Ciao a tutti. Che l’arma dello sciopero sia oggi spuntata, è cosa chiara a tutti… Che servano altre forme di protesta, più adatte al momento (ma quali?) è ovvio. Che chi comanda stia provando a limitarne lo svolgimento, è altrettanto palese. Ma c’è stato un tempo in cui scioperare funzionava, eccome… E anche in ambito musicale. Vi porto questo esempio, preso dalla storia della pop music statunitense. Caso non certo recente: ma che ha avuto effetti molto profondi, le cui conseguenze sono evidenti ancora oggi. Provate a leggere…
Nel 1940 James Petrillo diventa presidente dell’American Federation of Musicians, l’associazione di categoria dei musicisti: un gruppo di professionisti che, stanchi dei bassi proventi riservati dalle major per il lavoro svolto in sala d’incisione, preme da tempo – ma senza risultati – per una revisione degli accordi.
Quando nel ’42 Petrillo annuncia che, in mancanza di nuovo contratto, ad Agosto i musicisti entreranno in sciopero, nessuno sembra dargli credito. I mesi intanto passano, giunge la vigilia dell’ultimatum, e Petrillo non è arretrato di un passo… Che faccia sul serio?
Timorose che la minaccia si concretizzi, fra Giugno e Luglio le major precettano i musicisti sotto contratto per incidere a oltranza, e confezionare una scorta di canzoni per supplire l’eventuale periodo di buio. Tom Dorsey, Count Basie, Bing Crosby, Woody Herman, Benny Goodman e Duke Ellington registrano parecchio materiale: per Glenn Miller queste sono le ultime incisioni da civile.
Il 1° Agosto 1942, come promesso, il Sindacato Musicisti entra in sciopero: nessun associato, fino al termine dell’agitazione, potrà lavorare per alcuna casa discografica. Sono esclusi dallo sciopero tutti i cantanti (una categoria che non fa parte del Sindacato), e gli strumentisti impiegati negli show radiofonici o nei concerti: è inoltre rilasciata una particolare dispensa per incidere, a titolo gratuito, i V-Disc per il fronte.
Nei primi tempi, le case discografiche riescono a ovviare alla mancanza di materiale con i pezzi registrati in estate: col protrarsi della protesta, le difficoltà si fanno però sempre più evidenti. Le major saccheggiano i loro archivi, riesumando incisioni inedite, e arrivando persino a ristampare matrici degli anni Venti. Quelle radio che basavano le loro fortune sulla sola trasmissione di musica registrata si trovano in grave difficoltà: riescono invece a salvarsi quelle con contratti di diffusione di spettacoli dal vivo.
Visto il prolungarsi della contestazione, si pensa – come ultima risorsa – di incidere i vocalist più famosi col contributo di soli coristi. Non casualmente, è proprio grazie ai brani cantati col supporto dei “Bobby Tucker Singers” che l’ancora semi-sconosciuto Frank Sinatra ottiene la consacrazione definitiva: delle nove canzoni uscite nel 1943, ben sette arriveranno nella hit parade.
Dopo un anno di duro conflitto, stremate, le major devono capitolare, e accettare le condizioni dettate dal sindacato. La Decca Records firma il nuovo accordo nel Settembre 1943, seguita il mese successivo dalla Capitol: le ultime ad arrendersi saranno la Victor e la Columbia, nel Novembre 1944.
Lo sciopero, in sé, non comporta sul medio termine svantaggi per le case discografiche, almeno in termini numerici: ma è altro a interessarci. Proprio perché non coinvolti dalla protesta, i cantanti diventano gli unici artisti affidabili, i soli ad attrarre pubblico radiofonico, e gli unici in grado di assicurare vendite, come dimostrato dal caso di Frank Sinatra. Mentre le grandi orchestre Swing, che avevano dominato gli anni Trenta, si avviano al tramonto, tocca a una nuova figura farsi largo, e imporre la sua dittatura: il cantante solista.
Il cantante diventa il “boss” della scena: detta i tempi, il ritmo, il colore e il tono della band, e pian piano scalza l’orchestra dal piedistallo. Il repertorio abbandona i pezzi da ballo per abbracciare la cosiddetta “ballad”: una canzone d’argomento sentimentale e di vago stampo jazzistico, impostata su un tempo lento, cucita su misura per il crooner.
Con Sinatra si apre la strada a una forma di divismo aggressiva, estrema e irrazionale: simile, per certi versi, a quanto il cinema aveva sperimentato negli anni Venti, con Rodolfo Valentino, Marlene Dietrich e Greta Garbo… E un’anticipazione di quanto accadrà solo una decina di anni dopo quando, nel 1956, un ragazzo bianco di Memphis metterà in subbuglio le classifiche, e gli ormoni della platea femminile, con una scossa di bacino.
Da allora, il divismo nella musica non ci ha lasciato più: nel bene e nel male, condizionando tutta la storia della pop music mondiale, e spingendo i suoi effetti sino a oggi. E dire che lo sciopero, che ha avuto i suoi effetti più deflagranti proprio sui cantanti, era nato invece per dare maggiori tutele ai musicisti…
Buona giornata senza sciopero
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Che ironia tragica…
Cmq non è possibile che a Roma ogni venerdì ci sia uno sciopero diverso. Come se nel resto della settimana i mezzi fossero ottimi.
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