Ciao a tutti. Chi mi segue sa che in questo blog si parla, al 99%, di musica o di cinema: ma, prima o poi, arriva il momento anche per il restante 1%!
Venerdì scorso la mia signora ed io avevamo in programma un bel fritto misto (ah, il colesterolo!) con un amico: peccato che il paese di quest’ultimo fosse investito da un mini-uragano di vento, con alberi spezzati, tegole divelte e black-out. Comprensibile che il pover’uomo non volesse uscire di casa; e comprensibile che noi due, in considerazione dell’acquolina ormai inarrestabile e del frigo vuoto, decidessimo comunque di mangiare qualcosa fuori, senza pretese.
Era presto, solo le sette di sera: ma la fame c’era, e in zona ci sono un paio di posti che a quell’ora sono già aperti. Fuori, un ventaccio clamoroso: e, mentre stiamo per imboccare la strada a destra, la signora timidamente suggerisce: “E se andassimo dal sardo?“. “Si, bella idea…”. Ma chi è il sardo? Riavvolgiamo la pellicola…
Il giorno del trasloco non è uno dei più rilassanti della storia: e, in quella mattina di 6 anni fa in cui arrivammo nel quartiere, giunta l’ora di pranzo – e, di nuovo, senza nemmeno un uovo nel frigo – andammo in esplorazione. Avevamo notato la presenza di una vicina ma “misteriosa” trattoria sarda: dico misteriosa perché nessuno sembrava conoscerla, i tendaggi coprivano quasi del tutto le vetrate, e di menù esposti manco a parlarne. Entriamo: dentro, uno stanzone dal soffitto alto, un bancone tipo birreria, tavolini, poster, oggetti d’arte varia a tema isolano, e il titolare. Magro, sui sessanta, capelli corti e ricci, bianchi, con due occhi penetranti e un po’ accigliati. Ci fa sedere, ci propone due-tre piatti al volo e un bicchiere di vino sfuso, e nel mentre gli raccontiamo la situazione. La roba è buona, arrivano altre due persone: un caffè e via di corsa, a riassettare casa.
Nei mesi che seguono ci torniamo: e, pian piano, conosciamo meglio la sua storia. Giulio ha avuto per molti anni una birreria, che poi ha chiuso e trasformato nel suo piccolo regno: un regno autarchico, dove cucina (in rigorosa solitudine!) roba della sua amata isola, e dove soprattutto entri se gli va, e torni solo se la prima volta gli sei risultato simpatico. Noi, chissà perché, gli siamo andati a genio: anche perché lavora con la porta chiusa a chiave, e se non gli va non ti apre!
Era dai tempi del lockdown che non mettevamo il naso oltre il portoncino: e, dopo 3 anni, ci è venuto il dubbio che ci lasciasse fuori… E invece, il tempo di riconoscerci e di un sorriso, ed eravamo seduti al tavolo. Mi sono commosso: non tanto per il cibo, buono e onesto ma vabbè, niente di spaziale… Ma per la sensazione che mi ha investito. Di far parte di quel mondo privato, un po’ strano e anarchico, dove mentre ti serve ti espone le sue teorie (qualcuna motivata, ma le più bislacche e alternative) sul mondo, e ti racconta dei suoi hobby (dopo aikido e rafting, ora si è messo pure a camminare sul filo…). E dove mi sento, nel profondo, a casa: contro ogni razionalità, ragionevolezza e buon senso.
Perché, in teoria, quel modo di condurre il locale è davvero poco urbano o equilibrato: eppure, quando ci entro, mi sale dal cuore un bel chissenefrega! In fondo poter dire si o no alle cose di lavoro secondo il proprio ghiribizzo, con gentilezza ma anche con fermezza, e senza rendere conto ad altri, è un vero privilegio… E, in primis, fottendosene della logica sorda del profitto. Evidentemente, se fa così, Giulio potrà permetterselo: ma conosco tante persone che, pur avendo le tasche foderate di euro, per una moneta in più farebbero carte false. Lui no: quello è il suo mondo, e lo gestisce come vuole, senza chiedere nulla, ma senza transigere. E forse essere sardo… aiuta!
A 65 anni, dopo una vita di duro lavoro, di meglio una persona non potrebbe pretendere: o no?
Tipo interessante e fortunato. Beato lui che può vivere come gli pare…
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Così si fa!
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Di sicuro ha una rendita quello è un passatempo
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Si ma come dicevo c’è gente che non molla un centesimo… Almeno fa che cazzo gli pare!
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per quello non c’è prezzo.
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