Federico Fellini: tutti i film
“Se sei triste quando sei da solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”, diceva Jean-Paul Sartre… E così, fra un giorno e un altro, ho deciso di cercarmi un alleato (virtuale) adeguato e, con la saltuaria ma preziosa collaborazione della mia metà, ho messo mano a un vecchio progetto: dedicarmi all’intera filmografia di Federico Fellini. Ventun film, due mediometraggi e un corto: con calma, in rigoroso DISORDINE temporale, e nel giro di (a occhio) un mese ce l’ho fatta. Qualche momento di pesantezza c’è stato: ma in generale ha prevalso la curiosità, l’interesse, il piacere e punte di profonda goduria! Vi racconto, quindi, questa bella esperienza: e, ovviamente, fuori tempo massimo… Il centenario di Fellini era un anno fa!
In ordine cronologico, ecco una breve sintesi, film per film, del Federico nazionale, con un voto (a base 10), e qualche annotazione personale.
E, dato che 24 è facilmente divisibile per 3, spezzo il resoconto in tre parti.
- “Luci del varietà” (1950). L’esordio di Fellini è in realtà una co-regia con Alberto Lattuada. L’amato mondo dell’avanspettacolo, fra approfittatori, capocomici frustrati, femme fatale di provincia e tradimenti: ancor oggi non si sa quali parti siano di Federico e quali di Alberto. “A naso” ipotizzerei siano di FF la festa a casa dell’avvocato e l’incontro col trombettista di colore. Prescindibile ma godibile, con un Peppino De Filippo ampiamente in parte. Voto: 7
- “Lo sceicco bianco” (1952). Una coppia di freschi sposini giunti a Roma per un’udienza papale (Brunella Bovo e Leopoldo Trieste), e lei che fugge dall’albergo per incontrare un fatuo attore di fotoromanzi (Sordi) di cui è invaghita. Indimenticabili le smorfie da cartoon di Trieste, preoccupato più per l’onore borghese minacciato che per la sposa, e la fiabesca apparizione di Sordi, su un’altalena appesa fra gli alberi. In un cameo c’è la Masina, che impersona la prostituta Cabiria, poi protagonista del film del 1957. Voto: 7
- “I vitelloni” (1953). Le giornate “a perdere” di cinque fannulloni riminesi. Fellini inizia a far sul serio: momenti di sublime tristezza (il bighellonaggio sulla spiaggia deserta, in pieno inverno), di comicità slapstick (il “lavoratori…” con tanto di gesto dell’ombrello di Sordi), di beghe familiari in odor di “neorealismo rosa”, e di disperazione (uno su tutti: la maschera, sfatta, di Sordi, devastato dalla festa e dalla coscienza del proprio fallimento). Da notare una figura assai rara nel cinema dell’epoca: il “grande attore”, un gay sotto mentite spoglie. Voto: 8
- “Agenzia matrimoniale” (1953): tratto dal progetto zavattiniano “L’amore in città”, film-inchiesta sulle relazioni amorose e sul matrimonio. Il breve segmento felliniano punta l’occhio, nei suoi 15 minuti, sul “mercimonio legale” di ragazze nascosto dietro alcune agenzie matrimoniali. La graffiata del genio si intravede nella ripresa del vagolare del giornalista nei corridoi del palazzone, in cerca dell’agenzia. Voto: 7
- “La strada” (1954): il primo Oscar di FF. La Masina presta il suo volto a un personaggio indimenticabile, Gelsomina, a metà fra clown e angelo: e per il brutale padrone Zampanò (Anthony Quinn) alla fine arriverà – se non il tocco salvifico della Grazia – la consapevolezza della perdita di se stesso. Da lacrime il tema di tromba scritto da Nino Rota per Gelsomina. A tratti gravato da un eccesso di sentimentalismo, ma un must. Voto: 8
- “Il bidone” (1955): film erroneamente bollato come “minore”, schiacciato fra 2 Oscar, ma da vedere. Molti i rimandi tematici a film precedenti e a quelli a venire: come “La strada”, quasi un documento antropologico di un passato lontano ormai anni luce, su cui si innestano visionari squarci “felliniani”. Non mi ha convinto il protagonista, il pur bravo Broderick Crawford. Voto: 7+
- “Le notti di Cabiria” (1957): il secondo Oscar. Torna il personaggio della battona romana dal cuore fragile intravisto in “Lo sceicco bianco”, e diventa protagonista: impensabile pensare a Cabiria con un volto, e una fisicità, diverse da quelle della Masina, tenera e scollacciata, ingenua e rabbiosa, clownesca e trasudante dignità. Da antologia la partecipazione di Amedeo Nazzari nella parte di un se stesso a fine carriera, vanesio e in consapevole decadenza. E un finale assieme straziante e fiabesco. Voto: 8 1/2
- “La dolce vita” (1960): qualcuno (si vocifera il futuro presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro) in una recensione sull’Osservatore Romano bollò il film come “La sconcia vita”… Eppure è uno dei film più “cattolici” di FF: il tema della Grazia attraversa tutta la pellicola come il Cristo appeso all’elicottero sorvola la Città Eterna, e si esplicita nella scena finale, nella metafora della voce della ragazza “perbene” che non riesce più a far breccia nelle orecchie e nell’anima di Marcello. Indimenticabili la Ekberg nella Fontana di Trevi, l’orgia, il “miracolo” e Mastroianni tutto, il nuovo e solo alter-ego di FF. Voto: 9 1/2
Beh, chiudere la prima parte così è facile… Un trionfo! A risentirci alla prossima.
D’accordo su tutto, mezzo punto più mezzo punto meno.
E quell’immagine mi ha ricordato di tenere d’occhio il prezzo del cofanetto criterion, che ho adocchiato da un po’ ma è ancora inaccessibile!!
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