E’ stato per puro caso che proprio in questi giorni, mentre in tv impazza lo straziante caso dell’omicidio di Giulia Tramontano, mi sia imbattuto in questo film: “True Story” (2015).
La pellicola di Rupert Goold – come il titolo “True Story” lascia intendere – è direttamente ispirata a un fatto di cronaca, e alle memorie del giornalista Michael Finkel: abile penna del New York Times reduce da un errore che gli ha stroncato la carriera, e che trova nella storia del killer Christian Longo l’occasione per riprendere fiducia in se stesso, e tornare in campo. La questione è semplice: in Messico, dopo una latitanza di un mese, la polizia ha rintracciato Longo, accusato dell’omicidio della moglie e dei 2 figli. E il sospettato, durante la clandestinità, non aveva trovato di meglio che nascondersi dietro al nome fittizio di Michael Finkel: proprio come lui.
Finkel ottiene di intervistare Longo, per farne un reportage: e Longo accetta, a patto che Finkel gli insegni a scrivere. Inizia così un film dove l’intrigo investigativo cede presto il passo a una storia di specchi, mascheramenti e svelamenti: l’assassino lascia intendere, senza dire troppo, che c’è qualcun altro dietro le morti, il giornalista lo ascolta, raccoglie le sue testimonianze, si fa delle domande, dubita. E pian piano si arriva al processo.
Qui Michael Finkel capirà molto, del suo antagonista: che rivelerà improvvisamente una parte di sé infida, rettile, quasi da vampiro, tenuta finora nascosta, ma che emerge durante la sua deposizione, e che, fulminea – guizzando da un’occhiata appena accennata, ma inequivocabile – gela l’attonito giornalista, lasciandolo sbigottito. La moglie Jill – lucida e di buon senso – aveva già capito cosa Christian cercasse dal marito: ma non lui… Che, nonostante tutto, anche a sentenza e condanna conclusa, non abbandonerà il suo alter-ego, e continuerà a visitarlo in cella.

“True Story” non è un capolavoro: non ha la profondità e la capacità di evocare il male di – per dire – un “Seven”, ma è un film costruito bene, girato in modo asciutto, e con pochissima zavorra narrativa. Christian – interpretato da un James Franco perfettamente in parte, ambiguo e sornione, seducente e torpido, ferino e indifeso – spiazza e continua a spiazzare Michael, che oscilla fra fascinazione e dubbio, fra ambizione professionale e deragliamento emotivo: Johan Hill, stupito e indifeso, è altrettanto in parte, con una fisicità a cavallo fra nerd e addetto al barbecue domenicale, e che in alcuni momenti pare cedere e soccombere al magnetismo del criminale.
E, per quanto già sentita e vista, la storia del legame fra dominante e dominato, fra Christian e Michael, è trattata in modo non scontato: e ci dice molto di quanto, ogni giorno, avviene attorno a noi. Di mogli e bambini uccisi, di narcisisti e di succubi, di quanto sia sfuggente la verità ma di quanto – anche – sia alla portata di uno sguardo chiaro e diretto, di semplice buon senso, e di come certi buchi neri emotivi siano capaci di inghiottire chiunque si avvicini troppo.
Materia non solo di cronaca nera, ma anche di vita quotidiana.
Visto sulla piattaforma MUBI.
Abbiamo parlato di:
- “True Story” (2015, USA, 99 min)
Regia: Rupert Goold
Soggetto: “True Story”, di Michael Finkel
Sceneggiatura: Rupert Goold, David Kajganich
Interpreti principali: Jonah Hill (Michael Finkel), James Franco (Christian Longo), Felicity Jones (Jill)
Musiche: Marco Beltrami
Buon giorno.
Brutte storie sia reali che al cinema.
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