L’occhio che uccide
Prima domanda: ma in che senso va tenuta la copertina di questo disco?
Seconda domanda: ma come cazzo ci stanno 40 canzoni su un solo cd?
Terza domanda: ma l’avrò mai ascoltato? E se si, perché non me ne ricordo?
Quasi per caso, in cerca d’ispirazione per scrivere un pezzo, ho preso in mano “Commercial Album” dei Residents: e, sul retro, leggo ben 40 titoli. Si, quaranta, belli giusti. Provo a inserire il supporto nel lettore, e il display, beffardo, mi mostra un bel “40” sulla durata totale. Ne sono già certo, ma voglio proprio vedere se… E già: il primo, il secondo, il terzo… Ogni pezzo dura esattamente un minuto. Non un secondo in più o in meno.
La voglia di premere play c’è: ma rimando ancora un attimo. Dalla memoria – e si, perché il cd l’avrò comprato almeno una dozzina d’anni fa – emerge il ricordo di qualcosa che avevo letto, in un Mucchio Selvaggio d’allora. E, visto che le sinapsi dormicchiano, vado a scartabellare nei miei archivi. Tanto per iniziare, dei Residents non si sa praticamente nulla. Si dice che, alla fine degli anni Sessanta, siano arrivati in California dalla Louisiana e, per un guasto al furgone, si siano fermati nella Frisco Bay, a San Mateo, per rimanervi poi per sempre… Nel ’71, la band spedisce un demo alla Warner Bros: ma, privo di mittente, il pacco ritorna alla base con la generica dicitura “To the residents”: e da qui il nome, l’EP di esordio, e l’inizio del viaggio: un viaggio ben strano, pieno di bizzarrie e aberrazioni.
I quattro brani del doppio EP “Santa Dog” (1972) sono tutti attribuiti a quattro band diverse, ovviamente inesistenti. Il primo lp “Meet the Residents” (1974) inscena una parodia inquietante dell’iconico “Meet the Beatles!”, con i volti dei Fab Four stravolti da linguacce, orecchie vulcaniane, denti da vampiro e smorfie sataniche. La copertina di “The Third Reich ‘n Roll” (1976) rincara la dose: il presentatore tv Dick Clark, in uniforme nazista, brandisce una carota ed è circondato da svastiche e piccoli Hitler. E nessuno riesce ancora a capire chi siano davvero i Residents: i credits sono latitanti, non esistono interviste ufficiali, e nei pochi servizi giornalistici (di concerti manco a parlarne) i quattro indossano sempre cappucci, bizzarri travestimenti e maschere di gomma.
Finalmente, con “Eskimo” (1979), arriviamo al camuffamento più famoso, diventato negli anni un marchio di fabbrica: cilindro, frac, bastone e un mostruoso bulbo oculare al posto della testa. Ed è così che li troviamo sul successivo (e torniamo a bomba) “Commercial Album” (1980): due gigantografie di John Travolta e Barbra Streisand, virate senape, i cui occhi coincidono con le teste-bulbo dei quattro Residents, vestiti di tutto punto e “appesi” a testa in giù. Quando, nelle note di copertina, leggo che ogni traccia dovrebbe esser ripetuta tre volte di seguito per formare una “canzone pop” completa, tutto prende finalmente forma.
Il teorema dei Residents è geniale: la maggior parte delle pop songs dura circa 3 minuti, nei quali si ripetono (tre volte) una strofa e un ritornello. Eliminate le ridondanze, resta l’essenziale: una strofa e un ritornello, di un minuto esatto. Si tratta, essenzialmente, di una provocazione dadaista, un attacco politico e una critica estetica: uno spietato progetto di de-costruzione della musica di consumo, e la messa in mostra dei suoi meccanismi. Non a caso, la durata dei brani è molto vicina a quella di un jingle pubblicitario (e proprio a quello allude il titolo: “commercial” significa proprio “annuncio pubblicitario”). Cos’altro sono, nella moderna civiltà dei consumi, molte canzoni pop, se non motivetti cantabili da appiccicare alla bisogna a uno spot televisivo? Lucidamente folli, i Residents confezionano anche 40 brevi videoclip: filmati non usati subito, ma presto adottati dalla neonata MTV, a corto di video. Somma vittoria, quattro clip sono ora inseriti nella collezione permanente del MOMA di New York.
Per capire la Weltanschauung dei Residents occorre affidarsi alla bislacca filosofia del loro guru immaginario: il pensatore bavarese Nicolas Senada (date ipotetiche: 1907-’93), secondo cui la mente umana è ormai atrofizzata, vittima del consumismo e dei media; il cervello – macchina paragonabile a un computer – si può riattivare, proprio come un circuito elettrico, solo alle basse temperature… La Terra Promessa non è qui, ma al Circolo Polare Artico.
Il “nuovo mondo” di Senada e dei Residents è il negativo della visione hippie: un vero e proprio incubo, che può essere restituito solamente attraverso la deformazione, il grottesco e lo smontaggio dei meccanismi di consumo. Chi potrà raccontare questa follia? Non certo il “maschio alfa”, tutto borchie e grinta, e nemmeno il menestrello con la chitarra al collo: ma una marionetta, surreale e senza volto. Un “clown immaginifico e fantastico, che non ride e non piange, e che blatera un fittizio ritorno alla purezza nel bel mezzo della dissoluzione ultramoderna”.
E, da qui, la spersonalizzazione grottesca della rockstar (i bulbi oculari in frac), il rifiuto dei concerti “standard” (la prima performance live dei Residents arriverà solo nell’82, col progetto multimediale “The Mole Show”), e un tipo di “musica” davvero particolare. Le canzoni dei Residents sono inquietanti come il loro dress code: raramente “suonate”, sono quasi esclusivamente frutto di un certosino lavoro di mixing fra sprazzi melodici, sampling elettronici e frammenti di suoni reali, disposti su un substrato percussivo ossessivo: e le voci, quando presenti, sono deformi e grottesche, alterate da falsetti, grugniti gutturali e nasali.
Se, per citare McLuhan, “il medium è il messaggio”, allora quello dei Residents è un comunicato altamente tragico: quello di un’umanità inesorabilmente sfatta e frammentata, che recita a pappagallo litanie senza senso, rimasticando cascami musicali e consumistici di cui si è smarrito il significato. Questo sono le 40 tracce di “Commercial Album”: cantilene mediorientali, cupe ariette da vaudeville, frammenti sintetici, pillole nonsense, screziature post-punk, jingle ossessivi e follie atonali… Piccole unità significanti realizzate con cura certosina, e schierate l’un dopo l’altra come pallottole in attesa del caricatore.
Armati della lucida iconoclastia di Frank Zappa, Holy Modal Rounders e Fugs, ma meno goliardici, e più asettici e pessimisti: questi sono Homer Flynn e Hardy Foz. Perché pare ormai certo che dietro le cornee iniettate di sangue dei Residents – assieme a musicisti e rumoristi part-time (qui, ad esempio, troviamo Andy Partridge degli XTC e la punk-wave Lene Lovich) – vi siano questi due signori: grafico e vocalist d’occasione il primo, polistrumentista e ingegnere del suono il secondo (che, fra parentesi, ci ha lasciati nell’Ottobre 2017). Geni della comunicazione e della de-costruzione massmediatica, i Residents – con la loro sterminata discografia, e con “Commercial Album” in particolare – hanno partorito una delle più intelligenti e caustiche riflessioni sulla musica moderna attraverso la sua sistematica demolizione.
Che poi “Commercial Album” sia da sparare sull’autoradio, da mettere in sottofondo a una cena romantica, o nelle cuffiette durante il jogging, beh… Diciamo che l’orecchiabilità non è uno dei suoi punti forti. Ma chissenefrega. Dal canto mio, ho compreso che non c’è un modo giusto di tenere la copertina, perché il mondo dei Residents non ha un senso (e anche il nostro non scherza); ho capito come 40 canzoni da 3 minuti ciascuna possano occupare i 40 minuti di un cd; e non mi sento più in colpa per non ricordare uno solo di questi motivi. Anche perché il mio cervello, come ammonisce il guru Senada, è ormai atrofizzato dalla società dei media e del consumo: forse dovrei davvero andare al Polo Nord, e vedere se si riattiva…
Residents – “Commercial Album” (studio album)
Pubblicazione: Ottobre 1980 – Ralph Records
Tracklist
- Easter Woman – 1:00
- Perfect Love – 1:00
- Picnic Boy– 1:00
- End of Home – 1:00
- Amber – 1:00
- Japanese Watercolor – 1:00
- Secrets – 1:00
- Die in Terror – 1:00
- Red Rider – 1:00
- My Second Wife – 1:00
- Floyd – 1:00
- Suburban Bathers – 1:00
- Dimples and Toes – 1:00
- The Nameless Souls – 1:00
- Love Leaks Out – 1:00
- Act of Being Polite – 1:00
- Medicine Man – 1:00
- Tragic Bells – 1:00
- Loss of Innocence – 1:00
- The Simple Song – 1:00
- Ups and Downs – 1:00
- Possessions – 1:00
- Give It to Someone Else – 1:00
- Phantom – 1:00
- Less Not More – 1:00
- My Work Is So Behind – 1:00
- Birds in the Trees – 1:00
- Handful of Desire – 1:00
- Moisture – 1:00
- Love Is… – 1:00
- Troubled Man – 1:00
- La La – 1:00
- Loneliness – 1:00
- Nice Old Man – 1:00
- The Talk of Creatures – 1:00
- Fingertips – 1:00
- In Between Dreams – 1:00
- Margaret Freeman – 1:00
- The Coming of the Crow – 1:00
- When We Were Young – 1:00
Musicisti
- The Residents – arrangers, composers, producers
- Chris Cutler – drums
- Fred Frith – guitar
- Phil “Snakefinger” Lithman – guitar, violin, vocals
- Lene Lovich – voice in “Picnic Boy”
- Don Preston – synthesizer
- Andy Partridge – voice, guitar in “Margaret Freeman” (as “Sandy Sandwich”)
Mai visti né sentiti… e posso dirlo con certezza, almeno quanto alla visione, perché una roba così rimane impressa…
Quando ho letto L’occhio che uccide ho pensato a qualche collegamento con Powell, ma in realtà era solo una citazione…😁😉
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Se posso cito e alludo al cinema… E diciamo che non è un ascolto “facile”: ma può rimanere impresso, se non altro per la stranezza!
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Adoro questo disco. Assieme a Eskimo e a meet The Residents forse quello che preferisco di questi matti.
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Grazie per il commento!
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