Il lancio di “Bringing It All Back Home”, il quinto album di Bob Dylan, coincide con la serata finale di un tour a quattro mani con la collega e fidanzata Joan Baez: ma ormai Bob è più famoso di lei, e l’identificazione con quel folk di protesta di cui è ormai il simbolo gli va stretta. Eppure, tre soli mesi dopo, sabato 24 Luglio, ecco Dylan raggiungere Newport: il tempio del folk duro e puro, dove è atteso come un messia per la quinta edizione del Festival. Tutto sembra pronto per un’altra, ennesima, apoteosi.
Al seminario pomeridiano, Bob si presta per un set interamente acustico: ma, di ritorno ai camerini, sente l’eminenza grigia del folk, Alan Lomax, liquidare con supponenza la Paul Butterfield Blues Band, gruppo elettrico invitato per un’esibizione collaterale. “Ah si? È questo che pensano? Li sistemo io!”. Passa poco, e Bob ha già reclutato in gran segreto parte della band e l’organista Al Kooper, e sta provando la scaletta per il giorno dopo: un temporale sta per abbattersi sul Rhode Island…
Arriva il 25 Luglio: e, nel palinsesto, la performance di Dylan è inserita fra due artisti estremamente tradizionali. Peter Yarrow, maestro di cerimonie della serata, introduce la star: “Purtroppo”, avvisa, “ha poco tempo, e lo spettacolo durerà pochi minuti”. Bob è accolto da un’ovazione, ma nello spazio di una manciata di secondi l’entusiasmo scema rapidamente, e si trasforma in un silenzio attonito: sul palco, con Dylan, c’è anche una band, con tanto di amplificatori e jack inseriti. Le casse gracchiano, Bob si avvicina al microfono… E succede il finimondo.
Le cronache sono molto confuse e frammentarie, le ipotesi si accavallano, le testimonianze si contraddicono, e anche le riprese amatoriali non riescono a sciogliere i dubbi. L’unico dato certo è che, assieme agli applausi, arrivano anche impietose bordate di fischi. Dopo tre soli brani Dylan, fra i molti “boooo!”, lascia di corsa la ribalta. Nel backstage capita di tutto: si narra addirittura che Pete Seeger, storico mentore del folk urbano, ascia alla mano, voglia tagliare i cavi dell’amplificazione. E pare che Dylan sia chiuso in camerino, con una gran voglia di piangere e ubriacarsi.
Peter Yarrow, imbarazzatissimo, implora Bob di tornare. Dylan è confuso e sconvolto: si presenta con la sola chitarra acustica, e chiede un’armonica in prestito al pubblico. Terminata “It’s All Over Now, Baby Blue” (e quale altra canzone avrebbe mai potuto scegliere?) si alza e, senza mai voltarsi indietro, lascia dal palco: la folla esplode in un applauso forte, convinto, che sembra non aver fine: “É tutto finito, ragazza mia”. E’ passata nemmeno un’ora, ma sembra trascorso un secolo. Dylan non tornerà a Newport per 37 anni.
Eccolo, lo “scandalo elettrico di Newport“: “Tutto qui“, direte voi? “Ammazzare di fischi il tuo idolo solo perché suona con una band?“. Detto così, e soprattutto ai giorni nostri, può sembrare una follia… E una follia, a dire il vero, deve esser apparsa allo stesso Dylan, e a molti contemporanei. “Se qualcuno arriva da lontano soltanto per fischiare, è perché può permettersi di buttare via i suoi soldi“, dirà a Dicembre. Ancora più duro sarà dopo le simili contestazioni del tour inglese: “Mi hanno dato del Giuda, il nome più odiato nella storia dell’umanità. E per cosa? Per aver suonato una chitarra elettrica! Per me, possono anche marcire all’inferno!”. Ha ragione: cosa mai ci sarà di male?
Il male è, come sempre, nel cuore e negli occhi di chi guarda. In questo caso, di tutti quei giovani convinti che l’unico folk degno sia la canzone di protesta politica: e che le appiccicano caratteristiche del tutto arbitrarie, come un sound “puro”, un obbligatorio “messaggio”, e una fortuna commerciale limitata. Se una canzone è elettrica, priva di un testo “chiaramente sociale” e fa pure soldi, è per definizione sintomo di un’arte corrotta. Questo vede, il ragazzotto arrivato a Newport come in pellegrinaggio: Dylan che compie il sommo tradimento. Ma ovviamente non è così.
Dylan – e non da adesso – ha capito che la cosiddetta “controcultura”, lasciata in mano ad ardori senza consistenza, è diventata una gabbia, che non ammette repliche o deviazioni… Una sorta di fascismo hippie, insomma. E non lo sopporta più. Bob non ha lasciato Hibbing, un borgo minerario di sei isolati, per trovarsi in un’altra prigione: prima che un musicista, vuole essere un uomo.
Ed ecco il perché di “Newport”: non solo un concerto, i “booo” del pubblico, una chitarra elettrica, o una data del 1965… ma l’urlo d’insofferenza di uno spirito libero, e che libero vuol rimanere. Libero di dire che in Oswald, l’assassino di Kennedy, vede qualcosa di se stesso; libero di cambiare continuamente stili, generi e poetica, sconcertando pubblico e critica; libero di vestire di volta in volta i panni del pacifista, del sionista radicale, dell’ardente cristiano “born again” e del bluesman, e di dismetterli non appena il principio che l’ha ispirato è diventato una “causa”.
Dylan, con l’incalzante litania di “Subterranean Homesick Blues”, la sferzante lezione morale di “Like a Rolling Stone” e la svolta di Newport, ha indicato implicitamente alla musica moderna quali strategie perseguire per sfuggire alla morte per inedia: abbandonarsi a un continuo, coraggioso e sfrontato vagabondaggio fra generi e stili, fra genti e colori, fra città e campagna. Senza una vera direzione, senza obbedire a stupide ideologie, e sempre in temerario equilibrio fra passato e futuro: alla fine, riportando tutto a casa. “É tutto finito, ragazza mia”: si, lo è. Ma altro sta per iniziare.
Ammetto che non sapevo niente di tutta questa storia.
Buongiorno
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È un vero segno dei tempi e un segno di come spesso anche un movimento teoricamente così aperto come quello hippie possa diventare una specie di gabbia ideologica
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Raccontato magistralmente nel film A complete unknown, dove Dylan dice: vorrebbero che facessi per tutta la vita Blowin’in the wind… E invece Dylan, come tutti i grandi artisti, si è sempre, continuamente evoluto
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A costo di abbracciare.scelte estreme, come quando si era convertito ai Born Again, ma sempre dando tutto se stesso… Ha dichiarato che non concepisce scelte che non siano radicali, è un suo punto di vista che nn è il mio ma che rispetto molto
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