Tre film #5

Eccoci qui, sono passati tre mesi (!) e torno a parlarvi di film… Non che in mezzo non ne abbia visti, ma ho atteso di averne tre di tenore – se non di ispirazione – simile, in modo da non mischiare troppo fra generi e periodi… Poi magari la prossima volta farò esattamente il contrario, chi lo sa!

  1. Black Box – Ritrova te stesso“: il classico film che parte bene, e poi pian piano si squaglia. E dire che l’idea sarebbe pure interessante, col protagonista che ha perso la memoria dopo un incidente (che si chiami Nolan è più che un omaggio al regista di “Memento”…), e che le tenta tutte per tornare normale: compresa un’improbabile terapia a metà fra psicoanalisi e realtà aumentata, condotta da una sottilmente inquietante scienziata (Phylicia Rashād, la “signora Robinson” dell’omonima sitcom). E, fra ricordi che emergono, volti sfocati e un richiamo “ortopedico” a “L’Esorcista”, si aprirà un Vaso di Pandora che era meglio stesse chiuso… Ma – ecco i difetti – la terapia ha una plausibilità scientifica pari a zero, al limite del ridicolo, e il twist narrativo arriva un po’ presto, togliendo suspence al resto del film. Il finale è telefonato, e ancor di più il sottofinale… Si può vedere, intendiamoci: ma per passare 100 minuti c’è di meglio!
  2. L’immensità della notte“: per l’appunto, c’è di meglio! Rimaniamo in ambito fantascientifico, ma con un prodotto decisamente più interessante: il regista gira una pellicola basata su una sua sceneggiatura che, respinta in 18 Festival, nel 2019 ha finalmente vinto il premio allo Slamdance Film Festival di Park City (Ohio), attirando l’attenzione della critica. Il film si muove in un territorio decisamente classico: nel Dopoguerra, mentre tutti gli abitanti di un minuscolo paesino del New Mexico sono a una partita di basket, Fay, la giovanissima centralinista telefonica della città e il loquace DJ Everett captano un segnale anomalo: e, con l’aiuto di un ascoltatore, scopriranno molto di più. Fra segreti governativi, militari in congedo, blackout e oggetti volanti non identificati, la sceneggiatura chiama in causa i fanta-movie degli anni Cinquanta e intesse un interessante lavoro sui media: la radio, appunto, con le sue voci naturalmente fuori campo, le esitazioni, i silenzi, le cadute di linea; i nastri magnetici, da sbobinare, decifrare, riavvolgere; i telefoni e i centralini manuali, con i loro spinotti da staccare e connettere; e la tv, ovviamente… L’indiscussa protagonista di quell’epoca, che con programmi come “Ai confini della realtà“, ha fatto la storia della sci-fi: una fantascienza ingenua, domestica, fatta di rapimenti alieni e misteri, che noi – persi fra effetti speciali sempre più tonitruanti (aspettavo da anni l’occasione per usare questo aggettivo desueto! :-)) – abbiamo dimenticato.  Il film riproduce quel tipo di narrativa: e non solo come ambiente e personaggi, ma linguisticamente. Nel breve prologo una tv d’epoca, sgranata e in bianco e nero, ci annuncia l’epopea di Fay e Everett come fosse l’episodio di una fantomatica serie a tema, “Paradox Theatre”: una “messa in cornice” geniale, a cui (quasi) tutto il film obbedisce. Perché il rapidissimo carrello che, attraversando rasoterra la cittadina, mette in connessione il centralino di Fay e la radio di Everett, è stato realizzato con una telecamera montata su un go-kart: invenzione sì artigianale, ma certamente non da “anni 50”. Ma tutto il resto della pellicola è perfettamente “in parte”, dai toni cromatici alle scenografie, dal tema “alieno” ai personaggi: compresa la spassosa chiacchierata in cui i due si scambiano predizioni più o meno azzeccate su come sarà il futuro, e una certa lentezza narrativa di fondo… Che sarà pure vintage, ma forse non così necessaria e che ho “sentito”: ma che non rovina quello che è, a tutti gli effetti, un film bello, e molto intelligente. Che poi, come detto da alcuni critici, Patterson sia “il nuovo Spielberg” ce ne passa ancora…
  3. Little Joe“: anche in questo recentissimo film, il tema sembra preso quasi di peso dalla narrativa di genere degli anni 50, con riferimenti più che evidenti a pellicole come “The Day of the Triffids” e “Invasion of the Body Snatchers“: insomma, quelle storie in cui l’invasione della Terra non avviene per mano di omini verdi, ma di malefici vegetali alieni. Qui, però, i “cattivi” (quanto involontariamente non è dato sapere) non puntano a sostituire gli umani con dei Doppelgänger alla clorofilla, ma all’azzeramento emotivo delle persone. Tutta colpa di un esperimento genetico su una variante di fiori rossi che più rossi non si può, volto a produrre una fragranza capace di “dare la felicità“: ma, dice il saggio, “Attento a quel che desideri, potrebbe avverarsi”. Come chiarito da un finale raggelante, è facile scambiare una laconica e apatica serenità per la “guarigione” da quelle turbe e insoddisfazioni che erano, invece, lo specchio di una autentica vitalità emotiva. Quasi ovvio leggere, in questo, la metafora dei paradisi artificiali delle droghe, o più in generale, di quell’ottundimento dei sensi che la nostra società promuove in modi più o meno insinuanti e programmati. Il meccanismo narrativo, con il personaggio dello scettico che pian piano diventa consapevole della catastrofe, e più ci crede e meno è creduto, è risaputo: ma la regia – piaccia o meno – non potrà certo passare inosservata. Le lente carrellate, i colori accesi, disposti in nuance in maniera quasi matematica, la musica minimalista del giapponese Teiji Ito, la recitazione anodina di Emily Beecham: tutto è giustamente disturbante, funzionale e razionalmente meditato. Un filino troppo, direi…

 

Abbiamo parlato di:

  • Black Box” (“Ritrova te stesso”) (2020, USA, 101 min)

Regia: Emmanuel Osei-Kuffour Jr.

Soggetto e sceneggiatura: Emmanuel Osei-Kuffour Jr., Stephen Herman

Interpreti principali: Mamoudou Athie (Nolan Wright), Amanda Christine (Ava Wright), Phylicia Rashād (Lilian Brooks)

Musiche: Brandon Roberts

  • The Vast of Night” (“L’immensità della notte”) (2019, USA, 91 min)

Regia: Andrew Patterson

Soggetto e sceneggiatura: James Montague (Andrew Patterson), Craig W. Sanger

Interpreti principali: Sierra McCormick (Fay Crocker), Jake Horowitz (Everett Sloan)

Musiche: Erick Alexander, Jared Bulmer

  • Little Joe” (2019, Austria-UK-Germania, 105 min)

Regia: Jessica Hausner

Soggetto e sceneggiatura: Jessica Hausner, Géraldine Bajard

Interpreti principali: Emily Beecham (Alice Woodard), Kit Connor (Joe Woodard), Phénix Brossard (Ric)

Musica: Teiji Ito

4 pensieri riguardo “Tre film #5

      1. Io lo vidi al cinema post riapertura. Era estate, se non sbaglio. Bellino comunque, l’avevo definito “la versione botanica di 2001 odissea nello spazio” 😁😁
        Gli altri due non li ho visti ma mi hai incuriosito col secondo…

        Piace a 1 persona

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