Oh, parliamo un po’ di un gruppo che non cito mai… I Pink Floyd! Scherzi a parte, chi mi conosce sa benissimo che i Floyd sono una mia piccola ossessione: non più come anni fa, d’accordo, ma sempre nel cuore stanno. Nella loro produzione, “Comfortably Numb” è senza dubbio una delle canzoni più amate: il testo di zio Roger, la progressione armonica, le voci che si alternano, il godurioso assolone finale di zio David… Difficile rimanere indifferenti. Sì, non sarà estrema e innovativa come “Astronomy Domine” o “Careful With That Axe, Eugene”, ma è uno dei brani “standard” più riusciti di sempre: e, cosa non secondaria, amata da milioni e milioni di fans.
Quando una canzone così ti entra dentro, anche senza farlo apposta te la ritrovi ovunque: ti accompagna, ti segue, per un po’ sembra sparire e poi tac, eccola lì!: di nuovo è con te. Ed è così che ho pensato NON di procedere a una descrizione o a un’analisi del pezzo, ma a un resoconto personale delle occasioni in cui il medesimo ha fatto capolino, significativamente, nella mia vita, e dei ricordi che mi suscita.
Devo aver sentito per la prima volta “Comfortably Numb” verso il 1986 o giù di lì (un bel 7 anni dopo la sua uscita), e di quell’esperienza non ho traccia mnemonica: probabilmente – immersa com’è nel flusso sonoro degli 80 minuti di “The Wall” – non riuscì subito a emergere e a farmi gridare al miracolo… Ma, ascolto dopo ascolto, mi entra nella pelle: a me come al mio amico Silvio, che prima del sottoscritto ha amato i Floyd, e la canzone. Tanto che, dalle vacanze, mi manda una cartolina, e invece dei soliti saluti verga a mo’ di citazione e ammonimento del tempo che passa, il famoso distico: “The child is grown, The dream is gone“.
Il tempo intanto vola: nel ’90 trovo lavoro, e inizio a viaggiare sulla tratta per Torino. In uno dei tanti su-e-giù, mentre il treno è fermo in una stazione, sovrappensiero mi scappa di canticchiarne il ritornello, a mezza voce: e la mia compare di viaggio Patrizia, sbarrando gli occhi mi fa “Ma dai! La stavo cantando a mente anche io… E io pure ero arrivata al tuo stesso punto!”… Sembra una balla: ma vi assicuro che è proprio andata così!

Passano pochi anni, e col gruppo in cui milito decidiamo di tentare una cover proprio di “Comfortably Numb”. Io, che del gruppo sono il solista… Aspetta un attimo, chiariamo: non pensate a chissà cosa! Se sento i nastri di allora, a certe stecche, imprecisioni e banalità mi vengono i brividi! Ma tant’è: i ruoli erano quelli! Comunque riusciamo a impararla in poco tempo, e la mettiamo in repertorio. Le due voci – Franco e Simone – prendono un po’ dal cantato originale del ’79, e un po’ dai live di Roger, e ne fanno un intreccio: Max, alla batteria, simula l’eco di “stand up, stand up…” con la voce, e io mi arrangio per non sfigurare troppo. Nei nostri pochi concerti fa capolino almeno 5-6 volte: e in un’occasione è così dignitosa che il tecnico audio della festa la registra e – finito il casino – la mette in sottofondo, mentre il prossimo gruppo si prepara. Il famoso “quarto d’ora di celebrità” profetizzato da Andy Warhol è arrivato anche per noi 🙂

E siamo nel 2003. Sto preparando la tesi di laurea che, guarda caso, verte su “Pink Floyd – The Wall” di Alan Parker, e uno dei capitoli è appunto (e non potrebbe essere diversamente) dedicato alla parte filmica che accompagna “Comfortably Numb”. Un segmento in puro stile Parker, dove la narrazione parte quasi didascalica per farsi poi psichedelica, accompagnando l’assolo di chitarra e la trasformazione di Pink nel suo “doppio” con immagini distorte ed elaborate elettronicamente, fra deliranti oggettive e soggettive. Me lo sono guardato decine di volte, senza mai stancarmi: potere della musica e del cinema… E del fatto che non sono mai le cose a cambiare, ma la nostra interpretazione.
Recentemente – e davvero, questione di un paio di settimane! – ho incrociato il blogger Fabio D’Onorio che ha scritto un interessante ed esaustivo post dove riepiloga tutte le versioni live (ufficiali) della canzone: lo trovate qui. Abbiamo, ovviamente, iniziato a chiacchierare un po’, a scambiarci opinioni, e il suo post mi ha dato parecchi spunti di riflessione… E, così, “Comfortably Numb” è tornata nei miei pensieri.
Solo ora mi rendo conto che non ho detto nulla sulle performance live cui ho assistito: la prima con i Pink Floyd di Gilmour, a Monza, il 20 Maggio 1989; e la seconda con la Waters band, a Milano, il 10 Maggio 2002… Non le ho citate per il più banale dei motivi: non me le ricordo! Incredibile… Di quei concerti mi sovvengono altre immagini, altri particolari, altre impressioni: ma non “Comfortably Numb”. Forse perché, per quanto il pezzo sia stupendo, l’abbiamo così tante volte sentito, immaginato e goduto che – del rito di un concerto – diventa sì il culmine finale, ma anche la parte più “ovvia” e scontata: un qualcosa di dovuto, insomma, che si sa già dove andrà a parare. Un po’ come il suo assolo: sempre un po’ diverso (come si pretende sia il rock), e sempre un po’ uguale (come la musica classica!).
Oh, poi questi sono sofismi da blogger: perché ogni volta che la incontro, ‘sta benedetta “Comfortably Numb”, tutto si ferma. La mente inizia a vagare, i peli sulle braccia si rizzano, i ricordi infuriano, e il cuore sobbalza. Per fortuna, nonostante 30 e fischia anni di consuetudine, nei suoi confronti non sono per nulla diventato “piacevolmente insensibile”.
Grazie per la citazione.
I’ve got a fleeting glimpse!
Silvio
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Credo che la conclusione di questo tuo articolo descriva molto bene quello che accade a molti di noi ogni volta che incontriamo Comfortably Numb, e anche gli stati d’animo nei momenti immediatamente precedenti il solo finale quando guardiamo una versione live.
Ti ringrazio molto per aver citato quello che ho scritto su questa canzone e la nostra chiacchierata, ne sono onorato. 🙂
F.
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È bello citarsi a vicenda!
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…C’è poco da commentare ! I Pink Floyd si amano e basta ! … Non si riesce a spiegare il perchè !
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Leggendo il tuo post, devo dire che le stesse emozioni le ho provate anch’io per alcuni pezzi dei Kin Crimson ascoltati migliaia di volte e che, non c’è niente da fare, suscitano emozioni…
Ad esempio Nuages da Three of a perfect pair….
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