Scacchi e musica – Seconda parte

Mai muovere troppo in fretta

Bentornati a tutti… E, dopo la prima parte, dedicata a scacchi, musica e musicisti, tocca alle copertine a tema: e qui si apre il baratro. Sono letteralmente centinaia quelle sputate fuori dai motori di ricerca: oltre al catalogo della Chess Records – che con gli scacchi non c’entra nulla, ma che ugualmente ingolfa pagine e pagine web – per arrivare al nocciolo del problema bisogna anche scremare quelle dove gli scacchi sono semplicemente un motivo grafico, senza attinenza col nobil gioco… E, dopo un bel po’ di tempo, di vaffa e di diottrie perse, ecco i risultati più interessanti.

Il chitarrista Manuel Göttsching è uno di quei musicisti defilati e di nicchia ma, come dicono quelli bravi, “seminali”: fondatore degli Ash Ra Temple, eminenza grigia del Krautrock, col suo stile minimalista ha influenzato e indirettamente ispirato la scena ambient e house degli anni Ottanta. Il suo album d’esordio  (1984) riprende, nel titolo e nella grafica, la mossa d’apertura per eccellenza del “gioco aperto”: quella “E2-E4” scritta sulla copertina, una scacchiera vuota (e il minimalismo musicale incontra quello grafico). L’album è composto da nove brani, che prendono il nome da altrettanti momenti e fasi del gioco (“And Central Game”, “Queen a Pawn”, “Draw”).

Il collettivo musicale “Gruppo di improvvisazione Nuova Consonanza”, fondato a Roma da Franco Evangelisti nel 1964, vede fra i suoi membri Ennio Morricone, Egisto Macchi, Giovanni Piazza e lo stesso Evangelisti.  Sulla copertina del disco del 1976 – e chissà se per iniziativa del tifoso Morricone – è riportato il diagramma di uno studio, derivato dal celebre “Matto di Boden”, risalente al 1853 (che, per la cronaca, ha come soluzione un matto in 2 mosse: Dxc6+; bxc6 Aa6).

Sempre italiani – ma adepti di uno speed metal decisamente sopra le righe – i casertani Inallsenses, che illustrano il loro EP “Checkmate” (2016) con un artwork angoscioso e allusivo: una donna imbavagliata, davanti a una scacchiera. Non so se dovuto a un errore di editing, o al solito atteggiamento di sufficienza, ma le posizioni di Re e Regina appaiono ribaltate rispetto all’assetto prescritto dal regolamento.

 

 

Identico titolo, ma differente resa grafica, per il cd dei brasiliani The Alchemists: seguaci di quei crossover germinati attorno ai Rave Party – e che rispondono ai sottogeneri, per me francamente misteriosi, di “Psy-Trance” e “Goa-Trance” – per il loro disco del 2008 scelgono una composizione molto arty e ben costruita: sarà per tutti gli horror che mi sono sorbito da ragazzino, ma il personaggio di copertina mi ricorda tanto un Supplicante di Hellraiser in salsa scacchistica.

Qualcuno, poi gioca sull’antropomorfismo, e qualcun altro sullo zoomorfismo: ed è così che il Cavallo, a seconda dei casi, può trasformarsi nella testa di un uomo (quella del trombettista funk Blue Mitchell, in “I’m in Heaven“, 1976), in quella dei sei membri della band (The Enid, “Six Pieces“, 1980) o in una zebra (per l’omonimo power rock trio americano Zebra, in “No tellin’ lies”, 1984). La grafica di “Never make your move too soon” (1981) della vocalist Soul Ernestine Anderson sembra invece ribadire didascalicamente il perentorio titolo: un’inquadratura a piombo riprende una mano femminile, che sta muovendo la Donna per quella che sembra essere la mossa decisiva… Anche se, a dire il vero, la posizione non risulta molto chiara, e soprattutto ho alcuni dubbi che il tratto sia davvero determinante.

 

Senza troppe sorprese, è il Progressive Rock a suscitare le copertine più interessanti. Per il suo debutto solista del ’71 Peter Hammill, genio e anima inquieta dei Van Der Graaf Generator, sceglie un artwork degno di un incubo distopico in stile “The Prisoner”: su una gigantesca scacchiera, che riproduce una delle trappole di apertura più note, si incontrano, corrono e giacciono delle piccolissime figure umane, non si capisce quanto e se integrate nel gioco. Un errore, come al solito, c’è: il titolo dell’album – “Fool’s Mate”, il “matto dell’imbecille” – richiama la combinazione di matto più rapida possibile (2 mosse), mentre l’illustrazione raffigura quello che in gergo è il cosiddetto “Scholar’s mate” (l’italiano “matto del barbiere”), che richiede invece una sequenza più articolata.

 Il di poco successivo disco dei Gryphon – “Red Queen to Gryphon Three” (1974) – è un concept album, ispirato – soprattutto nei titoli delle quattro lunghe suite (“Opening Move”, “Checkmate”) – al gioco degli scacchi. La grafica ribadisce la particolare attitudine del quintetto inglese, dedito a un prog con forti reminiscenze medioevali e rinascimentali: un vegliardo seduto pensoso davanti a una scacchiera, e sullo sfondo un paesaggio fiabesco in tinte pastello. 
 
Per il loro debutto “Paradise Moves” (1983), invece, i neo-prog Airbridge scelgono una soluzione più moderna: un collage fotografico surreale, con una scacchiera dominata da una figura enigmatica, degna di un René Magritte.

Entriamo nell’ambito del parallelo fra gioco e vita, e fra giocatori e burattinai del destino, col disco dei Ghost, “Popestar” (2016): il gruppo heavy metal svedese inscena una partita a scacchi fra due figure silenti e arcane, che più che la mitologia nordica ricordano, per tratti somatici e bardature, due divinità delle culture andine.


Sempre svedesi, ma decisamente più mainstream, gli Europe di John Norum illustrano il loro decimo album, “War of Kings” (2015), con una resa più contemporanea, dove il demiurgo che comanda i destini degli uomini, microscopiche figure su una scacchiera, assomiglia più a un agente di borsa che a un dio medieovale.

Molto curiosa la scelta degli inglesi “To Kill a King” (2015): gruppo dedito a un robusto folk rock e che sulla copertina del disco omonimo mette ai lati di una scacchiera – come allo specchio – il batterista, Josh Taffel, e una vecchia foto di suo padre, giocatore professionista che spillava soldi nelle partite ai giardini.

Nella nostra disamina, non poteva mancare una rock opera: si tratta – guarda un po’ che strano – di “Chess”, spettacolo andato in scena a Londra nel 1986, e anticipato dall’omonimo disco del 1984. La trama si basa su un incontro di scacchi per il titolo mondiale tra un campione statunitense e uno sovietico, durante il quale si dipana anche una storia d’amore che coinvolge i due campioni e una componente della delegazione americana. La musica è composta da Benny Andersson e Björn Ulvaeus (membri degli ABBA), con testi di Tim Rice.

Cosa resta ancora da dire? Beh, che gli scacchi sono un gran bel gioco: ma che, come teorizzato da Edgar Allan Poe nel prologo di “I delitti della Rue Morgue”, e come sostenuto dal mio amico Angelo, la Dama non è da meno: apparentemente più semplice, ma più facilmente sotto il controllo dell’intelletto. Negli scacchi, secondo Poe, vince invece il giocatore che fa meno sviste: “Non il giocatore più sottile, ma quello con la maggiore capacità di concentrazione”. E allora, a sorpresa, chiudo queste pagine dedicando una curiosità musicale proprio alla Dama: che col gioco in sé c’entra poco, in realtà, ma che riguarda un artista che, suo malgrado, ha segnato un momento della storia della musica e del costume in modo indelebile.

È il 1960 e Dick Clark, il demiurgo del programma tv American Bandstand, nota che sul retro dell’ultimo 45 di Hank Ballard c’è un gioiellino di cui nessuno s’è accorto: “The Twist”. Occorre prendere la palla al balzo, e trovare il giusto interprete per una cover. Si guarda intorno, e si sofferma su un debuttante di colore: Ernest Evans, per tutti “Chubby” (“grasso, paffuto”). Per l’audizione alla Cameo Records, Chubby presenta un pezzo di Fats Domino: la moglie di Dick Clark sfoggia immediatamente un arguto gioco di parole… Se “Fats Domino” è “Fat – grasso” + “Domino (cognome reale, ma che richiama il gioco da tavolo)”, il loro protetto si chiamerà “Chubby – paffuto” + “Checker (la dama, in inglese americano)”. È appena stato battezzato Chubby Checker, che con la sua lettura di “The Twist” scatenerà una vera e propria follia nazionale.

 

P.S. Il Signor Pignolini mi fa notare che sulla copertina del disco di Chubby Checker la damiera è posizionata male… Nel gioco della dama italiana, infatti, è la casella nera a dover stare in basso a destra, e non la bianca. Uff…

2 pensieri riguardo “Scacchi e musica – Seconda parte

  1. Iser Kuperman, russo, 7 volte campione del mondo nel1958,1959,1961.1963,1965,1967 e 1974 in dama internazionale (la più famosa e la più complessa, la quale si gioca su 100 caselle) scrisse in un suo trattato intitolato ‘Nella scacchiera a cento caselle’: “Nel 1936 mi appassionai agli scacchi e regolarmente giocavo al Palazzo dei Pionieri di Kiev, sotto la guida del maestro A.M. Costantino. Una volta durante il torneo per il titolo del palazzo il mio avversario tardò a venire a giocare ed io andai a farmi un giretto per il palazzo. In una stanza vicina si vedeva una scacchiera dimostrativa, mi sedetti con i ragazzini. Subito dietro di me entrò l’insegnante, un tale che, con mia grande delusione, si mise a disporre delle pedine. Cominciai a non stare più fermo e a dare occhiatine verso l’uscio, calcolando come potevo andarmene pian pianino e furtivamente.
    Il ragazzo seduto vicino a me, mi diede un colpetto e mi sussurrò: – non pensare di saltare la lezione, oggi sono io il responsabile di turno -. Mi toccò sottostare. Non avendo altro da fare cominciai a guardare la scacchiera. L’insegnante mostrava le varie combinazioni della dama. Mai prima di allora provai tale piacere. Avrei dato tutte le varianti che conoscevo agli scacchi per costruire in una partita qualcosa del genere. In modo particolare ricordo che mi colpì una combinazione dove i Bianchi pur di vincere sacrificarono ben sette pedine su otto. La dama! Ecco che cosa si era impossessato della mia immaginazione.
    La bellezza delle combinazioni della dama provoca ammirazione anche negli amatori più esperti. Con l’aiuto delle combinazioni è possibile realizzare sulla damiera, fino all’incredibile, le più coraggiose e fantastiche idee”.

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