Canta che ti passa #8

La musica rende liberi

No, non è un caso che il titolo di questo breve pezzo riecheggi il tetro “Arbeit Macht Frei” affisso sui cancelli di numerosi lager nazisti. Non lo è per un paio di motivi.

Uno, perché sempre più spesso si sente parlare di come “siamo in guerra”, di come “siamo prigionieri” nelle nostre case, di “Piano Marshall”, di “arresti domiciliari” e altre metafore più o meno pertinenti.

Due, perché psicologicamente siamo tutti, chi più chi meno, provati dalla situazione, lontani dai nostri affetti, isolati, e con un domani (sanitario, ma soprattutto economico) che non definirei propriamente “sereno”.

Ma, fra il 1935 e il ’53, ci fu una generazione che dovette DAVVERO affrontare fame, prigionia e isolamento, e in forme – mi permetto di dire – ben più drammatiche di quelle attuali: milioni di persone discriminate, imprigionate e uccise per la loro etnia, per la loro religione, per la loro disabilità o per il loro orientamento sessuale. Fra quegli uomini c’erano, anche, artisti, compositori e musicisti: e alcuni di loro, nel magma emotivo, nella follia collettiva, nella disperazione, iniziarono a scrivere musica. Non per celebrare quel dolore: ma per esorcizzarlo, per dimenticarlo. E, va detto, anche sotto ricatto dei kapò, per allietare le serate danzanti dei Nazi.

Il compositore, pianista e direttore d’orchestra Francesco Lotoro, di Barletta, nel 1988 si mette in cerca delle produzioni musicali scritte da autori ebrei durante la prigionia: ma presto il suo interesse si allarga a chiunque, nel periodo fra il 1933 (apertura del campo di Dachau), e il 1953 (la morte di Stalin e la parziale amnistia degli “alloggiati” nei Gulag), abbia vissuto la tragedia della deportazione, della prigionia e della persecuzione. La storia umana non è stata certo parsimoniosa, in merito: in tutto il mondo (si, non solo nei Paesi dell’Asse: ma anche in Gran Bretagna, Francia, Unione Sovietica, Africa settentrionale e coloniale, Asia e Oceania) abbondarono – tutt’ora abbondano – delizie come campi di concentramento e sterminio, lavori forzati, carceri militari, Stalag e Oflag, ospitanti qualunque tipo di persona “non gradita” (ebrei, cristiani, Rom, baschi, sufi, quaccheri, oppositori politici, omosessuali, prigionieri civili e militari).

Lotoro si trova a disposizione una massa di dati potenzialmente infinita: e una missione immane, durata 22 anni, e proprio a cavallo della rivoluzione digitale. Negli anni Novanta le ricerche furono farraginose e lente, ma alleviate dalla possibilità di trovare in vita qualche sopravvissuto; in tempi recenti sicuramente più rapide, ma ostacolate dal dover confrontarsi con gli eredi dei musicisti, non sempre pronti a concedere i documenti. Fatto sta che, alla fine, Lotoro ha potuto recuperare 8.000 partiture (quasi tutte inedite) e ben 12.500 documenti (diari, brevi video, microfilm e interviste).

A questo corpus sterminato, Francesco Lotoro ha dato un nome: “Musica Concentrazionaria“. Un “genere” che genere non è, affollato com’è di musica sinfonica, jazz, swing, musica da camera, cabaret, lieder e varietà, ma che trova il suo fil rouge in precise coordinate storiche e politiche, e in situazioni emotive di grande sofferenza.

Lascio la parola al compilatore: “Recuperare, eseguire e registrare tutte le opere scritte dai musicisti nei Campi di concentramento è uno dei più importanti traguardi della nostra generazione. Occorre agire perché questa musica si riprenda decenni di vita interdetta e passi dall’eccezionalità della produzione musicale scritta in cattività alla normalità dell’esecuzione concertistica o dello studio delle loro opere. Perché è ciò che gli Autori di questa musica avrebbero voluto“.

E, pian piano, con cadenza annuale, e pagando di tasca sua, il Nostro sta procedendo nella diffusione di questo catalogo straordinario. Un’opera monumentale, condensata in 27 cd (trovate QUI i riferimenti), ancora in uscita, completi di libretto e note: le esecuzioni sono curate, dirette ed eseguite in massima parte proprio da Lotoro. Fra i titoli troviamo, fra gli altri, perle come la “Sinfonia n.8” di Erwin Schulhoff per pianoforte, la partitura pianistica del “Don Quixote tanzt Fandango” di Viktor Ullmann e “Nonet” di Rudolf Karel. Ormai considerato il massimo esperto mondiale di ricerca musicale concentrazionaria, con tremila pubblicazioni e saggi a carico, Francesco Lotoro ha nel frattempo dato avvio alla Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, e all’edificazione della Cittadella della Musica Concentrazionaria, destinata a sorgere a Barletta, presso le rinnovate strutture dell’Ex Distilleria. Per il suo impegno, Lotoro nel 2013 è stato insignito del titolo di Chevalier de l’Ordine des Arts et des Lettres dal Ministero della Cultura francese e, l’anno dopo, del titolo di Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Chapeau.

Tornando all’opera musicale in sé, non sono in grado di valutarne la valenza estetica, ma non penso di sbagliare dicendo che, in questo caso, passa decisamente in secondo piano rispetto al fatto che siamo davanti a un vero e proprio patrimonio dell’umanità… La dimostrazione di come, anche nelle ore più buie, l’essere umano sappia distillare i preziosissimi frutti dell’arte e della libera espressione: le armi più potenti, capaci di violare le porte dei campi di prigionia, e di volare oltre le loro tetre muraglie.

Lungi da me fare prediche: ma proviamo tutti, io per primo, a ricordarcene. Nel nostro piccolo: quando, in questi giorni di “ferie forzate”, ci lamentiamo o ci annoiamo. Proviamo, ognuno a proprio modo, a non arrenderci alla retorica del bunker, e a essere creativi: fosse anche nel rinvasare una pianta, scrivere un racconto, fare un risotto o togliere la polvere. C’è sempre il modo per evadere dalla nostra piccola prigione: con il pensiero, con la fantasia, col respiro… E anche, e come sempre, con la musica.

 

Abbiamo parlato di:

Vv. Aa.Encyclopedia of Music Composed in Concentration Camps, 1933-1945 (KZ Music)

7 pensieri riguardo “Canta che ti passa #8

  1. Spettacolare!
    io ho dovuto presentare, a Firenze, la “prima mondiale” di alcuni pezzi per viola e pianoforte, e pianoforte e soprano (la viola era Stefano Zanobini, gli altri non mi ricordo) composti da tale László Weiner durante la prigionia in un campo di concentramento slovacco, e ritrovati ed editi dal nipote… il nipote era presente alla prima che io “presentavo”, e donava le edizioni degli ultimi pezzi ritrovati, che Zanobini eseguiva, alla nostra biblioteca…
    Io ero imbarazzatissimo e dovevo fare un “discorsino” sul nazismo e il riaffiorare nel presente di “fiori” tranciati dalla follia del passato…
    feci un pastrocchio, che per fortuna Zanobini e gli altri rimediarono con la musica, forse poco interessante nel suo atonalismo bartokiano e koldaliniano, ma indispensabile per rendersi conto della *sciagura* che fu quel periodo… un periodo che proibiva l’arte e imprigionava gli artisti per sole questioni inventate di razze… occorre ricordarlo ogni volta per non rifarlo anche noi…
    oltre, naturalmente, nel trovare “ispirazioni” creative come dici tu in questo commovente articolo…

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    1. Però! Bella esperienza! In chiusura ho invece voluto inserire un fotogramma di “Le ali della libertà” film “semplice” che amo molto… Anche perché come saprai a un certo punto il protagonista Andy Dufresne fa un colpo di mano e diffonde in tutto il carcere un brano di Mozart… E tutti i prigionieri si sentono liberi.

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