Ciao a tutti. Oggi termino la breve (e un po’ sparsa!) serie dedicata alla mia storia come componente di un gruppo musicale. Nella scorsa puntata eravamo arrivati al punto in cui, dopo sei anni di prove, concerti e divertimento, preso atto che le cose stavano cambiando per tutti, avevamo preso la dolorosa decisione di scioglierci (o, un po’ eufemisticamente, “metterci in stand by”): ma ci voleva un canto del cigno!
Negli anni avevamo scritto qualche canzone, ma sempre in modo sporadico, senza crederci troppo: mi ricordo che, quando decidemmo finalmente di farne una in concerto, si discusse addirittura se denunciarne la paternità o far finta di nulla… In un mondo di sboroni, noi eravamo fin troppo modesti, mi sa! Fatto sta che, giunti a fine corsa, ci ritroviamo sei pezzi fra le mani: scritti e arrangiati da noi, secondo un processo molto collegiale e “democratico”. E decidiamo di inciderli in modo professionale.
Vi dirò: scrivere un pezzo è, per la mia esperienza, una questione d’istinto. A volte per ridere, a volte per sfida, accade sempre dal nulla, e in pochi istanti. Bella cosa, l’ispirazione: ma poi occorre pensare a un arrangiamento decente: e lì si vedono i limiti, teorici, tecnici e di esperienza, che ci hanno sempre penalizzato. Pensare al ritmo e alla dinamica, a “cosa fai tu qui? e io? e mettiamo un coro? e quali effetti?“; immaginare una intro o una conclusione; scrivere un testo con un senso: mica semplice, se l’hai mai fatto. E infatti non fu semplice: ma sicuramente fu divertente.
E prova che ti riprova, e messe giù per bene le idee e le varie parti, contattiamo un piccolo studio di incisione: un amico di mio cugino, che sempre sia benedetto, e che ha la pazienza di seguire in modo accorato una banda di dilettanti come noi! Per incidere 6 pezzi ci mettiamo due sabati interi: sabati intensissimi, di 10 ore l’uno.
Come funziona la cosa? Abbastanza semplice, a dirsi: prima si registra una traccia-guida, di voce e chitarra, che finito il lavoro sarà poi gettata via, ma su cui batterista e bassista eseguono le loro parti; poi, con questa traccia nelle orecchie, suonano le due chitarre (una per volta, separando parti ritmiche, di contorno e soliste); seguono infine la tastiera, la voce principale, e i cori. E nel frattempo il tecnico calibra i volumi e i toni, fa i suoi cazziatoni, ti ferma se sbagli, e mixa il tutto.
Ma, essendo scarponi, nessuno di noi riesce ad eseguire perfettamente la sua parte: e allora ti fermi, tiri due imprecazioni, e riprendi da dove hai cannato… E così via, strumento dopo strumento, canzone dopo canzone. Mi ricordo una grande tensione, e parecchia stanchezza: ma anche la goduria per il risultato finale. Gli strumenti, con un sound pulito, grintoso e luccicante; le voci, chiare e incisive; i cori, al volume giusto, efficaci e ben realizzati; e i pezzi, finalmente con un suono e una costruzione come si deve. Si ha davvero l’illusione di essere un gruppo serio!
Due sabati, dicevo, e il lavoro è finito. Il tecnico mette i pezzi su un master, li imprime su una ventina (o trentina) di cd, paghiamo (una milionata di lire, se non sbaglio) e ci portiamo a casa l’opera d’arte! Per noi, senza alcun sogno di gloria o altro: ma solo per avere un qualcosa di finalmente ben fatto, e che possa durare nel tempo.
Ovviamente, oltre ai pezzi, pensiamo anche a una foto di copertina, a un libretto con testi e altre amenità, e a un titolo: un titolo ispirato a una frase che veniva spesso fuori, quando ci rendevamo conto di non saper fare la nostra parte senza errori… E cui qualcuno rispondeva sempre, decantando i miracoli della tecnologia, così: “Tanto in studio si aggiusta tutto: taglia e cuci“. E così “Taglia e cuci” fu!
Lo stile dei pezzi è del tutto eterogeneo, proprio come lo erano i nostri gusti: dalla ballata morbida all’hard rock, dal notturno d’atmosfera al pop scanzonato. E, secondo me, alcuni pezzi non sono per nulla male. I miei ex-compari non mi hanno dato il permesso di postare alcun brano, ma i titoli eccoli qui!
- Midsummer night
- Pensa a suonare
- Sensazioni blu
- Nessuna preghiera
- Frozen mama
- Tempo sprecato
Sono ormai 25 anni che il cd è nel mio scaffale: i primi tempi ne ero orgogliosissimo e lo mettevo spesso, poi col passare del tempo ha iniziato anche lui a prendere polvere. Ogni tanto (sempre meno, a dire il vero) lo ascolto, e può anche capitare che lo faccia sentire a qualche amico recente, ignaro dei miei trascorsi “artistici”: ma sempre con molta parsimonia.
E’ un ricordo che mi fa piacere evocare; ma che, allo stesso tempo, mi suscita un senso di rimpianto. Per un’avventura che – nella sua ingenuità – è stata comunque unica e irripetibile: e per la testimonianza che, in un momento della mia vita, un barlume di creatività mi ha toccato: per quanto imperfetto e intermittente, c’è stato. E se c’è stato allora, forse potrà esserci anche domani: è lì, da qualche parte. Ma oggi non è facile trovarlo.
Mentre scrivo, sto riascoltando in sottofondo il cd: lo so a memoria, ogni parola, ogni nota. Ma solo ora mi accorgo che in una canzone c’è un certo verso, perfetto per chiudere questo racconto e questa storia, col giusto filo di malinconia: “Così, quel che sta laggiù, non è, e non sarà mai più: così, sensazioni blu“.
Lo puoi pubblicare sul blog sarei curioso di ascoltarlo
Buona giornata
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Una storia carina da ricordare. Niente rimpianti. Sei e sarai sempre un musicista.
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Anche se da allora, quasi per malinconia, smisi di suonare! Di fatto passai ad altri hobby, ma come si vede nel blog sempre è la musica al primo posto
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Certi amori non finiscono mai, è il caso di dire…
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deve essere bello aver prodotto qualcosa di tuo **
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Una grande soddisfazione… Ma rimasta sempre in incognito, anche (ma non solo) x il fatto che nessuno di noi è iscritto alla SIAE
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chissà
forse un giorno troverai delle canzoni in radio che per caso numerico saranno identiche alle vostre
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