Le voci degli altri
Si può sopravvivere (artisticamente) al proprio leader (e poco importa se abbia lasciato per noia, litigi, ambizione, crisi depressive o morte)? La decisione più onorevole, e cioè sciogliere la band e andare a capo con un progetto nuovo di zecca (come hanno fatto gli ex-Nirvana Dave Grohl e Krist Novoselic, e come fecero i reduci dei Joy Division, reincarnatisi nei New Order), è purtroppo la meno praticata. Qualcuno tenta con un rimpiazzo: a volte il sostituto si è mostrato capace di scalzare dalla memoria il leader delle origini (i Maiden di Bruce Dickinson), o quantomeno di non farne sentire la mancanza (Brian Johnson con gli AC/DC, e Ronnie James Dio con i Black Sabbath): ma sono situazioni abbastanza episodiche, subito smentite da casi imbarazzanti (come i Van Halen di Sammy Hagar) o mal digerite dai fans (i Deep Purple di Tommy Bolin).
C’è, poi, una terza strada: ricorrere alle risorse interne, e sferrare un contrattacco. Ai Pink Floyd post-Barrett riuscì, ai Genesis di Phil Collins pure: ma ai Doors… Beh, direi proprio di no.
Mica facile, dimenticare uno come Jim Morrison… Jim che, nella primavera del ’71, dopo l’incisione dell’album “L.A. Woman”, raggiunge l’anima gemella Pamela Courson a Parigi, e progetta di dedicarsi finalmente al cinema e alla poesia: ma dove, come nel più scontato romanzo d’appendice maudit, troverà invece la morte.
Solo Pam, quella mattina del 3 Luglio, ebbe il dubbio privilegio di assistere alla scena: Jim immerso nella vasca da bagno, i capelli ancora umidi, l’espressione serafica sul volto, e il cuore che aveva smesso di battere. Ma tutti se la immaginano come se ci fossero stati: e chissà se c’entra qualcosa il quadro “La morte di Marat” di Jacques-Louis David, la sequenza onirica del film di Oliver Stone, o se è merito della forza immaginifica della mitologia rock. Fatto sta che è uno di quei fatti capaci di segnare un’epoca, e di suscitare una serie di dicerie, enigmi e leggende: il mistero sulle vere cause del decesso (mah… c’è solo l’imbarazzo della scelta); la sepoltura al cimitero di Père-Lachaise; le bufale sulla “finta morte”; e il compimento della tragica maledizione delle “Tre J” cui avevano dato inizio, pochi mesi prima, le premature scomparse di Jimi Hendrix e Janis Joplin.
Eppure, in America, le altre tre Porte, sicuramente sbigottite, ma anche con la triste consapevolezza di chi in fondo se l’aspettava, decidono di provarci, con o senza Jim. Chi lo sa se per testardaggine, per onorare la memoria dell’amico, per spremere come un limone una ragione sociale tanto redditizia, o per dimostrare a tutti che i Doors non erano solo Morrison… Fatto sta che, nemmeno tre mesi dopo, esce nei negozi l’album “Other Voices”.
Questo disco, e il di poco successivo “Full Circle”, sono fra gli oggetti sonori più odiati – o ignorati – dai Doors fan di tutte le epoche, che non risparmiano accuse di lesa maestà, opportunismo e cinismo. Ci sta, in effetti: ma proviamo ugualmente ad ascoltare questo disco senza pregiudizi, e vedere “l’effetto che fa”.
Qualche dato, innanzitutto: registrato fra Giugno e Settembre 1971, prodotto da quello stesso Bruce Botnick che aveva supervisionato il precedente “L.A. Woman”, composto dai tre Doors superstiti, suonato con l’aiuto di una manciata di turnisti di tutto rispetto, e uscito a Ottobre dello stesso anno. Ma – questa è la notizia – a cantare sono Ray Manzarek e Robbie Krieger, le “altre voci”: finora rimaste – e ci mancherebbe – annullate dalla declamante retorica dionisiaca di Morrison, e che ora hanno il coraggio – e la necessità – di esporsi in prima fila, senza chiedere l’aiuto a un inverosimile – e scriteriato – sostituto.
Tanto di cappello per il coraggio. Ma il risultato? L’opening track “In the Eye of the Sun” fa subito intuire il sentiment dominante del disco: un pezzo bluesy molto orecchiabile, con limpidi interventi solisti dei “soliti due”, che scivola come un bicchiere di acqua fresca… E che non lascia dietro molte memorie, se non la piacevolezza e l’averti tolto, per qualche minuto, l’arsura di bocca. La voce di Manzarek – qui anche unico autore – non muove nemmeno un fremito: ma non perché “Morrison era un’altra cosa”. Semplicemente perché si sente che non è né un cantante e nemmeno un interprete, ma un musicista con un microfono in mano.
Analogo discorso per il secondo brano, la “Variety is the Spice of Life” di Krieger: un vivace boogie pianistico, cui il ritmo e la voce del buon Robbie regalano un po’ di brio, e che esibisce una progressione armonica a semitoni, tipicamente doorsiana. Ma il brivido dura pochi secondi e – alla faccia del titolo – si ricade in fretta nell’insipida – anche se formalmente corretta – formula dell’esordio.
E così la scaletta tira avanti, snocciolando l’allegrotto collage country-blues “Down in the Farm” – già pronto per “L.A. Woman”, ma escluso (pare) per esplicito divieto di Morrison – il rhythm’n’blues “I’m Horny, I’m Stoned”, l’hard soul “Wandering Musician” e il conclusivo festival ritmico, a cavallo fra profumi latini e frenesie free, “Hang On to your Life”… La sensazione, ovunque si posi la puntina del giradischi, è sempre la stessa: quella di gente che sa suonare, che non cerca mai il virtuosismo fine a se stesso, che ha alle spalle un background non allineato con la prassi rock (il flamenco per Krieger, il jazz per Densmore, e la classica per Manzarek), che conosce a memoria la tavolozza dei colori e sa come farne una firma… Ma che non ha granché da dire. Eh sì, al di là di ogni retorica, Morrison manca davvero. Senza la sua capacità di evocare l’ombra, il sole è troppo forte: ogni visione perde profondità, e si confonde nel caldo torpore delle estati senza fine della California.
In due occasioni sembra che lo spirito di Jim possa trovare la forza per mostrarsi. La prima è “Tightrope Ride”, RnB di marca Stones (rilasciato anche come singolo) in cui, nella descrizione dell’acrobata sul filo, non è difficile leggere un omaggio all’amico Jim e al suo spirito libero: “Sei sulla fune, nessuno al tuo fianco […] Ma se lo senti puoi volare la prossima volta […] Sei tutto solo, come una pietra scalciata, come Brian Jones”. Una suggestione parecchio intrigante, ma che stona non poco con la sanguigna spensieratezza della musica.
L’altra è “Ship with Sails”, il capolavoro dell’album: sul tappeto ritmico in tempo dispari, disposto dall’essenziale Desmore con l’aiuto del percussionista ospite Francisco Aguabella, si dispiegano i morbidi e sognanti tocchi strumentali di Krieger e Manzarek… Il pezzo dura sette minuti abbondanti ma non lo dà mai a vedere: tutto fluisce senza asperità, come la nave del titolo, e posso immaginare che se – in uno dei tanti “what if” possibili – Jim ci avesse messo mano, con la sua voce, ma soprattutto con la sua veemente oratoria, sarebbe potuta diventare una degna erede di “Riders on the Storm”.
Ma con le “sliding doors” si fanno i film, e non i Doors (ah, ah, ah…). Che consegnano alla discografia – e molto meno alla storia – un vinile anemico, baciato da un paio di intuizioni felici e da un gran mestiere, ma che è veramente impossibile definire “essenziale”. Anche facendo finta di nulla, senza sapere chi sono “quei tre lì”, e la pesantissima eredità che si portano appresso, faccio fatica a pensare che il disco avrebbe potuto sfondare, o quantomeno conquistare recensioni entusiaste.
L’impressione è di trovarsi davanti a una raccolta easy listening suonata e orchestrata in modo non convenzionale, ma che non si spinge oltre un decoroso compitino. La pratica della libera associazione mi porta in regalo un paragone irriguardoso, e non del tutto pertinente, ma che al momento mi pare la sintesi migliore per chiosare questo articolo: la straniante analogia fra la copertina di questo vinile e una foto dei Bee Gees (e ognuno faccia le considerazioni che crede…).
Non che tutto sia da buttare via, per la carità. L’esperienza si sente, l’ascolto è piacevole, e per quanto incerto possa essere il giudizio su “Other Voices”, i post-Doors faranno ben di peggio: sia nel futuro immediato, con il successivo “Full Circle” (1972), insozzato dall’insopportabile lagna “The Mosquito”, sia in quello remoto, quando nel 2002 Krieger e Manzarek – assieme a Ian Astbury e Ty Dennis – metteranno in piedi lo scombiccherato progetto di “The Doors of the 21st Century”. Ennesima dimostrazione di come la necrofilia musicale sia sempre un’idea pessima.
Jim aveva ragione: “Quando la musica è finita, spegnete la luce”.
The Doors – “Other Voices” (studio album)
Pubblicazione: 18 Ottobre 1971 – Elektra Records
Tracklist
- In the Eye of the Sun – 4:48 (Manzarek)
- Variety is the Spice of Life – 2:50 (Krieger)
- Ships with Sails – 7:38 (Krieger – Densmore)
- Tightrope Ride – 4:15 (Manzarek – Krieger)
- Down on the Farm – 4:15 (Krieger)
- I’m Horny, I’m Stoned – 3:55 (Krieger)
- Wandering Musician – 6:25 (Krieger)
- Hang on to Your Life – 5:36 (Manzarek – Krieger)
Musicisti
- Ray Manzarek – vocals, keyboards
- Robby Krieger– vocals, guitar, harmonica
- John Densmore – drums
- Jack Conrad – bass on 1, 2, 4
- Jerry Scheff – bass on 5, 6, 7
- Wolfgang Melz – bass on 8
- Ray Neapolitan – bass on 3
- Willie Ruff – acoustic bass on 3
- Francisco Aguabella – percussion on 3, 8
- Emil Richards – marimba on 5