Ciao a tutti. Come promesso, eccoci alla seconda (e ultima) puntata di questa brevissima serie dedicata al Torino Film Festival – TFF42.
Dopo le considerazioni di carattere generale (qua), ora tocca alle (brevi) recensioni dei film visionati. Dopo anni e anni in cui la media dei film visti era fra i 15 e i 18, la lista del 2024 si limita a 10 pellicole. Ma – a differenza dell’edizione 2023 – il livello qualitativo (chissà se per sfiga o per effettiva pochezza del catalogo) non ha mai raggiunto livelli di vera eccellenza.
Ma bando alle ciance, e via con le recensioni!
Concorso lungometraggi
“Corresponsal” (Emiliano Serra, Argentina, 2024, 75′): primo film, e probabilmente il migliore della nostra piccola rassegna. Attraverso una narrazione non sempre consequenziale, assistiamo alla storia di Eduardo Ulrich, giornalista nell’Argentina della feroce dittatura militare e che, nemmeno tanto sottobanco, svolge il ruolo di spia e delatore per il Regime: ma, mentre Buenos Aires attende febbrilmente i Mondiali di Calcio del 1978, i vermi che stanno divorando dall’interno la coscienza del protagonista inizieranno a farsi sentire, conducendo Eduardo (e noi) verso il delirio. Con qualche richiamo a “La Conversazione” di Coppola, una colonna sonora efficacissima nel suo rumorismo astratto e la performance a fuoco di Augustìn Rittano, una riflessione non scontata sul terribile periodo dei desaparecidos: e la cui sintesi sta tutta nella doppiezza del titolo, che echeggia quella del protagonista (il “corrispondente” è anche “corresponsabile”). Voto: 7 1/2
“Dissident” (Stanislav Gurenko, Andriy Al’ferov, Ucraina, 2024, 93′): divisa in quattro capitoli, questa pellicola si assume il difficile compito di descrivere l’oppressivo clima politico e sociale della Repubblica Sovietica dell’Ucraina di fine anni Sessanta, e di instaurare un parallelo con la situazione attuale. La narrazione spezzettata, la fotografia livida, l’inserimento di brani documentari e l’uso di fish-eye sfocati evocano efficacemente l’atmosfera opprimente di quel mondo: ma se il film, stilisticamente, convince, crea qualche problema di comprensibilità a chi non conosca bene le complesse vicende di quel popolo e di quel paese (prima fra tutte, la questione linguistica). E ancor meno conquista nella sua intenzione didascalica di rilanciare il discorso sul presente. Voto: 7
“The Black Sea” (Derrick Harden, Crystal Moselle, USA/Bulgaria, 2024, 96′): ovvero, come prendere lo spunto narrativo di “The Terminal” (là, un cittadino dell’Est Europa che resta “imprigionato” in un aeroporto americano per motivi burocratici; qua, un nero di Brooklyn bloccato a Sozopol, sul Mar Nero bulgaro, senza soldi e passaporto), e provare a rimestare le carte. Pare che non vi sia stata sceneggiatura, e che buona parte dei dialoghi sia stata improvvisata: se così è, bravi… E bravo soprattutto il protagonista, Derrick Harden, nella cui performance solare e sincopata traspare il suo vero mestiere di rapper e curatore di mostre. Storia dalla trama abbastanza prevedibile ma in cui tenerezza, allegria e ottimismo si fanno sentire. Voto: 6
Concorso documentari
“Gingerbread for Her Dad” (Alina Mustafina, Kazakistan, 2024, 76′): un tema classico che più classico non c’è (il viaggio) per raccontare quel variopinto mosaico linguistico, storico e geografico che è l’odierno Kazakistan. Tre generazioni di donne (nonna, figlia e nipote) si mettono in marcia alla ricerca del luogo (un bosco in territorio polacco) dove il bisnonno morì in battaglia durante la Seconda Guerra Mondiale, per porgere un omaggio. Essenziale, sentito ma non retorico: quando il passato e il presente si toccano. Voto: 7
Concorso cortometraggi
Programma 2: dei sei corti visti in questa tornata, cito l’italiano “Dieci Secondi” (bella l’idea di usare il fuori campo per evocare l’esperienza della perdita), il messicano “Passarinho” (per la simpatica tenerezza della vicenda) e l’iraniano “Black Scarf” (per la terribile vicenda raccontata: terribile perché terribilmente vera). Voto medio dei sei corti: 6,5
Fuori concorso
“Riff Raff” (Dito Montiel, USA, 2024, 103′): una bella e divertente black comedy che mescola in modo accattivante il romanzo criminale e le famiglie allargate, con esiti fra lo spassoso e il grottesco. Scrittura a fuoco, attori perfetti, dialoghi brillanti, e interessante la struttura temporale: ma il grandissimo Ed Harris è decisamente troppo vecchio per il ruolo che ricopre. Voto: 6/7
“Ho visto un re” (Giorgia Farina, Italia, 2024, 88′): ed eccola, la sempre attesa e sempre puntuale “sola”… Un filmetto ispirato (così pare) a una storia vera accaduta in un paesino laziale nel 1938, in piena glorificazione fascista della Guerra d’Etiopia. Un cumulo di luoghi comuni (i fascisti uno più macchietta dell’altro, il “negro” Ras etiope bello, gentile e colto, la maestrina fiera dell’orbace ma che si innamora del prigioniero, il carabiniere che fa il duro ma che fascista non è, lo zio gay, brillante e arguto…) così banale da vergognarsi. Bravi gli attori: ma è l’unica nota positiva. Voto: 5-
“The Assestment” (Fleur Fortuné, USA/Germania/UK, 2024, 114′): ambientato in un futuro prossimo post-apocalittico in cui chiunque voglia aver figli deve superare una valutazione senza appello, questo film – chiaramente appartenente al filone distopico – affianca cose buone (la fotografia, la recitazione gelida della valutatrice, l’urticante progressione narrativa, la scenografia) a momenti meno ispirati (l’accumulo di temi “alla moda” e di finali). Una visione non sempre facile, ma che merita lo sforzo. Voto: 6/7
Zibaldone
“Nero” (Giovanni Esposito, Italia, 2024, 105′): ecco, questo sì che è un film italiano ben riuscito. Non un capolavoro, d’accordo: ma non ha grosse pretese, non ammicca, non cerca l’applauso e la compiacente gomitata del compagno di fila… Ed è mica poco! La storia si basa su un assunto narrativo per nulla realistico, ma presto riassorbito nella quotidianità grazie al volto spiegazzato ma sempre pronto al sorriso del protagonista (il regista Giovanni Esposito) e alla lunare follia della sorella Imma (Susy Del Giudice). Un percorso di redenzione intimo, commovente e non giudicante. Voto: 7+
Marlon Brando
“The Wild One” (László Benedek, USA, 1953, 79′): e beh, “Il Selvaggio”, che altro dire? Brando capo di una banda di “feroci” biker, col broncio d’angelo sul viso e il giubbotto di pelle sulle spalle, duro dal cuore d’oro che non ha la forza per sfuggire al suo presente di piccola delinquenza, è una delle tante icone di quel cinema che, senza ancora averne coscienza, mette in mostra molti dei miti e dei temi su cui prima il rock’n’roll e poi il rock faranno le loro fortune. Visto con gli occhi di oggi, un po’ schematico e paternalistico, questo sì. Ma Brando riempie tutto il film. Voto: 7+
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Questo è quanto. Spero che questa rassegna vi abbia interessato, e mi auguro che almeno qualcuno di questi film passi per le nostre sale: alcuni, come avete letto dai voti, meriterebbero una visione, anche se non abbiamo (forse per nostra colpa, chi lo sa…) assistito a pellicole indimenticabili. E il red carpet? No: non per snobismo, ma proprio non abbiamo incrociato (nemmeno da lontano) nessun vip!
Vedo che la media è più che sufficiente
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