Blind Willie Johnson – Buia era la notte

“Blind” Willie Johnson nasce in Texas nel 1897: a cinque anni impara a suonare una “cigar box guitar” (strumento rudimentale realizzato con una scatola di sigari), e due anni dopo perde la vista, quando la soda caustica – indirizzata al padre dalla gelosa matrigna  – colpisce per fatalità i suoi occhi. Le notizie, dopo, si fanno rade, ma è certo che nel ’26 è sposato, e con la moglie esercita il ruolo di “street preacher”, cantando le lodi al Signore per le strade di Hearne.

Johnson è la perfetta rappresentazione di quella tensione sempre presente, nel popolo nero, fra sacro e profano, fra diavolo e acqua santa, fra dannazione e salvezza. Lo è per la straziante tensione emotiva delle sue lodi, che ama cantare fra la gente: un tono roco che sembra non solo implorare, ma quasi pretendere rabbiosamente, la Grazia. Lo è per la probabile situazione di bigamia, e per il senso di colpa che lo tormenta. E lo è per la lacerante contraddizione insita nel suo esser musicista: un predicatore che canta gli inni al Dio, attingendo testi e temi direttamente dallo spiritual e dai canti sacri; ma che, nel farlo, adotta le cadenze della musica che disprezza, il blues.

Seppur suoni, preghi e canti fino all’anno della tragica morte, le trenta incisioni per la Columbia sono tutte effettuate fra il 1927 e il ‘30: e ascoltandole, è ben difficile non individuare la paternità blues… Voce bassa, catramosa e viscerale, accordature aperte, e un uso del bottleneck da autentico maestro. Il suo lascito musicale comprende alcuni standard di rara intensità, come “Jesus Make Up My Dying Bend”, “Mother’s Children Have a Hard Time”, “It’s Nobody’s Fault but Mine”, “Let Your Light Shine on Me”, e il capolavoro assoluto, “Dark Was the Night, Cold Was the Ground”: uno spiritual che trascende la parola, un flusso lirico indefinito privo di versi, basato su un moaning continuo, sferzato dai lamenti della slide; una straziante e intima meditazione sulla crocifissione di Cristo, caso unico di gospel che – nella spasmodica ricerca di Dio – abbandona la voce per farsi puro suono.

Nella navicella Voyager1, lanciata da Cape Canaveral nel 1977, l’astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan ha collocato un disco in rame placcato d’oro, il cosiddetto “Voyager Golden Record“: una sorta di biglietto da visita sonoro ad uso e consumo di eventuali extraterrestri. Sul disco si trovano suoni naturali registrati live in tutto il pianeta, saluti e auguri in 55 lingue diverse, la “Quinta Sinfonia” di Beethoven, il “Flauto magico” di Mozart, la “Sagra della primavera” di Stravinsky, un concerto brandeburghese di Bach, “Johnny B. Goode” di Berry, vari frammenti di musica classica e cerimoniale, “Melancholy Blues” di Armstrong… E, ovviamente, “Dark Was the Night”: brano chiamato a rappresentare “il sentimento religioso degli esseri umani, e la loro incessante ricerca di una comunicazione con Dio”.

La sonda Voyager è tutt’ora in viaggio: ma il viaggio di Willie non fu così fortunato. Messo in ginocchio dalla Grande Depressione, fu costretto a vagare da una città e l’altra del Texas, con la chitarra e la Bibbia sotto il braccio. Dopo l’incendio che distrusse la sua casa, si trovò a dormire per strada, coperto solo da giornali bagnati: questo evento lo fece ammalare gravemente e poco dopo morì di febbre malarica, a soli 48 anni d’età. Di lui si ricorderanno star come Led Zeppelin (“Nobody’s Faul but Mine”), Bob Dylan (“In My Time of Dyin'”), Eric Clapton (“Motherless Children”) e Tom Waits (“John the Revelator”), con cover di grande fortuna.

Discografia consigliata

Vv.Aa. – “God Don’t Never Change: The Songs of Blind Willie Johnson(Alligator Records, 2016)

Blind Willie Johnson – “American Epic: The Best of Blind Willie Johnson” (Sony Legacy, 2017)

 

Articolo tratto da “Il Grande Viaggio” – Vol. 1 – Parte Prima

…Coming soon!

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