Cos’è il Male? Da agnostico, non ho una risposta chiara: non posso cavarmela citando Satana, Lucifero o entità simili. No: per me il male è qualcosa di più sottile, insinuante, sfuggente. Il peccato “concreto” esiste, è a volte mostruoso, suscita giusto raccapriccio: ma, pur affine, il Male è cosa diversa. La suggestione che più si avvicina al mio pensiero è tratta da un passo della novella “The White People” di Arthur Machen: «Il vero Male non ha nulla a che vedere con la società. Neanche il Bene, del resto. Che cosa provereste se il vostro gatto o il vostro cane si mettessero a parlarvi con voce umana? Se le rose del vostro giardino si mettessero a cantare? Se i ciottoli della strada cominciassero a ingrossare sotto i vostri occhi? Ebbene, questi esempi possono darvi una vaga idea di ciò che è realmente il peccato».
In linea con questo, se penso a un’immagine che, nella sua apparente semplicità, suscita in me il senso del Male, e che – come compete a questo blog – ha a che fare con la musica, mi rivolgo istintivamente alla copertina di un disco storico: “Black Sabbath“, l’album di debutto della band di Birmingham.
Siamo nel 1970, e Ozzy Osbourne e Toni Iommi, dopo un paio d’anni di attività, sono pronti per l’esordio. La Vertigo Records, senza coinvolgere i musicisti, appronta la confezione e, a poche ore dall’uscita, gliela mostra: una copertina apribile, al cui interno campeggia una croce rovesciata in campo nero, con una poesia dai tratti horror… Sulla copertina esterna, invece, una foto sgranata: una non ben identificata campagna palustre inglese, una vecchia casa e una figura femminile vestita di nero che guarda verso l’osservatore.
Ecco: tanto la croce rovesciata – scelta che non vide mai d’accordo i Sabbath, che satanisti non sono per nulla! – rappresenta quel concetto di Male banale, facile, didascalico di cui dicevo prima, tanto la foto di copertina evoca un Male elusivo, ambiguo, indecifrabile. Afferma Toni Iommi: «Se Satana esiste, non avrà le fiamme che gli escono dal culo e le corna in testa e una cazzo di lingua biforcuta. Sarà esattamente come me e te. Sarà subdolo e misterioso». Proprio come questa fotografia: che di per sé non afferma e non dice nulla… Ma da cui spira chiaramente qualcosa di malato e pericoloso.
Una strega, forse, la donna? Che fissa, e aspetta: chi? Noi, magari? La casa: il luogo di innominabili nefandezze… di un sabba, magari? Il bosco e l’acqua: il simbolo del disfacimento e del marciume? E così via. Niente è dichiarato. Ma so per certo che mai e poi mai mi avvicinerei a un posto così: e se, sbucando fra i rami, incrociassi lo sguardo di questa nera signora, non dormirei per parecchie notti.
Eppure, il resoconto della seduta fotografica è estremamente prosaico: il fotografo Keith “Keef” Macmillan piazza, in un gelido mattino d’inverno, la modella Louisa Livingstone in mezzo alla campagna, davanti al Mapledurham Watermill, uno storico mulino ad acqua di Mapledurham (Oxfordshire); le posa in braccio un gatto nero (che non si vede), e su un ramo fissa un corvo impagliato (che si vede). Louisa, sotto il mantello nero, è nuda: ma, alla fine, della sua pelle non si vedono che mani e viso. In studio, Keef altera colori e grana della foto, e il gioco è fatto. Tutto qui.
Se guardiamo il Mulino così com’è, senza “strega”, senza corvo e senza effetti, possiamo rimanerne piacevolmente incantati: un bel posto, bucolico il giusto, oggi visitato da decine di turisti in qualità di museo storico. E anche la Livingstone – che poi si è data alla musica elettronica col nome d’arte di Indreba – fa tutt’altro che paura: oggi è una bella signora di 70 anni, piccolina e sorridente. Eppure… Eppure la foto è davvero inquietante.
La questione non è tanto come i giochetti da laboratorio abbiano saputo truccare un luogo pastorale da un set da film dell’orrore, ma il contrario: come, più sottilmente, siano stati capaci di svelare quell’innominabile che è sempre in agguato, nascosto dietro il velo del quotidiano, e pronto a ghermirci. Sì: un accecante pomeriggio di sole, il profilo di una persona, o una strada di città possono improvvisamente disfarsi, sgretolarsi, e rivelarci il volto supremo del Male. Come il viso di un clown, da cui di punto in bianco inizia a colare il cerone, fino a mostrare un volto rugoso e sogghignante: una sensazione che, sotto sotto, provo più di quanto mi piaccia ammettere…
Colpa, forse, delle troppe letture di Lovecraft e Clive Barker, della visione di certi film… E, perché no, anche della copertina di questo disco. Che, oltretutto, è un gran pezzo di musica: uno dei capolavori del rock a tinte fosche, e il progenitore di migliaia di epigoni bardati di nero e croci di metallo. Da ascoltare, ma anche da vedere: ovviamente in formato vinile… Se il Diavolo sta nei dettagli, in una bella copertina apribile da lp si nota di sicuro meglio.
I miei animali parlano mi preoccupo ?
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Direi di si! 😈
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Che storia!
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