Bill Fay – Who Is the Sender?

A distanza di oltre un anno ri-pubblico integralmente questo articolo, uscito in origine il 6 Febbraio 2019. Un pezzo dedicato a un CD che, per ragioni personali, è e resta connesso a un momento particolarmente delicato del mio recente passato, e riguardante la mia salute.

Oggi ho avuto, in merito, una buona notizia, e – visto anche il momento generale – voglio dedicare a tutti, e anche a me (e dai… qualche volta bisogna pur farlo) questi pensieri. Quando un anno fa pubblicai queste poche righe avevo si e no 3 iscritti: non che ora ne abbia a centinaia, intendiamoci, ma posso comunque condividere la mia emozione con qualche amico in più. E vi abbraccio tutti, ovviamente in modo virtuale.

 

Il cielo in un cortile

Questa paura, dovrò pur togliermela: il timore di prendere in mano, a distanza di quasi cinque anni [aggiornamento dai precedenti quattro], il cd di Bill Fay, e metterlo nel lettore. È una paura fatta di brutti ricordi, di un giugno difficile, e di tanta angoscia, ma che deve trovare soluzione.

Who Is the Sender?”: chi è il mittente? Del cd fu la mia compagna, che me lo regalò per il compleanno, dopo averne letto su qualche giornale: e ne aveva letto come di un miracolo… Quello di un pianista di genio e anima che, messo da parte dall’industria discografica, era tornato come dal nulla dopo quarant’anni di assoluto oblio, sfornando un disco bellissimo e commovente.

Dopo un ascolto distratto, lasciai passare un paio di settimane e lo rimisi nello stereo: e si, era proprio così, bellissimo e commovente. Quel mattino ero avvilito da un malessere che, confermando i sospetti di quei giorni, si sarebbe a breve rivelato serio: e Fay tirò fuori tutto il dolore e la malinconia che avevo dentro. Quella domenica passò, e dopo le settimane che vennero, non ebbi più coraggio di ascoltarlo. Ogni tanto lo prendevo in mano, aprivo la confezione, estraevo il dischetto: ma niente, la paura era più forte, e il cd tornava subito nello scaffale.

Oggi ho deciso di finirla, con questi fantasmi. Ma il turbine che ho dentro è ancora forte: e allora mi avvicino di soppiatto, iniziando nel  modo più asettico possibile: cercando qualche notizia in rete. Trovo, più o meno, questo: «Bill Fay: pianista, cantante e autore, nato a Londra nel 1943. Genere: country-blues, cantautore. Dopo i primi singoli, realizzati con la Deram nel 1967, e i due album “Bill Fay” (1970) e “Time of the Last Persecution” (1971), si ritrova improvvisamente senza contratto: e, durante il suo esilio forzato, diventa un artista di culto. Si riaffaccia sulle scene nel 2012 con “Life Is People”, il primo disco dal ’71, seguito da “Who Is the Sender?” (2015). La sua opera è molto apprezzata da artisti come Jeff Tweedy dei Wilco, Jim O’Rourke, The War on Drugs e Marc Almond».

Ora tocca al cd: un bel respiro, e via.

[…]

La prima cosa che mi arriva è un flusso sonoro delicato, minimale, soffice: pianoforte, viola, ghironda, violoncello, violino e corno inglese mi accarezzano piano, come il sole del mattino. È una musica morbida e tiepida: un semplice arpeggio di pianoforte e, senza fretta ma senza tregua, la canzone cresce, fino ad avvolgermi in una nuvola di luce; e poi, con la stessa calma con cui è lievitata, inizia a ritrarsi. Il frutto torna fiore, il fiore torna seme e si rifugia sotto la neve, in attesa della primavera.

È la natura, la protagonista di questi acquerelli. Una natura vista e raccontata con un’attenzione profonda, e con un amore toccante: natura come testimone silenzioso delle miserie umane e come paradiso perduto, da cui l’uomo, abbracciando l’interesse, la violenza e la paura, si è separato. “Mentre spazzo il cortile della fabbrica, in cielo le oche volano verso ovest, a casa: e forse avrei dovuto azzardarmi verso posti che non conosco”, sussurra Fay in “The Geese are Flying Westward”. E mentre gli animali si preparano all’inverno, le api ronzano e le foglie cadono nel bosco, il falco si alza in cielo per la caccia: “E’la sua natura uccidere, ma noi tutti uccidiamo in modi che lui non ha” (“War Machine”).

Siamo tutti ciechi, ammonisce il vecchio Bill, con la voce roca di un saggio: come un pesce in uno stagno, ci perdiamo le nuvole, gli alberi e gli uccelli, e vediamo attraverso un vetro scuro. Ma questo non può essere tutto quello che c’è (“World of Life”): Lui verrà e cambierà il mondo (“Order of the Day”), e finalmente smetteremo di aspettare giorni migliori… Perché li staremo vivendo (“Bring it on Lord”).

Se cantare di dolore, di fede e di speranza significa fare gospel, allora sì, Fay è un cantante gospel: ma questa definizione, letta da qualche parte, mi interessa talmente poco che vola subito via, e resta la musica.

“C’è una melodia, caduta da chissà dove… c’è un ritmo, e c’è una rima: ed è tutto così piccolo” (“How Little”). È l’imbarazzo di chi sente Dio parlare attraverso la propria voce. Così Bill descrive il suo ritorno alla musica: «Stavo curando il giardino e ascoltando alcune delle mie canzoni su cassetta, e una parte di me pensava che fossero abbastanza buone. Ho pensato: “Forse qualcuno le ascolterà, un giorno“». Proprio come il manovale che, spazzando il cortile, alza gli occhi verso uno stormo di oche, e capisce che il suo destino è il cielo.

E, da un cortile, il mio pensiero vola sino a una casupola nel profondo Sud degli States, dove un vecchio sta strimpellando una chitarra: Mississippi John Hurt. Che col pianoforte di Fay non c’entra nulla: ma che anche lui rimase per quarant’anni nell’anonimato, mentre ogni sera, al termine di una giornata di lavoro, si sedeva in veranda e dedicava una canzone a se stesso, alle pianure del Mississippi e al suo dio.

I miracoli non hanno spiegazione o tassonomie: semplicemente, succedono. E, come ammonisce il sacerdote in una scena di “La dolce vita”: “Non accadono nella confusione: ma nel silenzio e nel raccoglimento”. C’è la musica fracassona, piena di effetti speciali e di voci sguaiate, in cui spesso sguazzo; e c’è la musica della misura, dell’ascolto e della bellezza. Di quella bellezza così intensa che, mentre la vivi, già senti la nostalgia di quando sarà lontana. Fay, come un santo laico, canta sottovoce, e sottovoce scrive: col docile disincanto di chi ne ha viste tante, e con la ferma fiducia in un’imminente salvezza. “Ho ricevuto una canzone da un mittente misterioso” – sussurra turbato – “e vorrei dirgli grazie” (“Who is the Sender?”). Se questo era lo scopo del suo disco, allora c’è riuscito: e grazie lo dico io, per avermi rassicurato che so ancora commuovermi, e ringraziare qualcuno, per quello che ho. Non solamente per un dolore o una paura: ma anche per una gioia.

 

Bill Fay – “Who is the Sender?” (studio album)

Pubblicazione: Aprile 2015 – Dead Oceans Records

Tracklist
  1. The Geese are Flying Westward – 2:58
  2. War Machine – 4:12
  3. How Little – 6:03
  4. Underneath the Sun – 5:40
  5. Something Else Ahead – 3:11
  6. Order of the Day – 3:39
  7. Who is the Sender? – 4:56
  8. The Freedom to Read – 4:12
  9. Bring it on Lord – 3:52
  10. A Page Incomplete – 3:11
  11. A Frail and Broken One – 4:29
  12. World of Lie – 5:02
  13. I Hear You Calling (Studio reunion) – 3:41 (registrata originariamente per l’album “Time of the Last Persecution“, 1971)

Tutte le tracce sono composte da Bill Fay

4 pensieri riguardo “Bill Fay – Who Is the Sender?

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