma – per fortuna, aggiungo io… – solo concerti singoli, distanti parecchi anni uno dall’altro, o qualche comparsata di un Floyd in una singola data di un altro Floyd.

Il caso più estremo – ma a suo modo interessante – della moda delle reunion è stata quello, in gran parte virtuale, dei Beatles, e del loro singolo “Now and Then” (ne ho parlato QUI): un evento del tutto originale, e che più di tutto deve far riflettere sul perché di tali evocazioni spiritiche… Sì, è vero, spesso (ma non sempre) si tratta di mere questioni di soldi, o di orgoglio di artisti che non vogliono mollare manco sul letto di morte: ma , comunque, evidenziano un sottinteso assieme malinconico e pericoloso… E , cioè, che il presente sia incapace di generare capolavori e band all’altezza, e che non resti che rivolgersi al passato. E’ un atteggiamento che ha sicuramente dalla sua parecchi argomenti: ma che sa anche di passione necrofila.

Se, negli anni, l’idea di poter rivedere i miei miti di nuovo in pista mi entusiasmava, col tempo è subentrata la diffidenza e la serena accettazione: come ho capito sulla mia pelle, ogni cosa è figlia del suo tempo, ed è inutile sperare o peggio ancora pretendere che quel che fu 40 (o anche solo 10) anni fa, possa ripetersi uguale ancora oggi, o darci le stesse emozioni. Liberissimo di provare nostalgia per un’altra epoca, o continuare a celebrare i suoi dischi: ma credere di poter sovrapporre oggi e ieri è non solo sciocco, ma anche dannoso. E triste.

Comunque, e tornando a bomba, ben venga la riunione degli Oasis, vedremo cosa partorirà: per certo, incassi stellari, e chiacchere su giornali, tv e web. Spero anche un buon, e magari ottimo, esito artistico: ma mi sa che di quello si parlerà poco…

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