No, “Elvis” non è un Biopic, almeno in senso stretto: troppe le ellissi, i salti temporali, i personaggi mancanti, le cose date per scontate, quelle taciute e quelle falsate per esserlo davvero. Il film, infatti, si concentra sul periodo 1956-’58, e su quello 1968-’77, descrivendo solo per accenni il resto della vita del King.
E, ancora, “Elvis” non è un film sul rock’n’roll, anche se avrebbe potuto esserlo. Ci sono stato un po’ male quando ho visto che – tranne un prologo più evocativo che fattuale – la narrazione iniziava con un Elvis già assurto a piccolo divo del Sud… Mancando, invece, di quello che – per un appassionato – è il cuore di tutto: quando, assieme ai compagni Scotty e Bill, prende un blues e lo suona e incide come un country (“It’s All Right Mama”), e cambia la storia. E tace di molte altri momenti, musicologicamente fondamentali: le radici country di Presley, il passaggio alla major RCA e al suo rigido sistema produttivo, il ricorso costante a autori esterni, lo spiazzante declino degli anni Sessanta, i dischi di gospel…
Diceva il geniale producer della Sun Records, Sam Phillips, poco prima di incontrare Elvis: “Se trovassi un bianco che canta con l’anima di un nero, diventerei miliardario!“. E l’aveva trovato: peccato che, tempo 18 mesi, e il contratto della giovane promessa di Memphis venisse rilevato dal nuovo e spregiudicato manager, il “Colonnello” Tom Parker. Ed è qui che il film “Elvis” trova la sua ragione d’essere: nel descrivere il rapporto che per 21 anni ha legato i due, fra sospetti, fedeltà, tradimenti e milionate di dollari.
Parker, per una decina d’anni, allontana Elvis dalla musica per cui è nato, e lo imbarca in una serie infinita di film sciapi e mediocri, e di altrettanto insipide colonne sonore: giusto il tempo, per Presley, di tornare al rock’n’roll che tanto ama, nel ’68, ed eccolo di nuovo prigioniero di infinite e sempre uguali serate all’Imperial Hotel, davanti al bolso pubblico di Las Vegas, fatto di pingui cinquantenni con occhialoni, basette e colletti a punta. Il luciferino Parker (interpretato da un Tom Hanks quasi caricaturale) stringe accordi milionari, ottiene salvacondotti personali, e vieta a Elvis ogni tour all’estero: se superassero i confini nazionali verrebbe infatti fuori il suo passato di disertore e immigrato irregolare.
Questo è il cuore del film, e il suo stesso limite: la musica, le svolte della carriera, le canzoni, le contestazioni e il mito: tutto è pura emanazione della visione egocentrica, semplificatoria e dozzinale del Colonnello… Esempio: il cancan sollevato dalle canzoni di Presley, gli scandalosi ancheggiamenti, le reprimenda moraliste, le questioni razziali in ballo, la fidanzata (e moglie) Priscilla non suscitano analisi o approfondimenti, ma sono figlie unicamente della prospettiva di Tom Parker… Di un uomo che ragiona in puri termini di vantaggi e svantaggi, senza porsi domande o questioni: e così ci sono mostrate.
Parker è ovunque: anche quando il film sembra proseguire in oggettiva, è la visione di Parker a dettare ritmi, scene e punti di vista. L’inizio e la fine sono particolarmente significativi: l’infarto e il ricovero del Colonnello danno vita al suo racconto, che prosegue fra squarci visionari e momenti di dopaggio narrativo; e che termina con la sua morte, avvenuta vent’anni dopo quella di Elvis, eppure narrata in parallelo. Sono nati assieme, e muoiono assieme: almeno, questo è il suo pensiero. Ribadito, se ancora non bastasse, da una sua lucida affermazione: “Io sono come te, e tu sei come me“.
L’interpretazione di Austin Butler è basata più sul ricalco frame-by-frame delle movenze dinoccolate del King e dei suoi bronci che sull’identità somatica. Il regista Baz Luhrmann, come è sua abitudine (ricordate “Romeo + Giulietta”, “Moulin Rouge!” e “Il grande Gatsby”) flirta amabilmente con stacchi, split screen, movimenti di macchina, messe in scena opulente, con una fotografia brillante e dinamica, e con il gusto postmoderno: risultano coerenti al suo stile, anche se possono lasciare interdetti, l’uso di cover (e troviamo pure i nostri Maneskin) e del cantato di Butler in vece degli originali di Presley, e il rifiuto di utilizzare materiale documentario d’epoca, preferendo invece riprodurre ex novo titoli di giornali e istantanee.

Di imprecisioni storiche ce ne sono, a pacchi: e ne cito qualcuna, per togliermi lo sfizio! Il concerto del 4 Luglio 1956 (quello in cui, per intenderci, Presley sembra animato da furia punk, e scatena la reazione della polizia e del politico razzista) è stato uno show di beneficienza relativamente tranquillo ancorché parecchio affollato; B.B. King e Elvis si conoscevano di vista, ma non erano amici o confidenti; The KIng non si arruolò per sfuggire alle persecuzioni moraliste, non ha mai saputo dei trascorsi di Parker, e men che meno lo licenziò dal palco durante uno show a Vegas!
Ma che dire dei due protagonisti? Elvis, siamo sinceri, ci fa un po’ la figura del ribelle ingenuo e velleitario, vittima delle macchinazioni del cattivo Tom: che, invece, emerge come demiurgo e burattinaio della storia. Ovviamente Elvis non era come il film racconta: era (anche) un conservatore (ma – e questo fece la differenza – non quando cantava e si esibiva), un uomo vittima del circolo di profittatori gravitante attorno a Graceland, e che si presentò da Nixon chiedendo di essere nominato agente federale sotto copertura della narcotici, per smontare il movimento hippie… Idem Parker: il Colonnello mi ha sempre ricordato – e chi segue il calcio sa di chi parlo – Mino Raiola: agente bravissimo a generare profitti per sé e per i suoi assistiti, ma dalla condotta avventurosa e spregiudicata. Parker è un uomo dal passato torbido, e al cui mistero il film solamente accenna: un “imbonitore“, come lui stesso ama definirsi, capace di vendere spillette “Io amo Elvis” e “Io odio Elvis” con la stessa rapace indifferenza, e che – davanti all’arte del suo protetto – mette sempre i guadagni, le percentuali e il tornaconto personale. Ma – e questa è verità storica – pur con tutte le furberie e le grettezze, ha spesso preso le decisioni giuste, e ha portato Elvis molto più in alto di quanto il vecchio mentore Sam Phillips avrebbe potuto.
Eppure, dopo tanto Parker (e mi viene il dubbio che il film avrebbe dovuto chiamarsi non “Elvis” ma, magari, “Elvis e il Colonnello”!), a commuovermi è il filmato che arriva alla fine, poco prima della morte del Re: un estratto (l’unico di tutto il film) da uno degli ultimi concerti, in cui Elvis – sovrappeso, sudato e col fiato corto – si spende in una performance intensissima del classico “Unchained Melody“… “Non date la colpa a me“, dice, più o meno, Parker, nel finale: “Lui ha fatto tutto per voi: per il suo pubblico“: e, sentendo la voce turbata di Elvis, e vedendo il suo sguardo, mi viene da credergli. Ma puoi davvero fidarti del Colonnello e del suo sigaro?
Abbiamo parlato di:
- “Elvis” (2022, USA / Australia, 159 min)
Regia: Baz Luhrmann
Soggetto: Baz Luhrmann, Jeremy Doner
Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Sam Bromell, Craig Pearce, Jeremy Doner
Interpreti principali: Austin Butler (Elvis Presley), Tom Hanks (Col. Tom Parker), Olivia DeJonge (Priscilla Presley)
Musica: Elliott Wheeler
I film biografici sono troppo spesso soggetti alla visione personale di chi li dirige.
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Capisco che la vita intera di un gigante sia impossibile da narrare tutta, ma mi danno molto fastidio le palesi inesattezze e forzature a puro scopo drammaturgico. Poi, come ho detto, questo è un finto biopic, in realtà è sul rapporto col suo manager. Beninteso, è un film che si può vedere!
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ciao, per una volta ho visto anche io un film recente 🤩
secondo me il film pompa troppo sulle esibizioni per troppo tempo, facendo calare l’attenzione nel mentre e distruggendola quando cala il ritmo
anche io ho trovato che il Colonnello fosse troppo centrale, allora perke chiamare il film Elvis? perke sennò nessuno se lo sarebbe guardato?
poi ho fatto bene a leggerti: io del Re non sapevo nulla, per cui volevo usare il film anche per conoscerlo; ma non c’erano date e il trucco non ha mai mostrato lo scorrere del tempo…
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Grazie innanzitutto! Eh si, il trucco non mostra lo scorrere del tempo: e dire che, basta vedere qualunque foto o filmato, negli ultimi anni era in visibile sovrappeso, ingurgitava pillole e chili di burro d’arachidi… E probabilmente era anche un po’ fuor: l’aneddoto di Nixon è significativo… Si era anche fissato col karate, tanto da esibirsi in mosse negli show. Alla fine era un povero ragazza, che per primo in assoluto ha sperimentato la follia del successo musicale “moderno”, e ne è stato stritolato
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il film è tra le nomination del top5 del mese, ma non credo che vincerà la classifica
non credo nemmeno che tra un po’ me ne ricorderò o lo riguarderò
per dire, restando sullo stesso regista, ogni tanto mi riascolto Roxanne
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Bene non lo guardo
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Ho appena visto, un pochino incerta e timorosa ma da quasi fan di Elvis ( e dico quasi, perché adoravo gli special e vagamente anche i brutti suoi film che facevano anni fa in tv dei suoi concerti, quando ero ancora una ragazzina under 20 soggiogata anche io dal mito e dal fascino indiscutibile di Elvis) e sono rimasta colpita anche se non folgorata. Concordo su tante inesattezze e sulla figura che sembra sbiadire a tratti, per la centralità di Parker- Hanks (che adoro invece come attore), di King, ma ho trovato vivace e scorrevole, anche se con tante ombre.. Mi è tornata la voglia di riascoltare la sua voce, quella nei dischi e mi sono commossa nel finale, con inevitabile malinconia di un’epoca complicata e meravigliosa quanto irrepetibile degli anni 60 e 70…..E ho urlato in sala alla fine, con applauso: Lunga vita a Elvis nel silenzio quasi attonito di pochi e attempati spettatori…. Ma era pomeriggio, quindi ora del pensionato.
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Sottoscrivo tutto… Ma da “storico della musica dilettante” avrei sbavato per vedere la scena in cui “inventano” “That’s all right mama”, scherzando: e Sam Phillips li interrompe “Cosa state facendo? Rifatelo subito”
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È proprio l’idea del film visto dal pov di parker, con voce narrante e tutto il resto, che non mi è andata tanto giù. Però tutto sommato un film godibile. Come sai le inesattezze storiche non mi sconvolgono, lo farebbero se fosse un documentario
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