We Shall Overcome

L’8 Giugno 1963 Pete Seeger organizza un affollato concerto alla Carnegie Hall di New York, occasione in cui esegue cover di Dylan, vecchi traditional, la cubana “Guantanamera” e “We Shall Overcome”… Due mesi dopo, ad Agosto, alla marcia di Washington, Joan Baez riprende “We Shall Overcome” davanti ai 300.000 partecipanti, portandola a un’esposizione mediatica fenomenale, e caricandola di una valenza sociale altissima.

Ma da dove arriva la canzone? Domanda dalla risposta non banale… Qualcuno si ricorda di uno storico incontro fra Seeger e Martin Luther King alla Highlander Folk School: occasione in cui Seeger – era il 1957 – aveva dedicato il pezzo alla missione di pace e giustizia del Reverendo. Andando a ritroso nel tempo, si rintracciano un paio di incisioni, avvenute nell’ambito di un mercato di nicchia: la più remota è di Joe Glazer (1950), inserita in una raccolta di brani a tema sindacale; la seconda è del 1952, per la voce di Laura Duncan e del coro delle Jewish Young Sisters, pubblicata sulla Hootenanny Records di Irvin Silber… E la firma è sempre di Seeger. Sarà sua, no?!

Facendo qualche ricerca d’archivio, spunta fuori una notizia curiosa: quando, nel ’47, Seeger ha messo il sigillo legale alla canzone, in realtà ha attinto a uno spartito appena pubblicato sul bollettino del People’s Song da Zilphia Horton, moglie del co-fondatore della Highlander Folk School… Partitura intitolata “We Will Overcome” che Pete ha ritoccato, aggiungendovi qualche verso, cambiando il titolo in “We Shall Overcome” [1], e depositando il tutto.

Un luogo torna in questa storia: la Highlander Folk School di New Market, Tennessee. Si tratta di un centro culturale nato nel 1932 dagli sforzi congiunti dell’attivista sindacale Myles Horton (con la moglie Zilphia), dell’educatore Don West e del ministro metodista James A. Dombrowski, al fine di dare energia al movimento dei lavoratori degli Appalachi e del Sud degli Stati Uniti. Durante gli anni Cinquanta, in sintonia coi tempi, la scuola dirotta il suo interesse sulle battaglie per i diritti civili: nel centro si raccolgono fondi, si tengono conferenze, si stilano appelli e progetti di legge: il tutto coordinandosi con le innumerevoli associazioni popolari, e sotto l’egida del SNCC (Student Nonviolent Coordinating Committee, il comitato per i diritti civili più affollato e influente), e della Conferenza delle Chiese del Sud (in cui il reverendo King ha un posto di assoluto rilievo).

Nel 1959 la Highlander School cambia guida, e al posto dei coniugi Horton arriva il combattivo musicologo folk Guy Carawan. In cerca di un inno per tenere alti gli spiriti durante i raid e le minacce della polizia [2], Guy si ricorda di un brano sentito anni prima proprio da Zilphia e dall’amico cantante Frank Hamilton: sì, è “We Shall Overcome”. Carawan passa l’inno alla SNCC: e, da qui, di bocca in bocca, da manifestazione a manifestazione, si diffonde in un attimo in tutto il Sud, dilagando nella nazione e anche fuori dal territorio americano.

We shall overcome some day, oh deep in my heart, I do believe that we shall overcome some day”: “Noi vinceremo, un giorno: nel profondo del mio cuore, credo che un giorno vinceremo”. Uno slogan efficace, semplice e diretto: proprio come si conviene a una canzone politica… Ma anche emozionante e commovente, che tocca le corde della speranza e della fede: come un gospel. L’ambivalenza del pezzo è evidente: è credibile sia in bocca ai cantanti folk come alle folle che invocano diritti; al Reverendo King come al presidente Lyndon Johnson [3]; al “grande vecchio” del folk bianco, Pete Seeger, come alle nuove stelle del Soul. A dirla tutta, la prima incisione di un certo rilievo (1952, Laura Duncan, Hootenany Records), è addirittura rubricata come “Negro Spiritual”: e come non essere d’accordo? La vicinanza al mondo dei canti religiosi afroamericani è inequivocabile: l’afflato universale del testo, il carattere corale, tutto sembra confermare questa lettura… Cui non fa certo male il ricordo del reverendo King, e dello stretto legame che da sempre unisce lo Spiritual e l’urlo di libertà dei neri.

Ma c’è anche altro: una verità nascosta, che emerge dalle carte e dai documenti, e che sembra trasferire la paternità (e non solo lo spirito) del pezzo dal consesso folk a quello di matrice afroamericana. Nel 1901 il reverendo e autore sacro Charles Tindley, di Philadelphia, aveva infatti dato alle stampe lo spiritual “I’ll Overcome Someday“: canzone che, a confermare il doppio binario seguito dalle comunità di colore, nel 1909 troviamo sulle labbra dei minatori in sciopero… Una comunità plurale, che istintivamente muta la prima persona singolare (“I”) in quella plurale (“We”).

Nel corso degli anni Venti e Trenta la canzone di Tindley si combina con un altro spiritual, “I’ll Be All Right”… E sarà questa versione a rimbombare nei cortei: siamo alla fine del 1945, e questa volta a incrociare le braccia sono le operaie dell’American Tobacco Company del South Carolina. È uno sciopero duro, che si protrae per cinque mesi: nel lungo inverno, per tenere alto l’umore delle proteste, una dei leader del movimento – Lucille Simmons – propone di intonare il vecchio spiritual alla fine di ogni giornata. La notizia arriva alle orecchie della sindacalista Zilphia Horton: e, da qui, come abbiamo già narrato, a Pete Seeger, che ne varia parte del titolo, aggiunge qualche verso, e lancia il sassolino giù dalla montagna, facendolo diventare la proverbiale valanga.

Tutto chiaro? No, non ancora… Come esposto lucidamente dallo stesso Seeger, il confronto musicologico fra la mitizzata matrice originaria “I’ll Overcome Someday” e la versione a sua firma evidenzia molte differenze: dove il brano di Tindley è veloce, con tempi rapidi, scale pentatoniche e note blue, e lascia spazio all’improvvisazione dei fedeli, “We Shall Overcome” è più lenta, cadenzata, costruita sulla scala maggiore, e rigidamente strutturata. E quindi? Ulteriori ricerche hanno suggerito che l’antenato più plausibile di “We Shall Overcome” sarebbe, a sorpresa, un altro ancora: un oscuro gospel degli anni Trenta, “If My Jesus Wills“, molto simile per struttura poetica e scrittura melodica, e composto dalla direttrice di un coro battista di Cincinnati, Louise Shropshire [4].

Qual è, allora, la verità? “We Shall Overcome” è di Seeger, di Zilphia Horton, di Charles Tindley, di Louise Shropshire, degli attivisti della Highlander Folk School o dei minatori in sciopero? La certezza non esiste [5]: probabilmente, come in tutti i casi in cui lo sviluppo di una canzone segue il passa parola, dura decenni ed è tenuto fuori dagli studi d’incisione, il paragone più adatto è quello di una partita di pingpong… Uno scambio dai contorni non sempre chiari, fra materiali diversi, e che – più che le rotte della logica – segue quelle della storia, dei rivolgimenti sociali, e del cuore: e che legittima il pensiero che la canzone -proprio come si conviene a un brano folk – sia non di “uno”, ma di tutti.

[1] La modifica da “We will” a “We shall” – grammaticalmente scorretto – ha il solo scopo di rendere più fluida la pronuncia.
[2] L’attività della Highlander non passa inosservata, soprattutto nel Sud segregazionista degli anni Cinquanta. Molti giornali iniziano ad accusare l’associazione di fomentare le rivolte razziali, e di intrattenere rapporti col Partito Comunista. Nel 1961 lo stato del Tennesse ne revoca la licenza: il centro riaprirà a fine anno col nuovo nome di Highlander Research and Education Center, abbandonando la missione originaria e sposando la causa ambientalista e la difesa dei monti Appalachi.
[3] Nel 1965, in risposta alle cariche razziste contro la marcia Selma-Montgomery, il Presidente Johnson userà proprio l’espressione “we shall overcome” per invitare a tenere duro e a non arrendersi. Triste circostanza, King aprirà il suo ultimo sermone con questo l’inno.
[4] Il brano sarà pubblicato nel 1942 e messo sotto tutela legale solo nel ’54.
[5] Il copyright della canzone è attualmente suddiviso al 50% fra Seeger, Carawan, Hamilton e la Horton, mentre l’altro 50% è stato intestato alla Richmond Organisation, che sovvenziona le etichette dedite alla storia del folk, come la Folkways e la Essex.

Articolo tratto da “Il Grande Viaggio” – Vol. 2 – Parte Ottava

…Coming soon!

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