Tortoise – “Millions Now Living Will Never Die”

Un post sul Post Rock

“Pòst- [dal lat. post, post- «dopo, dietro»]. – Prefisso di molte parole composte, derivate dal lat. o, più spesso, formate modernamente, nelle quali indica per lo più posteriorità nel tempo, col senso quindi di «poi, dopo, più tardi»”. “Quindi, “Post-rock” dovrebbe essere il rock che è “venuto dopo”, un “rock moderno”… “Ah, bene”, si potrebbe dire: “ma bene una cippa”, rispondo io, “cosa vuol dire?”.

La storia del rock è appestata di definizioni, straborda di termini, è un dizionario gargantuesco (e qui copio di sana pianta Elle, delle Vipere Mortali di Kill Bill: «Mi è sempre piaciuto l’aggettivo “gargantuesco”, succede raramente di poterlo usare in una frase»), e che non smette di crescere, giorno dopo giorno, come certi banyan indiani.

E dire che ad aver proposto per primo la locuzione “Post Rock” è stato il benemerito Symon Reynolds, mica uno che pizza e fichi: era il 1994, e sul n° 123 di “The Wire” così catalogò gruppi come Stereolab, Seefel e Pram. In breve tempo l’etichetta fu appiccicata anche a Slint, Tortoise e Black Emperor, e divenne di moda. Anche perché è uno di quei bei nomi che vogliono dire niente, e che quindi possono essere riempiti da qualunque contenuto: basta che un gruppo sia arrivato “dopo”, e avrà automaticamente diritto a fregiarsi del prefisso “post”… O no?!

E così, a questo vuoto riempito di nulla – come presto si accorsero tutti, critici e musicisti – mi accodo anche io: che di Post Rock so poco o niente, e che provo a dire qualcosa basandomi sull’unica band che ho praticato: i Tortoise, e il loro storico “Millions Now Living Will Never Die”. Un titolo eccentrico, preso a prestito da un frasario dei Testimoni di Geova, che si accoppia a una copertina azzurro-viola pallido con qualche pescetto disegnato (mah…), e che caratterizza uno dei dischi per eccellenza del Post Rock.

È vero che “Parlare di musica è come ballare di architettura”: occorre per forza fare metafore e paragoni, prendendo a prestito qua e là definizioni e similitudini: e così farò oggi. Partiamo dalla storia dei Tortoise: e qui la similitudine con il banyan tree si ripropone… Nel 1991, al duo ritmico-dub chicagoano formato dal batterista e tastierista John Herndon (ex Poster Children e Five Style) e dal bassista Doug McCombs (ex Eleventh Dream Day), si uniscono il percussionista Dan Bitney (ex Tar Babies), il tastierista John McEntire e il bassista Bundy Brown (entrambi ex Bastro e Gastr Del Sol).

Dopo il disco d’esordio, l’omonimo “Tortoise” (1994), remixato nel ’95 col titolo di “Rhythms, Resolutions, and Clusters”, Brown lascia per raggiungere i Directions, e al basso subentra David Pajo (ex Slint): formazione che darà alle stampe il capolavoro “Millions Now Living Will Never Die” (1996). La loro musica è ostica come una dissertazione filosofica, limpida come un teorema e impossibile da decifrare: perturbante, a tratti inquietante, evoca le armonie jazz-rock del Canterbury sound e le sottopone all’algida frantumazione matematica del Kraut Rock. L’unico punto certo del disco è l’iniziale “Djed”, lunga suite (oltre venti minuti) avvolta attorno un pattern di basso da cui germinano e avvizziscono continuamente frasi jazz, pulsazioni dub e iterazioni di tastiera dal sapore giapponese. Gli altri brani orbitano attorno a “Djed” come pianeti attorno al sole: il collage rumoristico “Dear Grandpa and Grandma”, la mercuriale “Glass Museum”, il jazz-rock di “The Taut and Tame”, il rumore bianco di “A Survey”, e la conclusiva “Along the Banks of River”, splendido score per il finale di un thriller mai girato: di quelli che lui è stato tradito dal grande amore della sua vita e, in piena notte, dopo averla uccisa in un vicolo, si allontana verso il nulla, col profumo di lei incollato al paltò.

E siamo di nuovo lì… Paragoni, suggestioni: e le immagini, le sensazioni, pare siano il cuore, anzi lo specifico del Post Rock. Una cosa ci siamo infatti scordati di sottolineare: il Post – e i Tortoise in particolare – costruiscono le loro tracce attraverso una trama solo superficialmente rock (a cominciare dalla strumentazione), ma che – attingendo da generi collaterali come jazz, elettronica, minimalismo e musica sperimentale – mira a costruire un panorama sonoro perlopiù strumentale, decostruito e incessantemente ricomposto da fluttuazioni dinamiche.

La voce umana non è necessaria: e, quando presente, si sfalda in pura iterazione rumoristica o – vedi ad esempio gli islandesi Sigur Ròs – si avvale di un idioma fittizio, puro suono fra i suoni. Senza un testo, una parola, un significato letterale attorno cui costruire una melodia – ah, come siamo lontani dal blues, e come siamo vicini al descrittivismo tardoromantico – tutto si sposta sulla comunicazione, distillata e libera, di emozioni e immagini.

Il “discorso”, inteso secondo i dettami della semantica, non c’è più: e nemmeno quello formale, strofa-ritornello-bridge, che ha guidato la tessitura di migliaia e migliaia di canzoni. Ed ecco che il cd Post, una buona decina d’anni in anticipo rispetto alla frantumazione prima permessa, e poi imposta, dal flusso continuo da raccolta-mp3, si rende da subito disponibile all’ascolto casuale. E le immagini, le sensazioni, le libere associazioni prendono corpo, in un continuum che si crea e si distrugge continuamente, senza dare punti di riferimento certi all’ascoltatore. Come la psichedelia, ma senza misticismo e culto dello sballo; come il progressive di Canterbury, ma senza la sua innocente naïveté; come lo space rock, ma senza la griglia armonica blues; come il Kraut Rock, ma con un po’ più di sangue in corpo.

Se il rock tradizionale, erede del blues e del country, è il rappresentante di una società che crede, si confronta, lotta e abbraccia certi valori, il Post è la musica della contemporaneità (e quindi, sì, “post”): dei nostri tempi, dove chiunque è (o può essere, o crede di poter essere) qualcun altro, e agisce immerso in magma indistinto di voci, rumori, grida, silenzi e chiacchiere. Il Post Rock è specchio della società liquida teorizzata da Zygmunt Bauman: un non-genere che sfugge alle pur utili definizioni di Wikipedia e che cambia continuamente, così come significativamente differenti sono le proposte delle varie band: come argutamente sintetizzato qui, “una musica quantica, dove nessun valore è assoluto”.

E, fedele a se stessa, non riconosce la definizione appioppatagli da Symon Reynolds: a cominciare dagli insospettabili Talk Talk di “Spirit of Eden”, dai presunti padri fondatori Slint e Tortoise, e proseguendo attraverso Mogwai, Explosions in the Sky, I Godspeed You! Black Emperor e gli italiani Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, tutte (o quasi) le band battezzate “Post” si sono presto scrollate di dosso la subdola etichetta… Come tanti piccoli Groucho Marx, “non vogliono far parte di un club che accetta tra i suoi soci gente come loro”.

E va bene. Abbiamo fatto un po’ di citazioni e considerazioni, fra sociologia e nomenclature: ma, dopo tutto, quale immagine, quale memoria mi suscita il Post Rock? Quale emozione – perché di emozione abbiamo a più riprese fatto riferimento – mi evocano i suoni di “Millions Now…”? Si, questa è la domanda: chiudo gli occhi, ed ecco la risposta. Sera, quattro anni fa: i miei cari vicini di casa – studenti d’ingegneria con un bel po’ di energie in corpo – ridono come matti, spostano mobili e (cosa del tutto normale, alle 23 inoltrate…) stanno trapanando una parete, per fissare un ventilatore… E io, stufo di non riuscire a prendere sonno da troppe notti, mi piazzo sul divano, collego gli auricolari allo smartphone, e mi abbandono a “Djed” dei Tortoise: pochi secondi, e appena il basso di David Pajo inizia a srotolare le sue note rotonde, degli schiamazzi dei vicini non mi importa più nulla… Tutto è, semplicemente, musica.

Un mio amico disse, una volta: “Non so se la clausura abbia o no un senso: ma sentire il canto delle monache di Assisi uscire dalle finestre del convento, al tramonto, è stata un’esperienza che per me ha giustificato la loro scelta”. Da qualche parte ho letto che, dopo la classica e il gregoriano, il Post sia il genere più adatto ad accompagnare le pratiche di meditazione e a favorire la calma: fosse anche questa la sua sola qualità, per me è tutto quanto serve. E, quindi, ringrazio i Tortoise – e, per estensione, il Post intero – nel solo modo che so fare. Con un:

 “Post s. ingl. (propr. «posta, corrispondenza»), usato in ital. al masch. – Nel linguaggio di Internet, messaggio (un articolo vero e proprio o un breve intervento), lasciato dai frequentatori di blog, forum o altri spazî di discussione, in risposta a una domanda, a commento di un determinato argomento, ecc.” “

 

Tortoise – “Millions Now Living Will Never Die” (studio album)

Pubblicazione: 30 Gennaio 1996 – Thrill Jockey Records

Tracklist
  1. Djed – 20:57
  2. Glass Museum – 5:27
  3. A Survey – 2:52
  4. The Taunt and Tame – 5:01
  5. Dear Grandma and Grandpa – 2:49
  6. Along the Banks of Rivers – 5:50

Tutte le tracce sono composte dai Tortoise, eccetto “The Taunt and Tame” (Tortoise + Bundy K. Brown)

Musicisti
  • Dan Bitney: percussions
  • John Herndon: drums, keyboards
  • Douglas McCombs: guitar, bass guitar
  • John McEntire: drums/percussions, synthesizers
  • David Pajo: bass guitar, guitar

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