I vitellini di Felloni #2

Federico Fellini: tutti i film

Dopo la prima parte, proseguo nel resoconto dei Fellinis: questa volta, siamo nel “terzo medio” della sua produzione, con i film (su un totale di 24) dal nr. 9 al 16.

9. “Le tentazioni del dottor Antonio” (1962): mediometraggio tratto dal film a episodi “Boccaccio ’70“. Gustosissimo ritratto di un bigotto di mezza età (un perfetto Peppino De Filippo) perseguitato da un cartellone pubblicitario con la provocante Anita Ekberg protagonista: desideri frustrati, perbenismi, attrazione/repulsione dell’immaginario femminile, realismo e improvvisi scartamenti onirici. Con qualche sforbiciata, sarebbe perfetto. Ossessionante la canzone (“Bevete più latte!“) dello spot pubblicitario! Voto: 8

10. “” (1963): il titolo allude ai 6 film di Fellini, alla “mezza regia” con Lattuada e ai 2 “mezzi film” a episodi. L’apoteosi, per me, di FF: un bianco e nero da favola (l’ultimo, fra parentesi), sogni che irrompono nel reale e lo scardinano, crisi creative, mogli e amanti, metacinema a manetta, ricordi infantili, produttori cinematografici stressati e stressanti, pulsioni inconfessabili (con una sequenza che, nei giorni del Me Too, sarebbe irrimediabilmente bollata di “sciovinismo maschilista”), sensi di colpa e accettazione del proprio e imperfetto sé. Un Mastroianni da urlo, e Nino Rota al suo massimo: il ballo della Saraghina e il girotondo circense del finale sono ormai parte della memoria collettiva. Terzo Oscar per Federico! Voto: 10

11. “Giulietta degli spiriti” (1965): fatta eccezione per il più breve “Le tentazioni del dottor Antonio”, il primo film a colori di FF. Influenzato dallo spiritismo (è da poco uscito il bel documentario a tema “Fellini degli Spiriti”), FF imbastisce una sorta di “8½ al femminile”, con una protagonista (Giulietta Masina) in crisi pure lei, e pure lei con fantasmi con cui fare i conti. Ma – almeno questa è la mia sensazione – Federico non riesce a mostrare una reale empatia con la donna borghese del titolo, quasi un’astrazione, e dà il meglio invece con la stravagante e carnale Milo, che si sdoppia in 3 personaggi differenti. Ammirevole il decor, l’esuberanza cromatica e il lusso filmico, ma con poco cuore. Voto: 5 1/2

12. “Toby Dammit” (1968): mediometraggio tratto dal film a episodi “Tre passi nel delirio“, dedicato ad Edgar Allan Poe. Dal breve racconto “Non scommettere la testa col diavolo”, FF prende il nome del protagonista e qualche sporadico cenno, e poco più. L’arrivo a Roma di un attore americano in piena crisi (Terence Stamp) per girare un “western cattolico” che non vorrebbe fare (ma la Ferrari messa in premio lo ingolosisce) è il pretesto per imbastire 40 minuti di puro cinema, visionario, acido e senza un attimo di tregua. C’è più di un sospetto che la corsa in auto di Toby verso la morte sia stata ricalcata paro paro da Kubrick nel suo di poco successivo “Arancia Meccanica”. Sorprende un po’ la cinica parodia di Totò (il vecchio attore cieco che inciampa durante la premiazione). Voto: 9+

13. “Block-notes di un regista” (“Fellini: A Director’s Notebook“, 1969): documentario per il canale televisivo statunitense NBC. Come sempre, FF parte dal reale (i provini, la ricerca di una location) e scivola senza quasi darne atto nel surreale e nella caricatura: fra le cose più interessanti di questo mediometraggio, i brevissimi brandelli di “Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet“, progetto cinematografico cui Fellini teneva molto, continuamente rimandato ma mai realizzato. Voto: 7

14. “Fellini Satyricon” (1969): liberamente tratto dall’omonima opera latina di Petronio, un film rutilante e magnetico, coloratissimo, vivo e smaccatamente pop. A momenti di grande fulgore (l’orgia di Trimalcione, la Suburra, il Minotauro) si alternano episodi sospesi, quasi astratti (l’incipit nelle Terme, l’oracolo ermafrodita, la villa dei due suicidi). Interessante il mosaico linguistico intessuto dal regista. Primissima apparizione per (sic) Alvaro Vitali. Anomalo, ma un “must have”. Voto: 8 1/2

15. “I clowns” (1970): documentario RAI sul circo. Dopo un inizio narrativo, dedicato alla fascinazione del giovanissimo Federico per quel piccolo mondo nomade, il film si trasforma in un (finto) doc sull’arte circense (e dei clowns in primis), con l’intervento di professionisti ormai in ritiro. Nostalgico ma vivissimo, termina con una performance scatenata e iridescente, significativamente dedicata al “funerale del clown”, e si chiude sulle dolenti note di tromba del Bianco e dell’Augusto. Voto: 7+

16. “Roma” (1972): la Roma vera e quella immaginaria, quella sognata dal giovane Federico da Rimini e quella vissuta come giovin regista squattrinato, quella dei quartieri e delle magnate in piazza, e quella dei bordelli e degli scalcinati palchi del varietà. Dove passare dal realismo alla sua deformazione è un attimo (la celeberrima sequenza del Grande Raccordo Anulare è da antologia), dove una serata nei palazzi patrizi si trasforma in un surreale défilé ecclesiastico, e dove una dolcissima “mamma Roma Magnani”, alla sua ultima apparizione, saluta un petulante FF con un “A Federì, và a dormì” che commuove. Voto: 8

Alla prossima, per la terza e ultima parte.

9 pensieri riguardo “I vitellini di Felloni #2

  1. Yé yé yé!
    Io invece “Otto e mezzo” e “Giulietta degli Spiriti” li accomuno: come se fossero lo stesso film declinato in maschile/femminile e in colore/biancoenero!
    Peppino Rotunno, certo, era un genio e l’ha dimostrato, ma cosa sarebbe potuto succedere se Di Venanzo fosse vissuto!
    Satyricon, mentre lo guardo dico “ma che schifezza eh, oddio che palle”, ma poi finisce e mi si insinua una nostalgia del “frammento”, esattamente identica a quella che ti instilla il testo di Petronio (chi sa chi fu davvero?), che mi resta addosso per giorni!
    Otto e mezzo, cavolo, l’ho visto in lockdown e ribadisco che non è un film, è la metonimia di tutta l’arte delle immagini in movimento, come, boh, Velazquez sta alla pittura, Michelangelo e Bernini alla scultura ecc. ecc.

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