Ciao a tutti. Oggi vi parlo di un paio di due canzoni a me molto care, e che presentano una curiosa combinazione: una melodia molto dolce e piacevole, appoggiata a un arrangiamento morbido e avvolgente, ma sposata a un significato piuttosto sinistro e inquietante… Accostamento in entrambi i casi legato all’ossessione del controllo.
- La prima è la notissima “Every Breath You Take” (1983) dei Police: moltissimi, affascinati dalla cantabilità della melodia, dal ritmo blandamente incalzante, dalla voce jazzy di Sting e dal titolo, con quel “ogni respiro che fai” che tanto sa di attenzione e cura, pensano che questo brano sia una canzone d’amore. Ma mister Gordon Matthew Sumner tutt’altro aveva in mente quando buttò giù il caratteristico arpeggio e i versi del suo fortunatissimo singolo. Già: perché “Every Breath You Take” parla, in realtà, del controllo patologico. Conferma lo stesso Sting: «È una canzone cupa che parla di controllo, gelosia, sorveglianza, ma c’è chi crede che sia un brano romantico e vorrebbe usarla al proprio matrimonio». In tempi come questi (ma forse, e sottolineo forse, è sempre stato così), in cui quasi ogni giorno un marito o un compagno geloso ammazza la propria donna, e lo stalking è diventato un reato a tutti gli effetti, fa un po’ impressione leggere questi versi:
“Ogni respiro che prendi, ogni movimento che fai
Ogni legame che rompi, ogni passo che fai
Io starò a guardarti
Ogni singolo giorno, ogni parola che dici
Ogni gioco che fai, ogni notte che rimani
Io starò a guardarti
Non riesci a vedere che mi appartieni?”
- La seconda canzone è l’altrettanto piacevole, dolcemente ritmica e quasi ipnotica “Eye in the Sky” (1982) di The Alan Parsons Project. E quando dico “ipnotica” dico una cosa per me assolutamente autentica: “Eye in the Sky” fa parte del mio repertorio di “canzoni per la buonanotte“… brani che canticchio mentalmente, nelle notti insonni, e che hanno su me un effetto calmante. Eppure, dietro il pacato incedere del pezzo, e la voce, serena e morbida, di Eric Woolfson, si cela un’ispirazione tutt’altro che rassicurante… Lo spunto nacque infatti dai numerosi sistemi di sicurezza e telecamere nascoste presenti nei casinò, in cui Eric amava trascorrere del tempo. L’Occhio nel Cielo del titolo richiama il “Grande Fratello” che tutto vede e osserva: quello del romanzo “1984” di Orwell, insomma. E, forse, quello che ormai ci scruta continuamente, grazie agli “acconsento” che clicchiamo febbrilmente su siti, contratti e piattaforme.
“Io sono l’occhio nel cielo che ti guarda
Posso leggere la tua mente, sono colui che fa le regole
Scendendo a patti con i pazzi, posso fregarti senza che tu te ne accorga
E non ho bisogno di vedere altro per sapere che posso leggere la tua mente”
***
Cosa strana e disturbante, almeno per me, sapere di questa sorta di “ossimoro musicale”: la mente e l’abitudine fanno poi sì che, alla fine, l’ascolto prenda la solita strada, e per automatismo torni a suggerirmi storie d’amore e voci morbide… Ma l’incanto, una volta svelato, non si dimentica facilmente: potessimo solo fare la stessa cosa con tutte quelle idee e quelle persone che, dietro la loro patina di gentilezza e nonchalance, continuano soavemente a fotterci la vita.
Non sapendo una parola d’inglese ( patologia da rifiuto) raramente vado a vedere il significato delle canzoni. Il più delle volte è una delusione
Buongiorno
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Buongiorno Chicco. Tante canzoni del passato oggi potrebbero essere poco corrette. A me viene sempre in mente “Colpa di Alfredo” di Vasco Rossi che canta “è andata a casa con il negro, la troia”, pensa se l’avesse scritta adesso.
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Ma io non intendevo che fossero poco “corrette” quanto che avessero un significato nascosto ben differente e spesso stridente con quanto suggerito dal senso comune e dalla melodia
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Sì, è vero, ma a me è venuto in mente lo stesso Vasco Rossi. 🙂
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Carine, per una pischella come ero io un secolo fa e un pischello che sei tu ora!
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Mah… tanto pischello non direi…
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Non so, ma io sono proprio andatella 🙂
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