Animals – “Before We Were so Rudely Interrupted”

Prima di aver sentito “House of the Rising Sun”

A volte capita di partire dal fondo, e di risalire le correnti come un salmone. Come quando, tanti anni fa, ebbi in regalo la cassetta di “Before We Were so Rudely Interrupted” degli Animals.

Degli Animals avevo già sentito parlare, ed Eric Burdon lo avevo pure visto, al Pistoia Blues Festival del 1989: ma ero troppo occupato a rimirare i frikkettoni superstiti, e ad aspirare clandestinamente la Maria che saturava Piazza del Duomo, per prestarci realmente caso… E così il destino pensò di metterci una pezza.

Perché degli Animals è difficile fare a meno. La ricetta è semplice, ma assolutamente efficace: attingere dal catalogo folk e blues di lingua inglese la giusta canzone e trasportare il tutto sull’organico di piccolo complesso rock, imponendo al sound dell’originale, di per sé aspro e dimesso, uno stile epico e ribelle, immerso nelle evoluzioni maestose dell’organo di Price e nella teatralità dell’ugola di Burdon. La loro lettura di “The House of the Rising Sun”, datata 1964, hit transatlantico di enorme successo, è al 122° posto nella mitica chart di Rolling Stones Magazine, è il primo hit non-Beatles della British Invasion, e con ogni probabilità apre le porte al folk-rock.

Beata innocenza, quando tutto sembra nuovo anche quando non lo è: per me “The House of the Rising Sun” era solo un arpeggio imparato alla chitarra, e non sapevo nulla né della sua storia secolare, e nemmeno della straordinaria versione del quintetto di Newcastle. E così toccò alla cassetta in questione darmi una bella svegliata, anche se a scapito del rigore cronologico: in pieni Novanta ero volato al 1977, quando Burdon e soci – rimessi a posto i pezzi sparsi degli “Original Animals” – avevano dato alle stampe il fenomenale disco della reunion.

“Before we Were so Rudely Interrupted”: un titolo che più didascalico di così non si può, e che una volta tanto mantiene le promesse. Sembra proprio di tornare agli anni Sessanta: come se davvero gli Animals, dopo “The Animals” e “Animal Tracks”, invece di sperdersi in mille rivoli e avventure, avessero tenuto duro, continuando a macinare blues e tormenti. E se, soprattutto, il pianista e tastierista Alan Price, ossessionato dalla fama e dal timore di volare (come lo capisco… per gli aerei, ovviamente) non avesse abbandonato la nave col successivo “Animalisms”.

Ed eccoli lì, di nuovo, “Prima che fossero così bruscamente interrotti”: e tocca proprio ad Alan Price aprire la scaletta. “Brother Bill (The Last Clean Shirt)” è un RNB a firma Lieber & Stoller, scritto guarda caso proprio nel ’64; gli accenti honky-tonk del piano, il walking bass di Hilton Valentine, e la voce di Burdon… tutto piace, diverte e rallegra, ma soprattutto l’assolo di chitarra: essenziale, senza complicazioni o virtuosismi, ma caldo, incisivo e perfettamente a fuoco.  Il disco scorre via che è un piacere: il tirato “Fire on the Sun”, il classico blues “As the Crow Flies”, il caracollante “Just Want a Little Bit” (Magic Sam), la cadenzata “Lonely Avenue” (scritta da Doc Pomus per Ray “The Genius” Charles), e lo stomp “The Fool” (dalla penna di Lee Hazlewood).

Please Send me Someone to Love” è un colpo da ko, da ascoltare, ascoltare e ascoltare ancora… Una richiesta d’amore in cui  Burdon dà fondo al suo impressionante repertorio vocale: growl, melismi, pause, bassi profondi, anticipi, svacchi, flessioni microtonali e acuti fulminanti, tutto è indispensabile, sincero e consapevolmente studiato. Ogni volta mi vengono i brividi: e quasi mi dimentico dell’organo di Price, del suo intro jazzato e del solo morbido e agile, che tanta parte hanno nella dinamica del pezzo.

E poi c’è la “It’s all Over Now, Baby Blue” di Dylan: una delle mie “canzoni della buona notte” preferite, e una delle cover più riuscite di sempre. Gli Animals prendono i quattro minuti di Dylan (chitarra, voce, armonica, e il lievissimo controcanto di una seconda sei corde) e li avvolgono in un’atmosfera tragica, sospesa, liturgica e minacciosa: una batteria metronomica, le solenni scansioni del pianoforte, una tastiera sottopelle che emerge come un volto nella nebbia, un intermezzo pianistico con uno straniante accompagnamento di nacchere, alcuni asciutti power chord, e la voce sofferta di Burdon, che con virile fermezza piange la fine di un amore. E ‘sti cazzi.

Un po’ defilato, troviamo l’eccellente “Riverside County”: un blues pigro e strascicato, macchiato di jazz dalle morbide svisate di Price e Valentine, e che – unico fra tutti i pezzi del disco – porta in calce le firme dei cinque Animals. E qui, dopo tante rose, arriviamo alle spine: se mai c’è stato un punto dolente nella loro carriera, è proprio questo: l’endemica penuria di composizioni originali. Difficile, in un contesto dove ci sono Lennon & McCartney, e Jagger & Richards, difendersi a colpi di cover… E così vennero le smanie solistiche di Burdon, il ritiro di Price, la psichedelia, la diaspora di Steel, Chandler e Valentine, le royalties sparite nel nulla, e infine la reunion: e un disco che, senza dubbio, va inserito fra i loro massimi capolavori. Eppure, se la loro proposta di attualizzazione del blues e del folk aveva funzionato meravigliosamente con “The House of the Rising Sun”, poco più di tredici anni dopo si trova a fallire miseramente. I critici fecero il loro lavoro, e lodarono l’album: e il pubblico fece il suo, ignorando il disco, e rispedendo gli Animals nel limbo in cui erano caduti tanti anni prima.

C’è più energia, verità e gioventù nelle loro performance di rudi quarantenni che in un intero anno di classifiche alla moda: ma questo non serve più. Non nel 1977. Non quando il rock ha ormai perso l’innocenza, la memoria e il rispetto delle radici, e ha ceduto alla “Great Rock’n’Roll Swindle”… Ed è così che il disco più maturo e compiuto degli Animals passa quasi inosservato, schiacciato com’è fra Abba, Fleetwod Mac e Sex Pistols. Come una vecchia fotografia scoperta in un cassetto, che prima muove a nostalgia, ma che poi ci ricorda come siamo diventati diversi: e che alla fine è meglio torni nell’ombra. Come l’infelice copertina in bianco e nero, concepita da chissà quale mediocre graphic designer, che non ha trovato di meglio che vestire i leoni del blues inglese con giacchette di pelle e pantaloni a zampa d’elefante, piazzarli con qualche bottiglia e un rullante sullo sfondo, e scattare una foto: come cinque sfigati qualsiasi, scappati per qualche ora da parenti e capofficina nella loro sala prove, ma che sanno benissimo che la domenica sta per finire… E al domani non ci sarà scampo. “It’s all over now, baby blue”.

 

Animals – “Before We Were so Rudely Interrupted” (studio album)

Pubblicazione: Agosto 1977 – Barn Records

Tracklist
  1. Brother Bill (The Last Clean Shirt) (Jerry Leiber, Mike Stoller, Clyde Otis) – 3:18
  2. It’s All Over Now, Baby Blue (Bob Dylan) – 4:39
  3. Fire on the Sun (Shaky Jake) – 2:23
  4. As the Crow Flies (Jimmy Reed) – 3:37
  5. Please Send Me Someone to Love (Percy Mayfield) – 4:44
  6. Many Rivers to Cross (Jimmy Cliff) – 4:06
  7. Just a Little Bit (John Thornton, Ralph Bass, Earl Washington, Piney Brown) – 2:04
  8. Riverside County (Eric Burdon, Alan Price, Hilton Valentine, Chas Chandler, John Steel) – 3:46
  9. Lonely Avenue (Doc Pomus) – 5:16
  10. The Fool (Sanford Clark) – 3:24

 

Musicisti
  • Eric Burdon – vocals
  • Alan Price – keyboards
  • Hilton Valentine – guitar
  • Chas Chandler – bass guitar
  • John Steel – drums

2 pensieri riguardo “Animals – “Before We Were so Rudely Interrupted”

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